Icona app
Leggi TPI direttamente dalla nostra app: facile, veloce e senza pubblicità
Installa
Banner abbonamento
Cerca
Ultimo aggiornamento ore 07:01
Immagine autore
Gambino
Immagine autore
Telese
Immagine autore
Mentana
Immagine autore
Revelli
Immagine autore
Stille
Immagine autore
Urbinati
Immagine autore
Dimassi
Immagine autore
Cavalli
Immagine autore
Antonellis
Immagine autore
Serafini
Immagine autore
Bocca
Immagine autore
Sabelli Fioretti
Immagine autore
Guida Bardi
Home » Senza categoria

Occupy Istanbul

Immagine di copertina

La protesta del parco Gezi che sfida Erdoğan

Nel giorno della grande manifestazione degli indignados di tutta Europa, quando Roma venne messa a ferro e fuoco da alcuni che oscurarono la grande protesta civile di molti – anzi, moltissimi -, la piazza della rabbia di Istanbul era quasi deserta.

Poche decine di persone, gli emuli turchi del “15-M”, quel 15 ottobre 2011. Quasi folkloristiche per i turisti che la attraversavano.

In quella stessa piazza Taksim oggi si consuma la rivolta più dura, e più duratura, che con la battaglia ingaggiata per proteggere alberi e spazi dello storico parco Gezi difende soprattutto le radici di un quartiere e una città non disposti – o almeno, non del tutto – a cedere all’asfaltazione liberista e conservatrice del rullo politico guidato dal premier Tayyip Erdoğan.

GUARDA LA FOTO DEL GIORNO

La cronaca della protesta, per una volta, ha superato a forza di spallate i confini (mediatici) della Turchia. Risultato, questo, soprattutto della violenza sproporzionata con cui la polizia turca ha reagito alla ribellione e all’idea di ribellione, reprimendo l’una con l’effetto di rafforzare l’altra.

I numeri sono quelli che pure (sic!) i telegiornali italiani hanno raccontato nelle ultime ore, e che mentre scrivo saranno già superati dagli eventi che insistono su questa tarda primavera di Istanbul: almeno una cinquantina di feriti (forse anche di più), alcuni gravi, e 138 fermati, mentre il caos non si placa a Beyoğlu e Beşiktaş, Şişli e Kurtuluş, Tophane e Harbiye. Praticamente, ovunque.

A chi pensa che la protesta sia confinata nel centro della città, risponde il piano di emergenza messo in atto dalle autorità – già provate nella materia – che limita gli accessi in diversi quartieri e intensifica i controlli, persino con una sorta di check-point all’attracco dei battelli provenienti dalla sponda asiatica della città che rimanda la memoria (ma per fortuna, al momento solo quella) ai tempi bui della giunta militare.

È una citta in rivolta Istanbul, oggi per il quinto giorno. All’inizio, non erano più di cinquemila a fronteggiare la polizia con catene umane e sit-in dall’aspetto più che altro simbolico.

Adesso è un tam tam incredibile che invade la rete e le strade giorno e notte (letteralmente), con le prime propaggini che sbocciano in altri centri della Turchia mentre incassa appelli alla resistenza e manifestazioni di solidarietà in decine di città nel mondo.

L’impressione è che, come tutte le grandi rivolte – e questa, per impatto emotivo e forza mediatica, certamente lo è – anche quella turca di questi giorni sia un pretesto per sfidare un’autorità che negli ultimi mesi sta forzando la mano.

Dalle misure conservatrici in campo sociale alle aperture sempre maggiori a un capitalismo predatorio, il solidissimo governo Erdoğan ha perso un po’ di smalto ed è costretto ad ammettere un “errore” da parte delle forze dell’ordine nell’uso dello spray al pepe (abbondante in questi giorni nelle strade di Istanbul, insieme a lacrimogeni e cannoni ad acqua).

Senza perdere, però, il suo piglio autoritario: “La polizia è stata lì ieri, c’è oggi e ci sarà anche domani”.

Promessa o minaccia, è la sfida a una protesta riconosciuta come politica. Forse è troppo parlare di dimissioni del governo, la Turchia è un Paese grande e complesso e – come ampiamente dimostrato in questi anni nelle urne – a maggioranza conservatore.

Eppure, l’autoritario Erdoğan rischia proprio sull’immagine, che oggi non è poco. Non è un bel segnale, per esempio, la denuncia di ritardi e limitazioni in queste ore all’uso di twitter, in un Paese non paragonabile sul piano storico, economico e politico a quelli delle primavere arabe ma che negli ultimi anni si è distinto proprio per le limitazioni alla libertà di espressione e le censure sul web.

Potrà essere #occupytaksim, #occupygezi o magari #occupyistanbul. Voi cominciate a cercare l’hashtag, adesso c’è anche la Turchia.

Ti potrebbe interessare
Senza categoria / Donald Trump: "Dio vuole che sia io il presidente"
Senza categoria / Carla: tutto quello che c’è da sapere sul film sulla Fracci (replica Rai 3)
Senza categoria / Regno Unito, il nuovo capo delle forze armate: "Prepariamoci a un'eventuale guerra mondiale entro il 2027"
Ti potrebbe interessare
Senza categoria / Donald Trump: "Dio vuole che sia io il presidente"
Senza categoria / Carla: tutto quello che c’è da sapere sul film sulla Fracci (replica Rai 3)
Senza categoria / Regno Unito, il nuovo capo delle forze armate: "Prepariamoci a un'eventuale guerra mondiale entro il 2027"
Senza categoria / 101% Pucci: tutto quello che c’è da sapere sullo show
Senza categoria / Ferragni di nuovo a Sanremo? Amadeus: “Per me sì”
Senza categoria / Terremoto oggi in Italia 22 gennaio 2024: tutte le ultime scosse | Tempo reale
Senza categoria / Terremoto oggi in Italia 21 gennaio 2024: tutte le ultime scosse | Tempo reale
Senza categoria / Terremoto oggi in Italia 9 gennaio 2024: tutte le ultime scosse | Tempo reale
Cronaca / Foto shock della sanitaria: caposala posta la foto di lei che ricuce un cadavere. Verifiche dell’Asl di Brindisi
Politica / Migranti, Meloni: “Basita per sentenza Catania, pezzo Italia favorisce ingressi illegali”