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Israele ha paura

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Tel Aviv teme l’accordo fra Washington e Teheran. E potrebbe non dare più ascolto all’alleato americano

«Israele non permetterà all’Iran di ottenere armi nucleari, anche se dovessimo andare avanti da soli». Così, appena tre settimane fa, il premier israeliano si rivolgeva agli alleati statunitensi durante il suo ultimo discorso all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Ora, dopo che il primo passo di una storica collaborazione tra Teheran e Washington è stato fatto, c’è da chiedersi quali saranno le conseguenze.

In Israele la notizia del raggiunto accordo sul nucleare iraniano è sulle prime pagine di tutti i giornali, accompagnata da un coro di proteste da parte dell’establishment politico. «Errore storico» è stato il primo commento del premier israeliano Benjamin Netanyahu. Il ministro dell’Intelligence e Affari strategici, Yuval Steinitz, ha dichiarato che Israele agirà «Indipendentemente dall’accordo raggiunto con l’Iran» mentre per il ministro degli esteri Lieberman è arrivata l’ora di trovare «alleati alternativi agli Stati Uniti».

Ma sono le frasi di un funzionario israeliano riportate da Haaretz che rispecchiano maggiormente il pensiero dominante in Israele: «Le sanzioni avrebbero potuto portare a un risultato migliore, che avrebbe distrutto le capacità nucleari dell’Iran. L’accordo in questi termini consegna all’Iran esattamente quello che voleva: un’importante diminuzione delle sanzioni e allo stesso tempo il mantenimento delle parti più significative del suo programma nucleare».

Netanyahu ha dichiarato che i «termini di questo accordo minacciano un certo numero di nazioni e in particolar modo Israele. La nostra nazione ha il diritto di proteggere se stessa di fronte a qualsiasi minaccia. Vorrei ribadire che, come primo ministro, non permetterò all’Iran di sviluppare capacità militari nucleari».

Le ragioni della tensione che attraversa i ranghi del governo vanno ricercate in profondità. Un Iran atomico viene considerato una minaccia esistenziale per la piccola nazione ebraica, non tanto per un ipotetico quanto irrealistico attacco nucleare iraniano, ma perché Israele cesserebbe così di essere l’unica (presunta) potenza atomica della regione. Secondo la leadership israeliana, un’arma nucleare in mano agli ayatollah incoraggerebbe i nemici regionali di Israele, privandolo di quel potere deterrente che fino ad oggi ha protetto Tel Aviv da attacchi su larga scala.

Gli accordi che sono stati raggiunti a Ginevra hanno accolto alcune richieste degli israeliani, ma non hanno risolto il problema di fondo, “congelando” la situazione attuale piuttosto che risolvere il problema posto da un Iran in possesso di tecnologia atomica per scopi militari.

Israele non è disposto ad aspettare che Teheran riesca a creare un ordigno. Quello che fino ad oggi ha trattenuto il paese ebraico dallo scatenare un attacco contro l’Iran è legato soprattutto ai limiti militari di quest’operazione: Israele non possiede bombe abbastanza sofisticate per distruggere completamente gli stabilimenti nucleari dell’Iran. Il più importante centro di arricchimento per il combustibile nucleare (Fordow) si trova, infatti, all’interno di una montagna, ad una profondità di 200 metri, e l’unica arma in grado di raggiungerlo e distruggerlo è il Massive Ordinance Penetrator, che gli Stati Uniti hanno già sviluppato ma che non sono ancora pronti a vendere agli israeliani.

Anche su questo punto si gioca la credibilità dell’alleanza tra Washington e Israele: le priorità del paese ebraico non sembrano più combaciare con quelle della superpotenza statunitense. Mentre Obama decide il suo approccio con l’Iran in base a un calcolo costi-benefici, il governo israeliano detta la propria agenda seguendo un piano “di sopravvivenza”, indipendente dalle possibili reazioni militari e conseguenze geopolitiche che un attacco all’Iran scatenerebbe.

Proprio per questo l’accordo raggiunto dovrebbe fare pensare al futuro. Le azioni di Israele dipenderanno ancora dall’approvazione degli Stati Uniti, ora che lo scenario è cambiato?

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