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Cronache persiane

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Cosa sta succedendo nell'Iran di Rouhani

Goodbye Ahmadinejad, welcome Mr. Rouhani” è stato lo slogan più scandito per le strade di Tehran dopo l’elezione di Hassan Rouhani alla presidenza della Repubblica Islamica dell’Iran. Considerato da molti come l’antidoto indispensabile per curare i mali che fino ad allora avevano afflitto l’Iran, è stato salutato dalla stampa occidentale e da una larga maggioranza di leader internazionali (fatta eccezione per Israele) come un faro di speranza. A tre mesi dal suo esordio come presidente della Repubblica Islamica, già si parla di un Paese sulla via del rinnovamento.

Pamela Schirru ne racconta gli ultimi sviluppi. 

 

Lunedì, 27 dicembre 2013

La rivista americana Foreign Policy ha inserito il presidente iraniano Hassan Rouhani nella lista dei 100 personaggi più influenti del 2013. Eccezionalmente, quest’anno sono risultati 134 nomi sulla lista stilata dal magazine americano. Rouhani ha conquistato la 18esima posizione, collocandosi fra i più importanti ed incisivi “decision makers” dell’anno appena terminato, affiancando i leader occidentali come la cancelliera tedesca Angela Merkel o il presidente della BCE Mario Draghi.

Nel 2010, al 41esimo posto si collocò Mehdi Karroubi, candidato riformista alle elezioni presidenziali del 2009 insieme a Mir Hossein Mousavi; entrambi sconfitti dallo sfidante conservatore Mahmoud Ahmadinejad eletto per la seconda volta alla guida della Repubblica Islamica.

Nel 2009, il terzo posto tra i “decision makers” più influenti venne conferito alla moglie del candidato riformista Mir Hossein Mousavi, Zahra Rahvanard, considerata la mente dietro le rivolte scoppiate all’indomani dell’esito elettorale del giugno 2009, che diedero poi vita al cosiddetto “Movimento Verde”.

Perché Hassan Rouhani?

La breve descrizione fornita da Foreign Policy non chiarisce le ragioni di una simile scelta. Nonostante la fresca nomina alla guida della Repubblica Islamica (appena cinque mesi), Rouhani si è presentato fin da subito come il volto pragmatico della Repubblica Islamica. La sua partecipazione all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite e il suo “storico” discorso hanno permesso un riavvicinamento con gli Stati Uniti.

Qui il discorso completo di Rouhani all’ONU.

Le lettere e la telefonata con il presidente americano Barack Obama hanno rotto almeno in apparenza un silenzio diplomatico durato ben tre decenni. Gli sforzi della diplomazia internazionale e iraniana hanno permesso, seppur con riserva e temporaneamente, il raggiungimento di un accordo sul programma nucleare iraniano. Ma gli impegni che attendono Rouhani non sono finiti. Tra una settimana il presidente iraniano volerà alla volta di Davos (Svizzera), dove è atteso al World Economic Forum che aprirà i lavori il prossimo 22 gennaio.

Era dal 2004 che un presidente iraniano non partecipava al Forum Economico. L’ultimo che vi prese parte in veste di rappresentante del governo di Tehran fu il riformista Mohammad Khatami.

Qui l’intervento dell’allora presidente Khatami.

 

Giovedì, 26 dicembre 2013

In occasione delle festività natalizie, il presidente iraniano Hassan Rouhani ha affidato alla rete il suo messaggio di auguri alla comunità cristiana in Iran e nel mondo per la nascita di Cristo, rivolgendo un pensiero particolare a Papa Francesco.

Nel suo primo tweet postato alla vigilia di Natale, il presidente iraniano ha sottolineato come il Natale rappresenti un’opportunità per il dialogo e l’interazione tra i seguaci di diverse religioni.

Qui il tweet rivolto alla comunità cristiana iraniana.

Nel tweet postato il 25 dicembre e indirizzato all’account Twitter @Pontifex, il presidente iraniano ha rivolto le sue “felicitazioni al Pontefice per la nascita di Cristo, profeta d’amore, di misericordia e di amicizia”. Nel messaggio, il leader iraniano ha chiesto a Papa Francesco di usare la sua posizione influente per contribuire a promuovere la pace mondiale e diminuire la povertà.

Qui il tweet postato dall’account @HassanRouhani.

In un secondo tweet postato sempre mercoledì, Rouhani è stato ritratto mentre trascorreva la notte di Natale in compagnia di alcune famiglie dei martiri e degli invalidi di guerra cristiani.

Qui la foto.

La comunità cristiana più nutrita in Iran è quella armena, considerata anche la più grande con una stima che oscilla tra i 100.000 e i 250.000 seguaci.

Essa è localizzata soprattutto a Tabriz, Isfahan, Shiraz, Orumiyè, Tehran e nelle province dell’Azerbaijan. Qui si trovano numerosi villaggi a minoranza cristiana con diverse chiese. Riconosciuta legalmente, la minoranza armena ha una piccola rappresentanza nel Parlamento iraniano con due seggi. deputati. Dopo la minoranza armena viene quella assira, con 10.000 seguaci. Anche loro possiedono un seggio in Parlamento.

Anche i cristiani iraniani celebrano la nascita di Gesù, più o meno come tutti gli altri cristiani nel mondo; a seconda del calendario, armeni e assiri celebrano il Natale il 6 gennaio, mentre altri lo festeggiano il 24 dicembre.

La comunità cristiana iraniana si prepara al Natale, qui il video.

