L’esperto che aveva previsto dove si sarebbero verificati i due terremoti del centro Italia
Il professor Emanuele Tondi dopo il terremoto de L'Aquila aveva indicato con precisione dove avrebbero colpito le scosse successive, pur non potendo stabilire quando
Dopo il terremoto del 2009 a L’Aquila, il professore Emanuele Tondi, sismologo e geologo, responsabile della sezione di geologia dell’università di Camerino e sindaco di Camporotondo di Fiastrone – uno dei comuni colpiti dal terremoto del 24 agosto scorso – si è esposto più volte sulla localizzazione dei terremoti che avrebbero interessato il centro Italia, prevedendo il sisma di Amatrice e quello delle Marche, ma la sua voce è stata raccolta solo da pochi quotidiani locali.
In una intervista rilasciata a un giornale online il 26 agosto, a due giorni dal terremoto di Amatrice, il professor Tondi diceva: “Quando una faglia si attiva genera instabilità in una vasta area e c’è anche la possibilità che si riattivino altre faglie, con la capacità di generare terremoti simili al mainshock della notte del 23 agosto”.
“Da una personale valutazione, se si verificasse questa evenienza, la zona che ha la probabilità maggiore di generare un terremoto è quella a nord di Norcia, nell’area di Preci”, aveva concluso.
La sua previsione, purtroppo, ha trovato riscontro nella realtà ieri sera tra le 19 e le 24 di mercoledì 26 ottobre 2016.
Tondi sostiene che è possibile stabilire dove si verificheranno forti eventi sismici basandosi soprattutto sullo studio delle faglie attive, in particolare di quelle lungo la zona assiale dell’Appennino, dove ce ne sono diverse: “Sapendo dove si trovano e studiando le loro caratteristiche è possibile prevedere dove avverrà il prossimo terremoto e di che magnitudo massima sarà”.
Studi che hanno trovato riscontro nella realtà proprio con gli ultimi eventi sismici, come quello che ha colpito il centro Italia nella serata di ieri.
Inoltre, dopo il terremoto che colpì L’Aquila il 6 aprile 2009, Tondi disse che il prossimo serio evento sismico nell’area si sarebbe pouto verificare più a nord, nell’ambito del sistema delle faglie che va da Colfiorito a Norcia e all’Aquilano, e indicò ai suoi studenti l’area tra Amatrice e Norcia.
“Il quando non è possibile stabilirlo perché ci sono troppe variabili”, dice il professore. “Per questo l’unico modo per prevenire danni è la messa in sicurezza”.
Tondi sostiene che molti erano a conoscenza dei suoi studi, dai suoi studenti ai privati cittadini, perché anni fa posizionò lungo le faglie degli strumenti (estensimetri) controllati periodicamente, tra cui uno posto dentro la cantina di un edificio privato, costruito proprio a cavallo della faglia di Norcia.
Anche nel caso del terremoto de L’Aquila, se si fosse considerato lo studio delle faglie attive si sarebbe potuto prevedere che un mainshock (terremoto di magnitudo più forte) avrebbe colpito la città dopo una serie di foreshock (terremoti di magnitudo di entità minore) come quelli avvenuti nei tre mesi antecedenti il sisma del 6 aprile, esattamente come avvenne. In altre parole, che le piccole scosse non erano uno sciame sismico ma l’inizio di una sequenza.
Tondi ha spiegato a TPI, che lo aveva contattato già a inizio settembre, che quando si verificano dei piccoli terremoti in una zona circoscritta non è possibile sapere immediatamente se si tratta di sciame sismico, a cui non fa seguito un terremoto più forte, o dell’inizio di una sequenza, eventi sismici precursori di una scossa più potente.
Ma L’Aquila si trova in un’area di grandi faglie attive, quindi la possibilità che si trattasse di una sequenza era, secondo il professore, più che concreta.
Tuttavia, l’opinione della Commissione grandi rischi che si riunì il 31 marzo a L’Aquila era diversa. In particolare, il professor Enzo Boschi, come si legge dal verbale della riunione, disse che “se si guarda una faglia attiva, la sismicità è in un certo modo sempre attiva, manifestandosi attraverso scorrimenti lenti, piccoli terremoti e, talvolta, terremoti forti. Quindi la semplice osservazione di molti piccoli terremoti non costituisce fenomeno precursore”.
*A cura di Laura Liberati
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