Inchiesta TPI – “E tu, donna, partorirai con dolore”: chi c’è dietro il business della maternità sofferta
Dottoresse-sciamane, ostetriche estremiste, consulenti online. Esaltano i benefici di un travaglio sofferto, colpevolizzano le madri che ricorrono al cesareo, le inducono a rifiutare l’anestesia. Ecco chi sono e perché predicano il ritorno alla natura ancestrale della maternità
«Mi avevano detto che sopportare il dolore del parto sarebbe stata la prima prova da mamma. Io soffrivo troppo, ma non volevo cedere all’analgesia. Alla fine però non ce l’ho fatta, ho chiesto l’epidurale per sentire meno dolore, ma nel frattempo piangevo e chiedevo scusa al mio bambino, sentivo di averlo tradito a causa della mia debolezza e bisogno di sollievo», racconta Ginevra Massiletti, 32 anni, di Cosenza, che l’anno scorso ha dato alla luce il suo primo figlio.
Ginevra ora ha superato lo choc, ma «per mesi – confida – ho creduto di non essere all’altezza della mia maternità».
Durante la gravidanza, documentandosi su vari blog e pagine social, aveva interiorizzato una convinzione: che il parto accompagnato da anestesia per alleviare il dolore della madre fosse un parto di serie B, e soprattutto che in questo modo lei avrebbe egoisticamente messo se stessa davanti al bambino.
Quello di Ginevra non è un caso isolato. Come abbiamo già raccontato più volte su TPI, in rete, su alcuni giornali e persino in certi ambienti sanitari imperversa infatti una narrazione della maternità che ostracizza qualsiasi supporto medico-farmacologico al parto, per non dire del ricorso al cesareo, in nome di una visione ancestrale secondo cui il corpo della madre deve fare tutto da sé, e qualsiasi “aiutino” offerto dalla scienza avrà effetti negativi sul nascituro.
Una deriva estremista dietro cui spesso si cela anche un vero e proprio business, fra corsi e consulenze rigorosamente a pagamento.
Lorena Traldi, che sul suo sito personale si definisce operatrice olistica e insegnante di massaggio infantile («che io – afferma – ho trasformato in massaggio neonatale integrativo in quanto comprende alcune tecniche di massaggio apprese durante un corso certificato», senza specificare che tipo di corso né certificato da chi), vende a 360 euro lezioni su come liberare il corpo del neonato dalle scorie del parto cesareo, che sarebbe causa diretta di irrequietezza, pianti disperati, paura, ansia e angoscia a lungo termine.
Come riesca a fare tutto questo attraverso una videochiamata su Whatsapp rimane un mistero. Quanto alle sue fonti scientifiche, sono semplicemente non pervenute.
Sulla sua visione del cesareo, invece, non ci sono dubbi: nascendo con un intervento chirurgico, si legge sul suo sito, «il bambino non può sperimentare la sua forza fisica e il suo tono emozionale sarà in relazione al tipo di esperienza vissuta per nascere; ciò che rimane potrebbe essere la lotta fra due forze in contrapposizione: l’istinto innato a nascere in modo naturale, contro un’induzione meccanica che la inibisce».
Traldi fa parte di una squadra di consulenti famigliari, il team “With Love”, che vende online prodotti per neo-genitori, come una guida al sonno dei bambini da 59 euro.
Sensi di colpa
Questa visione ancestrale della maternità si esprime essenzialmente in due correnti: una più “naturalistica” e una “intensiva-madrecentrica”. L’elemento comune è il ruolo giocato durante il parto dal dolore.
La corrente intensiva performativa attribuisce al dolore del parto una potenza che emancipa dalle forme di controllo scientifiche: su un articolo pubblicato da Uppa, magazine dedicato alla genitorialità, si legge che «l’epidurale conferma alla donna che il suo corpo è una macchina che non funziona bene, che deve essere gestita da esperti, anche per fare la cosa più naturale del mondo: dare alla luce un figlio».