 

Giovedì, 28 novembre 2013

Per celebrare i primi cento giorni da presidente della Repubblica Islamica, sul profilo Twitter del presidente Rouhani è comparso un video musicale, dal titolo significativo “Aspirations – New Voyager” ispirato al “Yes we can” di Barack Obama.

Qui il tweet diffuso dall’account @HassanRouhani

Qui il video con sottotitoli in inglese.

Il video musicale in bianco e nero è stato realizzato in maniera spontanea dal documentarista iraniano Hossein Debashi, già attivo nel corso della campagna elettorale dell’attuale presidente iraniano. Il video clip riprende alcuni segmenti del discorso pronunciato da Rouhani il 3 agosto scorso, in occasione del suo insediamento, mixati con la musica e le canzoni interpretate dal noto cantante e attore, Amir Hossein Modaress.

Nel videoclip compaiono anche persone di ogni età che suonano e cantano non solo in farsi, ma anche nelle lingue delle minoranze iraniane (compresi curdi e arabi). Nel video compaiono anche figure di spicco della storia moderna iraniana, tra cui il Primo Ministro Mohammad Mossadegh e il fondatore della Repubblica Islamica, Ruhollah Khomeini.

Ecco la traduzione di un breve passo del video: “Lasciate spazio e opportunità a tutti gli iraniani che si sono dedicati a questa terra…Lasciate che i loro cuori siano purificati dall’odio. Lasciate che la riconciliazione sostituisca la rabbia, che l’amicizia sostituisca l’inimicizia…”

Intanto, in un editoriale pubblicato mercoledì sul Washington Post, il giornalista Max Fischer ha notato numerose corrispondenze fra il video di Rouhani e quello di Barack Obama realizzato nel 2008, durante la campagna elettorale dell’allora senatore dell’Illinois.

Qui il video di Barack Obama.

 

Domenica, 24 Novembre 2013

Nella notte (intorno alle tre del mattino) l’Iran e i Paesi del 5+1 hanno raggiunto lo storico accordo sul programma nucleare iraniano. Dopo quattro giorni di confronti, i ministri degli Esteri dei sei Paesi hanno annunciato la notizia tanto attesa.

I termini dell’accordo:

1. L’Iran fermerà l’arricchimento dell’uranio oltre il 5 per cento;

2. Ridurrà le sue riserve di uranio arricchito;

3. L’Iran darà maggior accesso ai siti nucleari agli ispettori internazionali.

In cambio la Repubblica Islamica otterrà un alleggerimento delle sanzioni per i prossimi sei mesi da parte delle potenze occidentali, e un po’ di sollievo in termini economici con l’accesso a fondi derivanti dalla vendita di greggio del valore di 7 miliardi di dollari, in precedenza bloccati a causa delle sanzioni.

 

Domenica, 10 novembre 2013

Nessun accordo sul nucleare iraniano a Ginevra. Dopo tre giorni di negoziati, non è stato raggiunto alcun accordo fra Tehran e le potenze occidentali sul programma nucleare iraniano. Ma le speranze di raggiungere un accordo al più presto non sono venute meno. Il prossimo incontro con i Paesi del 5+1 è fissato al 20 novembre prossimo.

Intanto da Tehran è intervenuto il presidente Hassan Rouhani, che ha auspicato un sostegno da parte del Parlamento ai negoziati e al confronto con le potenze occidentali, pur insistendo sul fatto che la Repubblica islamica non debba rinunciare al diritto sul nucleare per scopi civili.

 

Sabato, 9 novembre 2013

Mentre a Tehran il 4 novembre andava in scena la protesta in chiave antiamericana in occasione del 34esimo anniversario dell’assalto all’ambasciata statunitense, a Ginevra l’Iran ha intavolato negoziati ad altissimo livello sul nucleare con le potenze occidentali.

In occasione del 34esimo anniversario dell’assalto all’ambasciata americana a Tehran (4 novembre 1979), un migliaio di attivisti e nostalgici della Rivoluzione Islamica si sono dati appuntamento lunedì scorso davanti agli edifici della ex sede diplomatica statunitense per rievocare l’evento che cambiò il corso dei rapporti diplomatici tra Washington e Tehran.

Qui il video della protesta.

Slogan antiamericani, tra cui il consueto “morte all’America”, bandiere calpestate o bruciate hanno segnato la tradizionale protesta, organizzata ogni anno fuori dagli edifici dell’ormai ex ambasciata Usa, per ricordare l’assalto alla sede diplomatica da parte di un gruppo di studenti e attivisti iraniani nel 1979 che portò al sequestro di 52 funzionari tenuti in ostaggio per 444 giorni. Questo episodio segnò la fine di ogni rapporto diplomatico fra Washington e Tehran. Un silenzio durato ben tre decenni.

Qui un approfondimento.

Tuttavia, la manifestazione del 4 novembre scorso ha assunto una connotazione diversa rispetto alle precedenti, per due ragioni:

A. La protesta in chiave antiamericana ha rappresentato l’occasione per le fazioni più conservatrici di lanciare un chiaro messaggio al neopresidente Rouhani, criticando aspramente il suo tentativo di avvicinarsi sempre più a Washington.

Qui l’ultimo intervento dell’ex capo negoziatore sul nucleare Sayeed Jalili, uomo di fiducia della Guida Suprema Ali Khamenei.

La stessa Guida Suprema ha invitato la fazione conservatrice più intransigente a non minare gli sforzi di negoziazione da parte dell’Iran.

B. La manifestazione è stata organizzata alla vigilia dei negoziati sul nucleare in programma a Ginevra a partire dal 7 novembre. Un incontro ad alti livelli fra Tehran e i Paesi del 5+1 (Stati Uniti, Russia, Cina, Regno Unito, Francia e Germania).

