Hagel, il dissidente delle praterie al Pentagono
Il repubblicano odiato dal suo partito. Le posizioni controcorrente su Iran, Iraq e Israele. Sarà la carta vincente di Obama per i tagli alla Difesa?
Hagel dissidente delle praterie al Pentagono
Il calvario è finito: Chuck Hagel sarà il nuovo capo del Pentagono. Il dissidente delle praterie ha finalmente ottenuto il lasciapassare dal Senato, dopo che la sua nomina era stata bloccata per settimane per una fronda dei repubblicani, ex colleghi dello stesso Hagel. Odiarsi nello stesso partito si può ma quella del nuovo ministro della Difesa è una storia particolare. Animale raro nel bestiario repubblicano, Hagel è un indipendente, un non partigiano, uno che accusa i repubblicani di essere “pericolosamente prigionieri dei movimenti politici, che sono troppo ideologici”.
Come Hagel sia riuscito a farsi odiare dal suo partito lo testimoniano alcuni epiteti spesi da repubblicani illustri. “Io credo nell’undicesimo comandamento di Reagan: non parlerai male di un compagno repubblicano. Ma è molto difficile aderirvi, quando c’è di mezzo Chuck Hagel”, ha detto l’ex vicepresidente di Bush Dick Cheney. “Dire che è in qualche modo un repubblicano è dura da digerire”, ha dichiarato un altro pezzo da novanta nonché a lungo suo amico come John McCain.
Attenzione: Hagel non è un repubblicano moderato. Tuttʼaltro: è un conservatore duro e puro. Contrario allʼaborto (ma a favore della distribuzione di contraccettivi) e al controllo delle armi, nei 12 anni in Senato ha votato contro gli incentivi allʼagricoltura, al divieto alle trivellazioni nellʼArtico e allʼestensione del Medicare. È nel mirino dei movimenti progressisti anche per un suo commento omofobo rivolto a un ambasciatore nel 1998. A isolare Hagel nel suo stesso partito è piuttosto la denuncia della radicalizzazione del sistema politico americano, dove non si riesce più a “raggiungere il consenso per risolvere un problema”.
Lʼindipendenza di Hagel si può rintracciare nelle sue radici. È originario delle Sand Hills, Nebraska: lo Stato ‘dove comincia il West’, nelle cui grandi e desolate pianura gli abitanti hanno mantenuto un certo spirito di frontiera. Uno spirito riaffiora in alcuni dei loro rappresentanti. Del Nebraska erano Bob Kerrey, il democratico che diede del bugiardo a Clinton, e George Norris, che si definì “un repubblicano migliore di Hoover” e sostenne Franklin Delano Roosevelt contro lo stesso presidente Hoover.
La figura pubblica di Hagel è stata plasmata anche dalla sua storia personale. Figlio di un padre alcolista, perennemente disoccupato e violento, da piccolo abita persino nello scantinato di un albergo o ad Ainsworth, meglio conosciuta come ‘Middle of Nowhere’. Fa lavoretti come quello alla pompa di benzina o al drive in. Il giorno di Natale del 1962, il padre muore dʼinfarto: a 16 anni, Chuck si carica la famiglia sulle spalle. Sembra una delle tante storie di miseria cantate da Bruce Springsteen nellʼalbum intitolato, appunto, ‘Nebraska’. Ma per Hagel la svolta arriva. Lʼincontro con un parlamentare che lo porta a Washington come assistente gli spiana la strada: lobbista, vice amministratore dellʼassociazione dei veterani sotto Reagan, azionista di unʼazienda di cellulari (che lo renderà milionario), capo di una banca dʼinvestimenti, quindi lʼingresso in Senato nel 1997.
Anche da questa biografia in multicolor, diversa da quelle grigie e uniformi di tanti colleghi politici, si intuisce un forte senso di responsabilità politica. Lo stesso che fa sentire Hagel in dovere di criticare lʼamministrazione Bush per la gestione delle guerre in Afghanistan e Iraq: “Io non ho prestato giuramento a un partito politico o a un presidente. Ho detto, sono qui a giurare sul mio Paese e sulla costituzione”.