Il filone naturalistico imputa invece la responsabilità del parto doloroso all’ambiente ospedaliero, che comprometterebbe la produzione di estrogeni, analgesici naturali: il parto in casa e non medicalmente assistito, secondo le sostenitrici di questa corrente, è l’unica via percorribile.
Si rifanno a questa matrice naturalistica pagine social come “L’ostetrica dell’anima” o “Le tre lune”, o fautrici dello sciamanesimo femminile come Francesca Maffeo, che sul suo profilo snocciola teorie di dubbia validità («Se hai spesso mal di stomaco è perché non hai digerito qualche evento della tua vita»), oltre a centinaia di profili social dietro i quali ci sono coach sciamaniche, operatrici olistiche e naturopate accomunate dal medesimo intento: la vendita dei corsi.
Anche la corrente della maternità intensiva ha le sue figure di riferimento social, tra cui le consulenti professionali in lattazione Antonella Sagone, Martina Carabetta, Marika Novaresio, che aiutano le donne a smettere di allattare solo dopo essersi accertate, secondo personalissimi parametri di valutazione, che «la madre lo voglia davvero». Il più delle volte riescono ad avvedersene dopo una veloce consulenza in chat.
La neo-mamma Martina Guglielmi racconta di essersi affidata proprio a una di queste consulenti per smettere di allattare: «Dopo un rapido scambio di messaggi, la guru mi ha chiesto 90 euro per una consulenza che si sarebbe svolta via chat. Era evidente fin da subito il suo tentare di convincermi che io non volevo davvero smettere di allattare, che era la società a volerlo. Quello era un periodo di fragilità per me, e l’incontro con lei ha acuito il senso di colpa e d’inadeguatezza che provavo. Oggi riesco a parlarne con lucidità, ma non è stato facile realizzare quello che avevo subìto».
Sanità contaminata
Questa visione della maternità totalizzante e performativa non è circoscritta ad ambienti di natura dichiaratamente estremista, ma attecchisce anche in alcuni ospedali.
«Durante la mia prima gravidanza – racconta a TPI Silvia Licata – sono stata seguita privatamente da un ginecologo che lavora anche all’ospedale Beauregard di Aosta. La gravidanza procedeva bene, sebbene le mie condizioni di salute non fossero delle migliori, ragion per cui non mi sentivo proprio dell’idea di affidare il parto solo al mio corpo. Ho deciso, quasi subito, di chiedere informazioni sul cesareo, e non dimenticherò mai la risposta del ginecologo: “Solo il dolore del parto naturale unisce una madre a un figlio, ma se vuoi comunque arrenderti in partenza devi avviare un percorso psicologico per valutare la tua idoneità di accesso al parto cesareo”. Non avevo mai sentito di questa clausola, ma mi affidai alla professionista segnalata dall’ospedale, a mie spese».
«Le nostre sedute erano caratterizzate da continui tentativi di dissuadermi dal cesareo, a suon di esempi come “nella vita si vivono momenti difficili e momenti gioiosi, non ricordiamo con più amore chi ci è stato vicino nella difficoltà? Il dolore del parto ti permetterà di vivere con tua figlia un momento difficile e il vostro legame sarà unico”».
«Dopo una serie di tentativi di questo tenore, la dottoressa mi inviò via mail dei test di autovalutazione della depressione post partum con una serie di domande che mi inquietarono. Ricordo quella in cui mi si chiedeva se provassi odio verso la vita che portavo dentro. Mi fece rabbrividire. Mentre lo compilavo non riuscivo a ignorare un quesito che mi affliggeva: perché se chiedo informazioni su un cesareo devo sottopormi a questa valutazione? Alla fine inviai i test, dai quali risultai non a rischio di depressione, quindi non idonea ad accedere a un parto cesareo».
Giusy Rondinelli, 30 anni, ha presentato un esposto alla Procura di Bologna per il trattamento ricevuto durante il parto in un ospedale del capoluogo emiliano, lamentando di non aver ricevuto nessun supporto al dolore in fase di travaglio («In compenso, mi era continuamente intimato di smettere di urlare, perché “tanto non serve a nulla”»), punti di sutura nella zona vulvare applicati erroneamente e rimossi senza avvertirla mentre il personale le bloccava gambe e braccia, infezione da contatto prolungato con materiale fecale e conseguente disturbo post-traumatico da stress.