Al terzo giorno di colloqui fra il ministro degli Esteri iraniano, Mohammad Javad Zarif e i rappresentanti della politica estera europea e statunitense, non si è ancora giunti ad un accordo. A frenare su una possibile intesa la Francia, al tavolo dei negoziati con il suo ministro degli Esteri Laurent Fabius.

 

Domenica, 27 ottobre 2013

Più libri in circolazione e più libertà editoriali. È questa la proposta lanciata due giorni fa dal neoministro della Cultura iraniano, Alì Jannati. “I libri che in passato sono stati oggetto di continue censure, o ai quali è stato negato il permesso di pubblicazione – ha dichiarato Jannati giovedì in conferenza stampa – saranno rivisti di nuovo.”

Arriva così un altro segnale di apertura da parte del nuovo governo Rouhani, stavolta nel settore editoriale, sottoposto negli ultimi anni a una rigida censura da parte delle autorità religiose e governative iraniane. Ma la stretta più rigida al settore editoriale è arrivata sotto la presidenza di Mahmoud Ahmadinejad.

A partire dal novembre 2006 l’allora presidente Ahmadinejad aveva messo al bando numerose opere letterarie contemporanee. Autori come Tracy Chevalier con il suo celebre romanzo “La ragazza con l’orecchino di perla”, o Dan Brown con il suo bestseller internazionale “Il Codice Da Vinci”, non potevano più essere esposti nelle librerie iraniane.

La censura operata dal governo ha ovviamente provocato effetti devastanti sull’editoria iraniana, soprattutto per quanto concerne le case editrici specializzate nella narrativa popolare. A finire nella lista nera dei libri da censurare non solo opere nuove, bensì anche testi letterari scritti e redatti da autori iraniani contemporanei. Tra questi citiamo l’opera persiana “Buf – e kur” (la civetta cieca) dello scrittore Sadegh Hedayat, che riscosse ampio successo soprattutto in Europa, o le opere della scrittrice Shahrnoush Parsipour, autrice del libro “Zanan-e bedun-e mardan” (Donne senza uomini).

Qui un breve elenco.

Vietato anche l’uso di parole come bacio, amato, vino, ubriaco, maiale, danza, stupro, cane o meditazione, con il risultato che molti testi sottoposti a revisione e controlli hanno subito dei veri e propri stravolgimenti, se non addirittura la totale censura. Si stima che sotto il governo Ahmadinejad siano stati almeno 200 i libri dichiarati proibiti; tra questi figurano testi come il Simposio di Platone o l’Ulisse di James Joyce, oppure autori come Paulo Coehlo o Gabriel Garcia Marquèz.

Il neoministro della Cultura, Alì Jannati, ha riconosciuto l’assurdità di tali restrizioni, almeno secondo quanto riportato dal quotidiano riformista Arman: “Ho avuto modo di constatare che ad alcuni libri non è stata permessa la pubblicazione solo per motivi di opinioni personali”, ha dichiarato Jannati all’agenzia di stampa ufficiale IRNA.

Questo non vuol dire che sul mercato editoriale iraniano ricompariranno i Versi Satanici di Salma Rushdie, ma almeno si può sperare di rivedere in circolazione opere di autori come il grande Hedayat, i romanzi di Shahrnoush Parsipour o i libri del compianto Houshang Golshiri.

 

Giovedì, 17 ottobre 2013

Più libertà accademica negli atenei e nelle università iraniane. È questa l’ultima proposta avanzata lunedì dal neopresidente Hassan Rouhani, in occasione di un incontro con un gruppo di studenti e accademici dell’università di Tehran. “È necessario sospendere tutte le restrizioni imposte negli ultimi anni sulla libertà accademica. Bisogna concedere agli studiosi e agli accademici iraniani la possibilità di partecipare a conferenze internazionali e confrontarsi con altri punti di vista.”

Il presidente iraniano ha definito “vergognosa” l’azione di un’amministrazione che vieta ai propri studenti e ai professori delle università iraniane di esprimere il loro punto di vista. “Le autorità – ha esortato Rouhani – non dovrebbero più impedire agli studiosi di partecipare a incontri internazionali.” Il corpo docente può essere paragonato ad una sorta di “diplomazia scientifica”, pertanto ha proseguito il presidente iraniano “esorto tutti gli apparati di sicurezza, tra cui il ministero dell’Intelligence, ad aprire la strada a questa diplomazia. Fidatevi delle università.”

Negli ultimi anni molti professori universitari che avevano manifestato simpatie per l’opposizione e il Movimento Verde sono stati costretti alla pensione forzata, mentre molti attivisti e militanti nelle organizzazioni universitarie sono stati espulsi per le loro idee politiche.

Ma qualcosa sta cambiando in questa direzione. Il 22 settembre scorso una direttiva varata dal nuovo presidente dell’Università Azad di Tehran, Hamid Mirzadeh, ha stabilito che gli studenti non potranno più essere espulsi o sospesi per le loro convinzioni politiche. Egli ha anche invitato tutti i docenti ingiustamente discriminati a sollevare la questione con l’amministrazione universitaria, al fine di ottenere un riesame del loro caso.

Sotto l’amministrazione Ahmadinejad, le università avevano assunto una posizione fortemente conservatrice, costringendo molti professori ad andare in pensione anticipata a causa del loro presunto mancato rispetto per gli standard islamici. La stessa sorte è toccata a studenti e attivisti. All’interno delle università iraniane operano i cosiddetti Comitati disciplinari, ai quali spetta il controllo della condotta degli studenti. Dall’aprile 2005 fino al marzo 2013 sono stati almeno mille gli studenti e i professori espulsi dalle università.