Proprio lʼIraq è il peccato capitale di Hagel agli occhi dei repubblicani. Lʼex senatore accusa Bush di essere entrato in guerra “in modo disonesto, senza pensare alle conseguenze”. Nel 2003 vota a favore dellʼinvasione ma ammonisce il Senato: “Gli americani devono essere informati dellʼimpegno di lungo periodo, dei rischi e dei costi di questa iniziativa. Non dobbiamo farci sedurre dallʼidea che saremo accolti da gente che balla per strada”. E quando nel 2007 le truppe aumentano, invece di tornare a casa, Hagel promuove una risoluzione di denuncia. Apriti cielo. I repubblicani non gliela perdoneranno mai. Lo bollano come “traditore” e “disgustoso”. Nellʼera Bush non cʼè posto per chi non sʼallinea.
Lʼavversione allʼIraq nasce dallʼesperienza in Vietnam, che gli ha lasciato unʼimpronta indelebile. E pensare che Hagel nemmeno doveva andarci. Nel 1967 viene assegnato a un programma di sviluppo missilistico in Germania: una gita di piacere, rispetto ai colleghi che morivano nella giungla. Ma lʼallora 25enne ha le idee chiare: “C’era una guerra in corso, io volevo essere dove era combattuta, come mio padre nella seconda guerra mondiale”, ricorderà. Chiede il trasferimento. Finisce nella stessa unità del fratello Tom, unica coppia di fratelli a combattere uno a fianco allʼaltro. Tom gli salva la vita tamponandogli e bendandogli una ferita causata dalla scheggia di una mina. Chuck ricambia poco dopo, trascinando via il fratello dal suo veicolo in fiamme, prima che esploda. Hagel torna in America un anno più tardi e, come per tanti, il Vietnam è duro da smaltire. “Se un giorno avrò la possibilità di influenzare le decisioni, farò in modo che nessuna guerra sia mai considerata con leggerezza”, si promette.
È per questa cautela che Obama lo ha scelto. Hagel e il presidente condividono la stessa visione realista e misurata del ruolo degli Stati Uniti nel mondo, più attenti a soppesare gli interessi per selezionare le proprie battaglie. QuestʼAmerica più umile però non piace a tutti a Washington. Così si scatena una battaglia sulle posizioni non conformiste di Hagel, a partire da quelle su Iran e Israele. Il prossimo inquilino del Pentagono viene accusato di antisemitismo per aver detto in passato che “la lobby ebraica intimidisce molta gente al Congresso”, e per la dichiarazione in cui afferma di non aver giurato come senatore di Israele, bensì degli Stati Uniti. SullʼIran, Hagel è convinto che la migliore per via per convincere gli ayatollah a rinunciare ai sogni nucleari siano i negoziati, non un attacco. “Non ci sarà pace né stabilità in Medio Oriente senza la partecipazione dellʼIran”, ha detto. Nel 2008 è stato uno degli unici due senatori a votare contro un ampliamento delle sanzioni. Hagel è membro di Ploughshares, una fondazione che ha finanziato con 2 milioni di dollari alcuni think tank per promuovere una politica meno aggressiva nei confronti dellʼIran.
Hagel in ogni caso non scriverà la politica estera degli Stati Uniti: a quella ci pensa Obama. Eppure, la sua nomina serve per allargare il dibattito sul Medio Oriente, sgravando il presidente dalla battaglia giornaliera per convincere gli americani che bombardare lʼIran non serve gli interessi del Paese. Piuttosto, il suo vero compito sarà quello di presiedere ai tagli al budget della Difesa. Se il suo predecessore Panetta aveva definito “catastrofiche” le riduzioni del bilancio, Hagel sembra più risoluto. “Difesa nazionale non vuol dire firmare un assegno in bianco per tutto quello che i militari vogliono”, ha detto. La questione del debito chiede a tutti, “Difesa compresa, una profonda revisione”. Hagel sarà utile nei negoziati per la riduzione del debito pubblico. Nel caso i repubblicani dovessero fare muro sulle tasse, Obama potrà sventolare la minaccia dei tagli al Pentagono per non essere costretto a cedere solo sul fronte dei programmi sociali.
Ecco la carta che il presidente vuol tenersi nella manica. Sarà un asso? Non si sa. Di certo, il dissidente delle praterie tornerà a far discutere di sé.