«Il disturbo da stress post-traumatico post-partum – spiega a TPI la psicologa Martina Ferrari, specializzata in psicoanalisi della relazione – viene diagnosticato al 4% delle donne in Europa. Percentuali più elevate di sintomi, tra il 24% e il 34%, si evidenziano quando si considerano i sintomi in forma parziale. I dati ci suggeriscono che il personale medico sia impreparato nella prevenzione e nella gestione di questo grande dolore, che ha delle forti ripercussioni sulla vita della madre, del bambino e dell’equilibrio familiare».
«La percezione di intenso dolore può favorire nella paziente l’utilizzo di difese dissociative, di allontanamento dal proprio corpo, la violazione delle aspettative sul parto per aver sperimentato il personale medico come sbrigativo, non attento, poco sensibile agli aspetti psicologici e abusante, quindi non supportivo».
Terrorisimo psicologico
La narrazione ancestrale della maternità trova spazio anche in alcuni corsi pre-parto molto gettonati. Elisa Mercurio, operatrice sanitaria di Roma, ci racconta così la sua esperienza con il corso organizzato dall’ostetrica Valeria Barchiesi per l’associazione culturale “Il Nido”: «Ho frequentato questo corso nel 2021. L’elemento principale è un costante terrorismo psicologico nei confronti del personale sanitario. C’erano alcune azioni non solo espressamente sconsigliate, ma quasi vietate. Tra queste, la prima è da individuare nel ricorrere all’epidurale, pratica a cui si attribuivano conseguenze tragiche come bambini nati “mosci”».
«“L’anestesista è il diavolo del parto” è la frase che più mi è rimasta impressa di tutto il percorso con loro. Secondo la loro narrazione, l’unico parto davvero sicuro era quello in casa, lontano dalla meccanicità della medicalizzazione, descritta come il male supremo. Inoltre, ci si avvaleva della presenza di altre figure di dubbia professionalità, come una dietista che mi ha prescritto una dieta a base di fritti in olio extravergine per depurare il fegato, o una venditrice di fasce portabebè, in contrapposizione all’utilizzo del passeggino, demonizzato. Il corso promuoveva, con gli stessi toni impositivi, l’allattamento esclusivamente al seno e a termine, anche fino ai 6 anni d’età del figlio».
Un discorso a parte merita invece il seguitissimo corso preparto di “Mamme in Movimento”, che conta migliaia di seguaci e che vende a 400 euro tecniche di travaglio con «dolore dimezzato» (non si capisce quale sia il parametro di riferimento da cui promette di scalare il 50% del valore) e garantisce addirittura lo 0% di rischio di lacerazione e parti lampo.
“Mamme in Movimento” – di cui su questo giornale abbiamo già parlato nei mesi scorsi – si fregia del curriculum della sua fondatrice, Elena Taddei, laureata in Scienze motorie e Scienze della formazione, nonché docente di un corso all’Università di Firenze, ideatrice di un metodo di biomeccanica ostetrica che con un pizzico di autoreferenzialità porta il suo nome, “Taddei smarth birth”, ma che non risulta pubblicato su alcuna rivista scientifica.
Al successo di pubblico dei corsi di Taddei negli ultimi due anni è stato dato ampio spazio sulla stampa italiana. Un’intervista rilasciata dalla dottoressa a Repubblica, tuttavia, è costata alla testata giornalistica un esposto da parte dell’Ordine nazionale delle Ostetriche, che ha contestato «l’atteggiamento pubblico di Taddei verso il gruppo professionale (denigratorio e minaccioso per affermazioni riguardo all’impreparazione e alla mancanza di competenze dell’ostetrica nell’ambito della preparazione fisica al parto della gestante) nonché i disagi, le complicanze e le difficoltà incontrate dalle ostetriche nei processi di controllo e monitoraggio del travaglio con gestanti che hanno seguito i corsi preparto con il metodo Taddei, che arrivano in ospedale completamente sfiduciate nei confronti del personale sanitario».