Il picco di espulsioni è stato raggiunto nel 2009, con 364 studenti sospesi o espulsi, 436 studenti arrestati e 254 condannati.

Qui il report completo sulla violazione dei diritti degli studenti.

 

Giovedì, 3 ottobre 2013

Scambio di tweet fra il creatore di Twitter, Jack Dorsey, e il presidente iraniano Rouhani. L’occasione si è presentata martedì, quando Dorsey ha inviato un tweet dal chiaro intento provocatorio all’account @HassanRouhani, nel quale domandava al presidente iraniano “se i cittadini iraniani potessero vedere i suoi tweet sulla rete”. Il riferimento era appunto alla censura operata in Iran sui social network durante le proteste del 2009, sotto l’allora presidente Mahmoud Ahmadinejad.

Dopo quattro ore, dall’account Twitter di Rouhani è partita la replica: “Come ho ribadito nell’intervista rilasciata alla CNN, i miei sforzi saranno orientati a garantire l’accesso per tutti gli iraniani alle informazioni globali, come un loro diritto.”

Qualche minuto dopo è giunta la risposta di Dorsey sempre via Twitter: “Grazie @Hassan Rouhani ci faccia sapere come possiamo aiutarla a rendere tutto ciò reale.”

Qui lo scambio di tweet.

Sicuramente qualcosa è cambiato. L’account presidenziale @HassanRouhani gestito dal suo stretto entourage ha cominciato la sua piena attività il 5 maggio. Da allora è stato un susseguirsi di cinguettii presidenziali, che hanno attirato un numero crescente di curiosi e di followers. Fra i tanti tweet lanciati spicca quello in cui il presidente porge i suoi auguri alla comunità degli ebrei per il Capodanno ebraico (Rosh Hashanah), e il tweet con cui Rouhani conferma la chiacchierata telefonica con il presidente Obama.

Ma al di là dei tweet e delle dichiarazioni di intenti del presidente Rouhani in merito alla libertà di accesso ai principali social media, la censura permane. E c’è chi si domanda a tal proposito come sia possibile che il presidente comunichi con l’esterno e il resto del mondo, mentre all’interno del Paese vige il controllo e non vi è alcuna possibilità di accedere liberamente alla rete.

Il presidente iraniano, nonostante le innumerevoli dichiarazioni in merito,non può decidere da sé di facilitare l’accesso degli utenti iraniani ai social media. Ogni mossa futura dovrà essere valutata dai funzionari della sicurezza, dall’establishment religioso conservatore, e infine dall’Ayatollah Alì Khamenei, cui spetterà l’ultima parola.

Non bisogna dimenticare che in Iran è attivo il Supremo Consiglio per il Cyberspazio, il massimo organo governativo istituito nel marzo del 2012 su ordine di Khamenei. A quest’organo spetta la gestione di tutte le organizzazioni iraniane responsabili delle operazioni informatiche; e sempre a lui spetta il controllo del cyberspazio. Si tratta di un ente governativo con una struttura complessa e ramificata.

Qui una descrizione dell’Iran Cyber Warfare.

Domenica, 28 settembre 2013

Venerdì il presidente americano Barack Obama ha telefonato al presidente iraniano Hassan Rouhani. Una telefonata definita storica, dopo 35 anni di silenzio tra i due Paesi. Era dal 1979 che Tehran e Washington non avevano più alcun rapporto diplomatico. La conferma è arrivata direttamente dalla Casa Bianca.

Lo scambio di convenevoli è durato all’incirca 15 minuti. Al centro del colloquio telefonico, avvenuto mentre il presidente iraniano lasciava New York per far rientro a Tehran, ancora una volta i due punti cruciali: le sanzioni occidentali e il programma nucleare iraniano.

Obama si è detto fiducioso, nonostante le difficoltà e gli ostacoli, di poter arrivare ad una soluzione globale e ad un accordo sul nucleare.

Lo stesso Rouhani, impegnato nei giorni scorsi con i lavori dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, ha ribadito la volontà di raggiungere un accordo sulla questione nucleare entro tre mesi. Volontà condivisa dalla stessa Guida Suprema, l’Ayatollah Alì Khamenei, che ha concesso al presidente iraniano la libertà di negoziare.

In occasione di una conferenza stampa, Rouhani ha sottolineato che “qualsiasi risultato venga ottenuto attraverso i negoziati, il governo iraniano avrà il sostegno e l’appoggio di tutti i principali rami del potere e il pieno sostegno del popolo iraniano.”

Un accordo che arriverà a breve, ha assicurato il presidente Rouhani.

Sulle sanzioni occidentali – Un accordo sul nucleare porterebbe ad un ridimensionamento della portata delle sanzioni occidentali, che in questi anni hanno pesato sull’economia nazionale iraniana, contribuendo al suo isolamento internazionale. Lo stesso Obama ha ribadito durante il contatto telefonico con Rouhani che “gli Stati Uniti rispettano il diritto del popolo iraniano ad accedere all’energia nucleare pacifica, ma il tutto dovrà svolgersi in maniera trasparente e verificabile. Se verranno rispettate queste condizioni, allora si può anche pensare di alleviare il peso delle sanzioni attualmente in vigore.”

Raccontano fonti governative americane che la telefonata tra i due presidenti si è conclusa con il saluto di commiato in lingua farsi pronunciato da Obama, “Khodahafez” (خداحافظletteralmente “Dio sia il vostro guardiano”), e “Have a nice day” pronunciato da Rouhani.

