Nella notte tra il 7 e l’8 gennaio scorso all’ospedale Sandro Pertini di Roma è morto un neonato di tre giorni. Sua mamma lo stava allattando quando, stremata dalle fatiche del parto, si è addormentata, causandone il soffocamento. La Procura di Roma ha aperto un’inchiesta: l’ipotesi di reato è di omicidio colposo contro ignoti e la madre è qualificata come parte offesa.
La mala gestione di alcune strutture ospedaliere italiane del rooming-in, termine che si riferisce alla possibilità delle madri di tenere il bambino nella loro stanza subito dopo il parto e senza limiti di orario, è nota da tempo. La responsabilità è da imputare alla malasanità e alla carenza di personale, ma non solo.
La responsabilità di questa gestione e, più nello specifico, di tragedie come queste è soprattutto nella narrazione della maternità intensiva che ha generato dogmi pericolosi e li ha vestiti da verità.
Uno di questi è la convinzione, perpetuata soprattutto negli ambienti pre-parto, che non tenere i neonati attaccati al corpo delle madri possa compromettere la serenità di entrambi e l’allattamento al seno.
Gli spazi dedicati alla maternità pullulano di narrazioni che romanticizzano il sacrificio, soprattutto quando si tratta di privazione del sonno. Si racconta del ritmo circadiano delle madri che si sintonizza in automatico sui bisogni del nascituro, dei corpi materni onnipotenti e tutti uguali.
Anche gli ospedali che hanno iniziato a gestire male il rooming-in, a dilatare i tempi dei controlli e a lanciare addosso alle madri ancora sanguinanti delle creature delicate e complesse, probabilmente non sono immuni dalla convinzione della supremazia assoluta dell’istinto materno.
La verità è che resistere al crollare nel sonno, subito dopo il parto, può essere un’impresa impossibile, ed è impensabile che un intero sistema dia per scontato uno sforzo sovraumano.
Il cambiamento culturale che sradica la cultura della maternità dal substrato di stereotipo e dolore necessita di tempi lunghissimi, per cui occorre un lavoro collettivo e costante. Nel frattempo, però, si deve regolamentare il rooming-in negli ospedali. Non si può più aspettare.