Per giunta, il metodo Taddei non sempre funziona. Una donna che chiede di rimanere anonima ci ha raccontato: «Qualche tempo fa ho partecipato al corso di “Mamme in movimento”, che ho conosciuto grazie a un articolo di Repubblica che ne tesseva le lodi. Credevo davvero che le loro tecniche mi avrebbero garantito l’accesso a un parto quasi indolore, rapido e senza lacerazioni. Ci ho messo tutto l’impegno che avevo in corpo, ma il parto è andato male, e dopo qualche giorno ho ricontattato la coach per ricevere delle spiegazioni».
«Da parte sua ho ottenuto solo indifferenza, mi ha ignorata lasciandomi sprofondare nel senso di colpa, con cui ho combattuto per anni. Lo scorso mese, però, mi sono imbattuta nell’inchiesta su The Post Internazionale in cui si parlava proprio di quel corso. Ho provato un’indescrivibile rabbia ma ho finalmente rimesso insieme i pezzi: io non avevo colpe. Così, sull’onda di questa consapevolezza, ho lasciato una recensione al corso».
«Qualche giorno fa ho ricevuto una lettera di querela da parte della coach, con la richiesta di un’ingente somma di denaro, proprio in riferimento a quella opinione che avevo tutto il diritto di esprimere. Da quel giorno mi sento nuovamente assorbita dal senso di colpa, è come se si fossero riaperte le ferite. Per me, questa, rappresenta una doppia violenza».
La setta del Mandala
Come si può già dedurre dalle esperienze raccontate fin qui, le declinazioni della maternità ancestrale sono molteplici e, sebbene profondamente connesse da alcuni elementi ricorrenti, tutte diverse fra loro. Tra queste, dopo mesi di indagine, ne abbiamo scoperta una particolarmente inquietante e a tratti persino pericolosa: una rete ad appannaggio femminile che si identifica in un gruppo chiamato Mandala.
L’intento delle persone che fanno parte di questa rete è sovvertire le logiche del mercato ed emanciparsi dal patriarcato, mettendo in piedi quella che definiscono un’economia solidale femminista.
Per entrare a far parte del Mandala bisogna essere invitate da qualcuno, e versare una quota di 1.300 euro, con la promessa di un ritorno economico quadruplicato e dell’affetto incondizionato da parte delle altre componenti del gruppo: ogni donna ha il compito di farne entrare nella rete almeno altre due, rispettando precisamente lo schema di ogni sistema di vendita piramidale.
I gruppi Mandala italiani che abbiamo rintracciato sono circa duecento, ognuno dei quali dotato di una propria chat Whatsapp su cui ogni giorno le adepte si scambiano compiti, preghiere e messaggi audio e video. Ciecamente orientate a un ritorno alla natura, le “mandaliane” non credono alle vaccinazioni (neanche al Covid) nè più in generale alla medicina e alla scienza, dipinta come uno stivale patriarcale che esercita il controllo sul collo delle donne.
Anche le caratteristiche delle donne che vi aderiscono sono ricorrenti: si tratta per lo più di persone senza un lavoro a cui peraltro viene di fatto anche preclusa la possibilità di trovarne uno, vista la mole di compiti quotidiani a loro affidati da un gruppo che assoggetta chi ne fa parte, perpetuando così proprio quella stessa condizione di subalternità da cui le partecipanti vorrebbero liberarsi.
Prima di entrare a far parte di questo sistema e ritirarsi a vivere immersa nella natura, Ada Nisticò recitava da co-protagonista nel film di Marco Bellocchio “Il traditore” accanto a Pier Francesco Favino. Oggi pubblica su Instagram decine di post e video che documentano i rituali praticati dal suo gruppo Mandala e la ritraggono sdraiata a terra mentre altre donne danzano attorno a lei e al suo pancione, tra fiori, candele e tamburelli.