Qui il tweet.

Nei giorni scorsi il presidente iraniano, intervistato dalle principali emittenti televisive americane (CNN) e dai più importanti quotidiani (Washington Post in testa), si era rivolto con un messaggio in inglese al popolo americano: “I would like to say to American people: I bring peace and friendship from Iranians to Americans.”

Qui il video.

Martedì, 24 settembre 2013

ore 23.59 – Gli occhi del mondo sono tutti puntati sull’esordio di Hassan Rouhani all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Il presidente iraniano prende la parola alle 17.00 ora locale (le 23 ora italiana) e pronuncia il suo attesissimo discorso davanti alle delegazioni di 193 Paesi. Un discorso della durata di 30 minuti circa, dove Rouhani alterna toni più decisi a un linguaggio in cui dominano parole come pace, tolleranza, rispetto e dialogo. Qui i punti salienti del suo intervento:

 “Sì alla pace, no alla guerra” con queste parole il presidente iraniano ha iniziato il suo personale intervento. “Il dialogo deve imporsi sul conflitto, la moderazione sull’estremismo”. E non dimentica di citare le recenti elezioni, definendole una speranza per il popolo iraniano: “L’Iran ha dimostrato ancora una volta di essere un Paese stabile in un oceano di instabilità regionale”.

La crisi siriana

Il presidente iraniano si è pronunciato sull’uso di armi chimiche in Siria, dichiarando che “l’accesso da parte di estremisti e di gruppi terroristici alle armi chimiche è un grave pericolo per la regione; ma anche l’uso della forza porterà solo a un inasprimento della violenza.”

Apertura al dialogo e al confronto con gli attori internazionali

“La violenza e l’estremismo al giorno d’oggi hanno oramai superato la realtà fisica e infettato la vita spirituale. L’intolleranza è la condizione del nostro tempo. Abbiamo pertanto bisogno di promuovere e rafforzare la tolleranza. Non dobbiamo solo tollerare gli altri, dobbiamo superare la semplice tolleranza e lavorare insieme. Le persone in tutto il mondo sono stanche della guerra. Questa è un’opportunità unica, e la Repubblica Islamica dell’Iran ritiene che tutti i problemi possono essere soddisfatti con successo.”

Sul programma nucleare

Rouhani ribadisce il diritto dell’Iran a proseguire sulla strada dell’arricchimento dell’uranio, elencando due ragioni essenziali.

“L’Iran cerca di risolvere i problemi e non crearli. Cerca di risolverli nel pieno rispetto reciproco. Il dossier nucleare è un esempio calzante. L’accettazione del diritto inalienabile dell’Iran rappresenta proprio il più semplice modo di risolvere questo problema. L’Iran e tutti gli attori devono perseguire obiettivi comuni sulla questione nucleare. Il programma nucleare iraniano deve perseguire esclusivamente scopi pacifici, e lo dichiaro anche qui, questo sarà sempre l’obiettivo della Repubblica Islamica dell’Iran. L’uso di un’arma nucleare non rientra nella dottrina di difesa dell’Iran. In secondo luogo, l’Iran non può rinunciare al diritto di arricchimento del nucleare e non può rinunciare ad altri diritti connessi al nucleare, come lo sviluppo della tecnologia nucleare su scala industriale.

In risposta a Obama

“Ho ascoltato con attenzione le dichiarazioni del Presidente Obama oggi all’Assemblea Generale. I colloqui non sono esclusi, a patto che vi sia una parità e il pieno rispetto reciproco. Naturalmente ci aspettiamo di sentire una voce coerente da Washington. La voce dominante in questi ultimi anni è stata l’opzione militare.” Fedele al suo discorso improntato al dialogo e al rispetto reciproco, il presidente nelle battute finali utilizza una parola, “The Wave” (l’Onda) mondiale contro la violenza e l’estremismo, invitando tutti gli Stati a intraprendere un nuovo sforzo per guidare il mondo in questa direzione, e sollecitando questi ultimi a ridisegnare una coalizione di pace piuttosto che una coalizione inefficace di guerra.

“Un luminoso futuro attende il mondo”, con queste parole Rouhani conclude il suo discorso, riscuotendo applausi tra i presenti.

Qui un ulteriore approfondimento. Qui il discorso integrale di Rouhani.

 

ore 18.30 – Alle 9 a.m, ora locale (le 15 ora italiana) ha preso il via la 68esima sessione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Dopo il discorso di apertura pronunciato dal Segretario Generale dell’ONU, Ban Ki-Moon, la prima a prendere la parola è stata la presidente del Brasile, Dilma Rousseff; a seguire l’atteso discorso del presidente americano Barack Obama. Qui uno stralcio del suo intervento, in cui parla apertamente dei rapporti passati e presenti con la Repubblica Islamica dell’Iran.

“Gli Stati Uniti e l’Iran sono stati isolati l’uno dall’altro a partire dalla Rivoluzione Islamica del 1979. Questa diffidenza ha pertanto radici profonde. Gli iraniani hanno lamentato a lungo le interferenze degli Stati Uniti nei loro affari, e hanno criticato aspramente il ruolo dell’America nel rovesciamento di un governo iraniano durante la guerra fredda. Dall’altra parte, gli americani hanno visto il governo iraniano considerare gli Stati Uniti alla stregua di un nemico, hanno minacciato di distruggere il nostro alleato Israele…Non credo pertanto che questa storia dal passato così difficile potrà essere superata in una sola notte – il sospetto ha radici profonde. Ma nel contempo, credo che risolvere la questione del programma nucleare iraniano può essere considerato un importante passo in direzione di un rapporto basato su interessi reciproci e sul rispetto reciproco.”

