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Obama incontra Xi Jinping

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Due giorni di visita ufficiale in America per il presidente cinese: il dibattito si concentrerà sulla cybersicurezza

Nell’agenda di Barack Obama e Xi Jinping c’è un appuntamento comune: due giorni –venerdì 7 e sabato 8 giugno– nella moderna reggia di Sunnylands a Rancho Mirage, California. Si terrà qui il primo incontro ufficiale tra il presidente cinese eletto solo qualche mese fa e il capo di stato americano. 

Il tema principale della visita, oltre alle consuetudini diplomatiche (“ci incontreremo per rafforzare le alleanze, le amicizie, il partenariato strategico, etc” hanno detto più o meno i due) sarà principalmente uno: la cybersicurezza. Si discuterà di economia, finanza e commerci certo; ma non saranno questi gli argomenti principali. Che che se ne pensi, la cybersicurezza è una materia che interessa ad entrambi, tanto a Barack Obama, che cerca una tregua, quanto a Xi Jinping, che la può usare come merce di scambio. Il Pentagono è anni che continua a dire senza mezze misure che «La Cina è lo Stato maggiormente coinvolto in attività di spionaggio cibernetico del mondo» e proprio la settimana il Washington Post ha parlato di armamenti compromessi da hacker cinesi. Ma il problema non riguarda solo il settore militare, anzi — sono in molti a denunciare con forza il continuo perpetrarsi di furti di proprietà intellettuale (brevetti, informazioni industriali, dati sensibili, progetti…) ai danni di aziende e società americane. 

È qui che Barack Obama cercherà di focalizzare la discussione, lasciando agli addetti ai lavori i discorsi più tecnici e militareschi (gli ufficiali cinesi e americani si incontreranno in luglio per discutere di cyberwarfare nuda e cruda).

Se è innegabile che siano numerosissimi gli attacchi che gli USA e altre nazioni ricevono da computer situati in Cina, il governo e l’esercito si sono sempre dissociati totalmente dalle violazioni – difendendo sempre le loro posizioni. Nonostante ciò, c’è comunque un oscuro rapporto tra il mondo cybernetico militare cinese, guidato dal famelico Terzo Dipartimento dell’Esercito Popolare di Liberazione, e il sottosuolo degli hacker “civili”. Molto spesso, infatti, hacker e smanettoni vengono reclutati e messi alle dipendenze come veri e propri soldati informatici. Lo stesso avviene con le grandi aziende di telecomunicazioni, che ricevono finanziamenti dallo Stato solo se lasciano libertà di manovra all’esercito all’interno dell’azienda. 

Obama chiede una tregua, quindi. Che garantisca agli USA di rimanere i padroni del cyberspazio, senza che ci sia il fiato sul collo di una potenza lontana e difficile da controllare, con una rete internet tanto pericolosa quando impossibile da decifrare. Ma cosa vorrà in cambio la Cina? Le speculazioni sono partite: la linea percorsa dagli analisti è che Xi Jingping chieda a Obama un allentamento del suo programma “Pivot to Asia”, cioè la strategia americana delle alleanze politico-militari in Asia per contornare la possibile espansione cinese. Levare quindi il fiato sul collo, esattamente quello che chiede Obama.

L’indizio che avvalora questa tesi è arrivato sabato scorso. Chuck Hagel, segretario alla difesa americano, si trovava a Singapore per una conferenza sulla sicurezza nel Oceano Pacifico (il Shangri-La Dialogue) e ha apertamente accusato la Cina di attaccare gli USA nel cyberspazio. Gli ha prontamente ribattuto un generale cinese: «la ringrazio per aver menzionato così tante volte la Cina (31, per l’esattezza) ma questo tentativo di contrastare quello che per voi è un rafforzamento dell’esercito cinese, non ci convince». Il cyberspazio lo insegna: con la Cina non si scherza.  

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