Sul suo profilo social particolare spazio è dedicato al rito “Blessing Way”, tenuto in un bosco siciliano: «Si tratta di una cerimonia che benedice la futura madre. Un evento spirituale che dà l’opportunità di sperimentare il sostegno simbolico delle nostre Antenate e il supporto fisico delle nostre sorelle, madri», si legge sul sito web Mamastè, che ospita decine di corsi dedicati alla maternità.
L’imprinting del sito è chiaro già dalla home page: «La gravidanza è la preghiera più spirituale e profonda tra te e il creatore. Il parto è la più potente manifestazione spirituale del divino».
Il parto in casa è una prerogativa di tutti i gruppi del Mandala, che hanno spesso un’ostetrica di riferimento che assiste e benedice i loro rituali e aiuta queste donne durante i loro parti in casa o in aperta natura. Una presenza che peraltro è quasi evanescente: «L’ostetrica sta a guardare in silenzio, interviene solo in caso di emergenza, la madre deve partorire da sola», scrive un’adepta sul suo profilo social. Per inciso, la prestazione dell’ostetrica quasi invisibile può arrivare a costare 3mila euro.
Medico o sciamano?
«Partorire è come fare l’amore», scriveva il magazine Donna Moderna in un’inchiesta pubblicata il mese scorso che si concentra su un interrogativo rivolto alle lettrici e ai lettori: «In Italia solo lo 0,2 % delle donne sceglie il parto in casa. Un dato bassissimo se confrontato con il 3% del Regno Unito, secondo voi come mai?». Dimenticando o ignorando che in Italia imperversano i parti in casa non regolamentati, quindi non attinenti al protocollo del parto a domicilio (esistono le condizioni per farlo in sicurezza).
Solo due giorni prima che uscisse quell’articolo, un neonato era stato ricoverato in gravi condizioni a Trieste dopo un parto in casa irregolare seguito da un’ostetrica che qualche mese prima aveva assistito a un altro parto casalingo conclusosi con la morte del neonato.
La massima espressione della deriva ancestrale della maternità è da individuare in alcune declinazioni della “medicina naturale”, basata cioè «sulla naturale capacità di ogni persona di guarire in modo unico e creativo, in base alle proprie necessità».
Tra le maggiori esponenti italiane di questa banca c’è la dottoressa Elena Benigni, laureata in Medicina e Chirurgia nel 2009 a Tarragona, in Spagna, e, come lei stessa afferma, «appassionata di sciamanesimo, saggezza ancestrale femminile e omeopatia».
Benigni organizza corsi a pagamento di medicina placentare durante i quali le donne, armate di guanti in lattice, maneggiano materiale organico umano (placenta e cordone ombelicale) per ricavarne unguenti e capsule alimentari contro virus e malattie, collanine e frullati rigeneranti.
Sul suo sito la dottoressa riporta la testimonianza anonima di una sua paziente affetta da un tumore maligno uterino che sarebbe guarita grazie al fatto di essere rimasta incinta. Benigni organizza anche corsi di sciamanesimo uterino, a pagamento per donne adulte e gratuiti per le ragazze sotto i 15 anni. Viene proprio da chiedersi cosa debba insegnare alle bambine.
Un’altra deriva della medicina naturale ai danni dei corpi delle donne è rappresentata dalla teoria delle memorie uterine. Cinzia Surya, ex stilista di moda, oggi coreografa, ma soprattutto, come lei stessa si definisce, «coach al femminile», sul sito web Woman Inside promuove e vende corsi per purificare gli uteri, operazione necessaria al benessere psichico e fisico, con vaporizzazioni e danze. Si arriva anche a consigliare di cambiare partner quando queste non funzionano. Quindi sempre.
Da segnalare anche il sito web Alma Respira, dove Aida Cavallo, doula energetica, organizza corsi all’insegna di «respirazione Roaf e Memorie Uterine, strumenti che utilizzo per aiutare le persone ad aprire i loro cuori e tornare in contatto con la loro essenza, sessualità e piacere».