Qui il discorso integrale del presidente americano.

Diffidenza e sospetto hanno sempre animato i rapporti fra Stati Uniti e Repubblica Islamica, ha ricordato Obama citando i momenti storici salienti che hanno contribuito a rafforzare questa distanza fra i due Paesi: il colpo di Stato del 19 agosto 1953 con la destituzione del primo ministro iraniano Mohammad Mosadegh e l’assalto all’ambasciata statunitense a Tehran del 4 novembre 1979. Non sono mancati riferimenti indiretti al predecessore di Rouhani, ossia Mahmoud Ahmadinejad, con le sue innumerevoli minacce rivolte a Israele.

“Da quando ho assunto l’incarico, ho messo in chiaro in alcune lettere indirizzate sia al leader supremo in Iran (Alì Khamenei), sia più recentemente al presidente Rouhani, che l’America preferisce risolvere le preoccupazioni sul programma nucleare iraniano in modo pacifico, ma nel contempo siamo determinati a impedire lo sviluppo di un’arma nucleare.”

In virtù di quella profonda diffidenza citata da Obama, non sono bastate le parole concilianti pronunciate qualche giorno fa dal Presidente iraniano, il quale ha dichiarato nella prima intervista ad un’emittente Usa la volontà di “non voler sviluppare un’arma atomica”, pur mantenendo inalterato il diritto inalienabile dell’Iran di sfruttare il nucleare per scopi civili.

Qui il video dell’intervista al presidente iraniano (NBC News).

Bisognerà attendere l’intervento del presidente iraniano Hassan Rouhani, previsto nel tardo pomeriggio. Stando al programma della giornata pubblicato sul sito delle Nazioni Unite, Rouhani sarà il 24esimo presidente a prendere la parola.

Per il momento è escluso un ipotetico incontro bilaterale con Barack Obama. Lo hanno confermato oggi i vertici della Repubblica Islamica. “L’incontro non è all’ordine del giorno”, ha precisato la portavoce del Ministro degli Esteri, Marzieh Afkham.

 

Lunedì, 23 settembre 2013
Un nuovo Iran con Rouhani?

A 40 giorni dall’elezione di Hassan Rouhani alla presidenza della Repubblica Islamica dell’Iran, ci si domanda se il Paese cambierà sostanzialmente volto sotto la sua guida. Per un’ampia frangia di riformisti, Rouhani rappresenta il degno erede di Mohammad Khatami, il presidente che per otto anni consecutivi (dal 1997 al 2005) aveva cercato di condurre il Paese sulla via della modernità attraverso le riforme, pur mantenendo inalterata l’identità religiosa della Repubblica Islamica. Nelle sue molteplici declinazioni, Rouhani è apparso a tratti come il chierico moderato ma dalle venature riformiste; a tratti come il conservatore moderato aperto al dialogo e al confronto, ma pur sempre ancorato agli ambienti religiosi e clericali.

Per capire se e come l’Iran potrà cambiare, The Post Internazionale ha intervistato Farian Sabahi, docente di Storia dei Paesi Islamici all’Università di Torino, giornalista del Sole 24 Ore e scrittrice (la sua ultima opera è il reading teatrale “Noi Donne di Tehran”) e Mostafa Khosravi, attivista politico che durante la campagna elettorale del 2009 ha lavorato nello staff del candidato riformista (insieme a Mir Hossein Mousavi) Mehdi Karroubi.

Per molti aspetti, Rouhani può essere visto come il giusto equilibrio fra le molteplici istanze politiche e sociali che animano la Repubblica Islamica; la scelta del nuovo esecutivo, ad esempio, pare abbia incontrato il favore sia dei riformisti sia dei conservatori. Una scelta che, nel contempo, denota una presa di distanza dalla passata amministrazione Ahmadinejad. Si può parlare di una rottura definitiva? «Direi di si –spiega la professoressa Sabahi – e i segnali di un cambiamento percettibile ci sono stati, a cominciare dagli auguri presentati agli ebrei, soprattutto a quelli iraniani, ma non solo, di Rosh Hashanah.» Un atto simbolico significativo senza precedenti.

Anche la scelta di nominare tre donne ai vertici della politica iraniana s’inserisce nel quadro del rinnovamento? «Per certi versi sì, ma occorre precisare – sottolinea Sabahi – che queste nomine sono venute solo in seconda battuta, dopo le critiche rivolte al neo presidente che, nonostante le tante promesse in campagna elettorale, non aveva inizialmente scelto alcuna donna per il suo esecutivo.»

E su questa decisione iniziale ha ironizzato perfino il quotidiano riformista Etemad che, seppur congratulandosi con il neopresidente Rouhani per la scelta accurata della nuova squadra di governo, nell’editoriale dell’8 agosto dal titolo “Tutti gli uomini del presidente” ha evidenziato l’assenza di figure femminili nell’establishment.

Quindi, quale la reale importanza di queste tre nomine al femminile? «Queste nomine – spiega Sabahi – non sono particolarmente significative (non basta una rondine per far primavera), né tanto meno rispecchiano il ruolo effettivo delle donne iraniane nella società. Le donne sono in pole position nei quadri, secondo i dati del Ministero della Cultura ci sono più scrittrici che scrittori; e le studentesse rappresentano il 65% della popolazione universitaria. Ma non sul versante politico.» Secondo gli ultimi dati relativi al maggio 2012 la presenza femminile nel Parlamento iraniano si attesta intorno al 3,1 per cento.