Secondo la teoria delle memorie uterine, è l’utero il vero cervello femminile. «Quando una donna non segue il suo utero», spiega Surya, «inizia ad ammalarsi, le patologie vanno dalla depressione alla rabbia furiosa, e successivamente a reali problematiche. Spesso, infatti, gli organi più colpiti sono utero e ovaie, basti pensare alle cisti, all’endometriosi o ai tumori».
Queste coach vendono come imprescindibili corsi praticamente su tutto: senso di colpa materno, svezzamento, sonno, allattamento, ciuccio, educazione Montessori, educazione rispettosa; e tanti altri alimentano la performatività di una maternità a cui non si riesce a star dietro e che sfocia inevitabilmente in un senso di inadeguatezza e frustrazione che possono condurre in sentieri oscuri.
Certo, se le istituzioni e più in generale la politica fornissero alle madri, e alle future madri, una valida rete di supporto, un welfare efficace, un mondo del lavoro meno respingente e una diversa visione culturale, forse la deriva della maternità ancestrale avrebbe preso meno piede e non sarebbe diventata un trend in crescita, che romanticizza il dolore del parto e le fatiche delle madri, che mina autodeterminazione e sicurezza servendosi di violenza e disinformazione. E che, mentre afferma di proteggere la maternità pura, la imprigiona in una rete di inedita forma di asservimento, che qualcuno chiama amore materno.
Mamme in Movimento è un corso di preparazione fisica al parto, nato dalla professionalità e dall’esperienza ventennale della dottoressa Elena Taddei, scienziata motoria. Il corso, unico nel suo genere, è basato su un innovativo studio della biomeccanica del corpo della donna in gravidanza e durante il parto. Il parto è considerato come una prestazione fisica eccezionale per il corpo della donna, cioè come un vero gesto atletico e, come si fa nello sport, va preparato tecnicamente, attraverso lo studio dettagliato delle singole forze che entrano in azione.
Lo studio biomeccanico è stato poi tradotto in un programma di allenamento specifico, fatto di esercizi mirati, tecniche di spinta e posizioni per il parto da fare in coppia col partner. In tal modo le future mamme arrivano in sala parto consapevoli e tecnicamente preparate su come muovere il proprio corpo e quindi in grado di gestirlo al meglio.
Secondo un primo studio statistico condotto in collaborazione con il dipartimento di Statistica dell’Università di Firenze, il travaglio risulta più rapido, meno doloroso e si registra una minore incidenza di lacerazioni. I neonati hanno un ottimo indice Apgar e anche le mamme hanno una ripresa molto veloce, dimostrando un miglioramento di tutti gli outcomes dei parti.
I risultati, disponibili sul sito scientifico www.taddeismartbirth.com, sono valsi alla dottoressa Taddei la partecipazione, nel 2017, al premio Europeo “Horizon Prize – Birth Day”. Da allora la raccolta dati è costante e altri studi sono in programma. Dal 2013 il metodo è oggetto di un corso presso “Scienze e tecniche dello sport e delle attività motorie preventive e adattate”, all’interno del corso di laurea magistrale di Scienze Motorie dell’Università di Firenze, dipartimento di Medicina, tenuto personalmente dalla Dottoressa Taddei.
Trattandosi di un programma di allenamento fisico del corpo della gestante, il metodo non si pone assolutamente in alternativa agli interventi medico-sanitari in gravidanza e durante il parto ed in nessun modo gli esercizi o le posizioni possono ostacolare o inibire l’intervento del personale medico sanitario.
Mai la Dottoressa Taddei ha inteso o intende criticare l’operato dei professionisti sanitari, di cui, come scienziata, riconosce e rispetta la professionalità, tant’è che, attualmente, sono in essere progetti di collaborazione con l’Azienda Ospedaliera Universitaria Fiorentina di Careggi e con l’ospedale universitario di Lione.
Oramai da anni, il corso registra un numero di iscrizioni costantemente in crescita, vantando la partecipazione di mamme provenienti da tutto il mondo (Europa, America, Oriente e Australia).