Su questo è d’accordo anche Mostafa Khosravi: «I ruoli assegnati a queste donne, come la vice presidenza agli Affari Legali e il ruolo di portavoce del Ministro degli Esteri non si interfacciano direttamente con la società civile iraniana. La prima deve solo occuparsi di questioni giuridiche e la seconda deve comunicare e relazionarsi con l’esterno.»

Il 10 settembre scorso Rouhani ha nominato anche una terza donna, Masou’meh Ebtekar, conferendole l’incarico di vice presidente e direttore del Dipartimento dell’Ambiente: «Si tratta di un ruolo importante, ma pur sempre inquadrato nella logica presidenziale volta a nominare tecnici e professionisti. Masoumeh Ebtekar – precisa Mostafa – non è nuova a questo genere di incarichi; aveva ricoperto il medesimo ruolo sotto il presidente riformista Khatami.»

Rouhani ha sempre dichiarato di voler puntare sulla creazione di una squadra di tecnici, noti più per le loro esperienze passate che per le loro posizioni politiche. «Certo – conclude Mostafa – si tratta pur sempre di una donna alla guida di un’organizzazione, come appunto il Dipartimento dell’Ambiente che ha una sua sede da cui dipendono migliaia di persone e da cui partono decisioni importanti per la sfera pubblica. Ma ciò non cambierà il modo di percepire determinati aspetti della società iraniana, come la condizione femminile. Per i cambiamenti sostanziali ci vorrà del tempo.» Lo stesso Rouhani in campagna elettorale ha promesso la creazione di un ministero delle donne.

E se per i cambiamenti sostanziali ci vorrà del tempo, nell’immediato gli iraniani chiedono al presidente eletto la soluzione dei problemi economici, la fine delle sanzioni e, con essa, la fine dell’isolamento internazionale.

 
Mercoledì, 18 settembre 2013

Nasrin Sotoudeh, avvocato iraniano e difensore per i diritti umani, è stata liberata definitivamente dalla prigione di Evin, a nord di Tehran. Lo ha annunciato oggi in un post sulla pagina Facebook suo marito, Reza Khandan.

Qui il post in lingua farsi, dove c’è scritto: “Nasrin è arrivata….ci hanno detto che è libera”

Con lei sono state liberate altre otto donne e tre uomini, tutti prigionieri politici di orientamento riformista. Tra le donne rilasciate figura anche la giornalista Mahsa Amrabadi, attivista e artefice della campagna per la raccolta di un milione di firme contro la discriminazione delle donne, e il politico riformista Mohsen Aminzadeh, ex vice ministro degli esteri sotto il presidente Mohammad Khatami, arrestato nel 2010 e accusato di propaganda anti – governativa.

Il loro rilascio arriva a pochi giorni dalla partecipazione di Hassan Rouhani all’annuale Assemblea Generale ONU. Lo stesso presidente in campagna elettorale aveva promesso il rilascio dei prigionieri politici.

Il marito di Nasrin Sotoudeh racconta all’agenzia Reuters di aver ricevuto una telefonata dove veniva informato della scarcerazione della moglie. Una scarcerazione non temporanea, ha riferito la voce all’altro capo del telefono. “L’hanno caricata in macchina e lasciata davanti casa”, racconta ancora Reza Khandan.

Nasrin Sotoudeh era stata arrestata nel settembre del 2010, condannata per aver messo in pericolo la sicurezza nazionale e accusata di propaganda contro il regime. In origine le è stata comminata una pena detentiva di 11 anni di carcere, poi ridotta a sei, a cui si è aggiunta però l’interdizione ventennale dalla professione di avvocato.

Nel dicembre del 2012 il Parlamento Europeo le ha conferito il premio Sakarov per la libertà di pensiero.

Numerosi gli appelli lanciati nel corso di questi tre anni dalle principali organizzazioni in difesa dei diritti umani, per il rilascio immediato di Nasrin Sotoudeh e di tutti i prigionieri politici detenuti nel carcere di Evin.

Qui l’appello di Amnesty International.

 

Lunedì, 16 settembre 2013

Scambio epistolare fra Barack Obama e Hassan Rouhani.

Il presidente americano conferma di aver contattato il neoeletto presidente iraniano attraverso alcune missive. Non è chiaro se i contatti epistolari siano stati uno o più di uno nei primi 40 giorni della presidenza di Rouhani. Obama rivela di aver scritto al presidente iraniano in un’intervista trasmessa domenica dall’emittente ABC.

Tuttavia, dall’account Twitter del presidente iraniano (@drRouhani) è partito un tweet che chiarisce come non vi sia alcun piano da parte del presidente (e del suo staff) per un incontro diretto con il presidente americano nella sede Onu di New York il prossimo 24 settembre, quando entrambi parteciperanno all’Assemblea Generale.

Qui il tweet rilanciato sulla rete.

È dal 1979 che Washington e Tehran non hanno rapporti diplomatici diretti.

Qui uno stralcio dell’intervista a Barack Obama andata in onda domenica.

La lettera firmata da Obama sarebbe stata consegnata ai funzionari iraniani alcune settimane dopo la cerimonia di insediamento del neopresidente (4 agosto), quindi nell’ultima settimana di agosto, durante la visita ufficiale del sultano dell’Oman Qaboos bin Said in visita a Tehran, dove ha incontrato sia Rouhani sia l’Ayatollah Alì Khamenei. Secondo quanto riportato dal sito web in lingua farsi Tabnak, l’Iran avrebbe risposto con un messaggio riservato, di cui non si conoscono i contenuti. Ma non è difficile immaginare quali punti focali abbia voluto trattare Obama nella lettera, alla vigilia di un conflitto in Siria per ora rimandato e alla luce delle ultime dichiarazioni sul programma nucleare iraniano.

Un primo passo verso il riavvicinamento?

Per il momento si è trattato di un “contatto indiretto”, come ha precisato nel corso dell’intervista lo stesso Obama. Ma c’è chi intravede in questo gesto il presupposto per futuri miglioramenti dei rapporti fra Washington e Tehran.  È dai tempi della Rivoluzione Islamica e dall’assalto all’ambasciata statunitense a Tehran (4 novembre 1979) che i due Paesi non hanno alcun rapporto diplomatico, salvo qualche tentativo di negoziato sul nucleare negli anni successivi (spesso inconcludente) o qualche timida apertura sotto la presidenza riformista di Mohammad Khatami: ad esempio nel 2003, all’indomani del disastroso terremoto di Bam (sudest dell’Iran) che provocò almeno 50 mila vittime, quando Khatami ringraziò un team di specialisti e medici giunti dalla Virginia per l’impegno e il lavoro svolto. Il 22 novembre del 2004 uscì sul Washington Post un’intervista a Colin Powell, l’allora segretario di Stato americano, che apriva ad un dialogo con Tehran.

Dieci anni dopo la questione si ripropone. A tal proposito è necessario valutare le diverse posizioni sorte intorno all’interrogativo. In un editoriale dell’11 settembre scorso, il Los Angeles Times riferisce di un alacre lavoro svolto dietro le quinte sia dall’amministrazione americana sia dalla nuova leadership iraniana guidata da Rouhani: “Entrambi i governi – scrive il LAT – hanno rilasciato dichiarazioni concilianti nei giorni scorsi che sembrano suggerire una nuova volontà di ridimensionare le tensioni.”

Qui l’articolo completo.

Sulla stessa linea anche il Guardian, secondo il quale questo scambio di lettere fra Washington e Tehran potrebbe gettare le basi per un possibile incontro fra i due presidenti già la settimana prossima all’Onu.

Qui l’articolo completo.

L’occasione per un faccia a faccia tra Obama e Rouhani potrebbe essere l’imminente Assemblea Generale delle Nazioni Unite, che già domani aprirà i battenti per la 68esima sessione. I momenti clou dove i due presidente potrebbero incontrarsi sono i principali meeting di alto livello in programma dal 24 settembre al 4 ottobre (qui il programma completo degli incontri), dove Rouhani è atteso il 26 settembre prossimo nel ruolo di presidente di turno dei Paesi Non Allineati, e dove parlerà nel corso dell’incontro sul disarmo nucleare.

Anche sul sito riformista iraniano in lingua inglese, Roozonline, il Ministro degli Esteri Mohammad Javad Zarif ha per ora negato ogni possibile colloquio diretto con gli Stati Uniti nel corso dell’Assemblea ONU.

Qui l’articolo completo.

Mercoledì, 11 settembre 2013

Spazio alle donne

Lo aveva promesso durante la campagna elettorale, e sembra aver mantenuto la parola. Martedì 10 settembre, il presidente Rouhani ha nominato Masoumeh Ebtekar come suo vicepresidente. A lei spetterà la direzione del Dipartimento dell’Ambiente. È la seconda donna a ricevere l’incarico di vicepresidente, dopo Elham Aminzadeh nominata vicepresidente per gli Affari Legali, e la terza a entrare di diritto nel nuovo esecutivo, dopo la nomina di Marzieh Afkham come portavoce del ministero degli Esteri (la prima donna a ricoprire questo incarico).

Un ritratto di Masoumeh Ebtekar

Masoumeh Ebtekar non è nuova a ruoli politici del genere. Sotto la presidenza riformista di Mohammad Khatami aveva ricoperto la medesima carica di vice presidente dell’Organizzazione per la Protezione dell’Ambiente (2 agosto 1997- 3 agosto 2005). Classe 1960, nata e cresciuta a Tehran, Masoumeh Ebtekar (al secolo Niloofar Ebtekar) ha completato gli studi facendo la spola tra gli Stati Uniti e Tehran e specializzandosi nel campo dell’immunologia. Professoressa universitaria, giornalista e politica, Masoumeh Ebtekar fu soprannominata la “Maria” iraniana per il suo ruolo di portavoce del gruppo di studenti che presero in ostaggio i 52 diplomatici nell’assedio dell’Ambasciata statunitense nel 1979. Nel 1981, Ebtekar diviene il redattore capo del giornale in lingua inglese, Kayhan Internazionale; il suo editore era Mohammad Khatami all’epoca rappresentante dell’Ayatollah Khomeini presso l’Istituto Kayhan.

La sua nomina nel 1997 come vicepresidente è stata interpretata come foriera di un cambiamento e di una svolta politica per donne iraniane. Sei anni prima, Masoumeh Ebtekar ha cofondato l’Istituto di Ricerca e Studi delle donne, mentre a partire dal 1992 è stata titolare e direttrice della rivista Farzaneh. Nel 1995 Ebtekar è stata nominata vicecapo del Comitato Nazionale per la Quarta Conferenza Mondiale sulle donne a Pechino, e più tardi ha assunto la carica di presidente della Rete delle Ong delle donne in Iran.

Qui il profilo di Masoumeh Ebtekar, allora vice presidente sotto Khatami

Masoumeh Ebtekar ha rivestito un ruolo attivo durante l’assalto dell’Ambasciata Usa a Tehran (4 novembre 1979), da cui è scaturita la cosiddetta “crisi degli ostaggi”.

Qui la sua ultima intervista.

 

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