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Guida Bardi
Home » Tecnologia

Un cloud europeo alternativo a quello delle Big Tech: intervista all’italiano che ci sta lavorando

Immagine di copertina
REUTERS

Gaia-X è probabilmente l’unico caso in cui l’Europa può vantare una leadership nella sfera digitale. Si tratta di un progetto ambizioso, che aspira a cambiare molti aspetti dell’economia digitale nel campo del cloud computing e dei dati. L’idea è nata nel 2019 quando Angela Merkel approfittando della presidenza di turno del consiglio europeo, impresse una spinta decisiva all’elaborazione di una nuova strategia europea, innalzando la bandiera della “sovranità digitale”. 

Gaia-X nel frattempo è cresciuta e la settimana scorsa ha celebrato il suo secondo Summit e lo ha fatto all’insegna dell’ottimismo. Il lemma del summit è stato “Siamo pronti a partire – Il futuro è Gaia-X”. A dirigerla c’è un italiano: Francesco Bonfiglio.

Soddisfatti?

Sì. Sono contento. Quando sono arrivato in marzo 2021 ho fatto un piano quinquennale. Il primo anno abbiamo fatto un lavoro di definizione. Ma nel 2022 avevamo promesso che sarebbe stato l’anno dell’implementazione e dell’adozione concreta. E ci siamo. Entro marzo 2023 verranNo erogati i primi servizi di conformità a Gaia-X aperti a tutti.

Che tipo di servizi?

Chiunque vorrà potrà sottoscrivere i propri servizi digitali e verrà certificato ed etichettato in base a una serie di caratteristiche definite nello standard di Gaia-X. Sarà come fare la radiografia dei servizi. Cosa oggi impossibile perché i servizi sono tutti scatole chiuse. Per il momento le etichette di Gaia-X sono organizzate su tre livelli con differenze di sicurezza incrementali. Il livello 3 per esempio prevede che sia garantito che il servizio sia interamente erogato in Europa. Abbiamo presentato una demo con 170 servizi. Decine di fornitori sono pronti.

Quindi fuori americani e cinesi dall’Europa?

No affatto. Uno dei servizi per esempio lo ha presentato Amazon. Gaia-x è un progetto aperto. Sono sorti o stanno sorgendo hub di Gaia-X in Corea, Giappone e negli stessi Usa. È un segno che stiamo facendo quello che serve. Le etichette che applichiamo sono opzionali, non obbligatorie. Sono poi i clienti che scelgono i servizi e le caratteristiche. Il nostro compito è garantire l’affidabilità e certificare le caratteristiche delle infrastrutture su cui avverranno transazioni di valore legate ai dati. L’obiettivo di Gaia-X è certificare tre caratteristiche dei servizi: trasparenza, controllabilità, interoperabilità.

Roba esoterica, oggi come oggi.

Sì, purtroppo sono caratteristiche mancano nella piattaforme che oggi controllano il mercato digitale.

Ma facciamo un passo indietro. Chi siete? Come nasce Gaia-X?

Nasce nel 2019 da un progetto franco-tedesco. È un’iniziativa governativa di Merkel, Macron e i rispettivi ministri dell’economia. I governi comprendono l’importanza delle piattaforme tecnologiche, nel cloud in particolare. Capiscono il rischio di perdere controllo sull’economia e anche sulla politica, in assenza di una reale sovranità digitale. C’è da ricordare che in Usa c’era l’amministrazione Trump che ha dato una forte spinta sovranista e ha accelerato questa consapevolezza dell’impatto della nostra dipendenza da piattaforme non europee. Ma piú che la natura non europea, ciò che è importante è che non abbiamo controllo su di esse, che non sono trasparenti, e che creano un meccanismo di dipendenza. Gaia-X poi evolve. Tutti i paesi europei sposano l’iniziativa. Da un progetto governativo è diventata un’associazione no-profit, con sede a Bruxelles. Oggi Gaia-X é un’associazione privata, finanziata esclusivamente dai soci attraverso le loro quote. É un’associazione prevalentemente di imprese. Quest’anno abbiamo raggiunto 360 membri, da tutta Europa e anche da fuori Europa. Ci sono imprese fornitrici di servizi e imprese utilizzatrici di tecnologia, di tutti i settori. L’ultimo membro lo abbiamo annunciato al summit: la Banca centrale europea. Tutti uniti con un unico obiettivo: accelerare l’economia dei dati in Europa.

E come si fa?

Abilitando la creazione di spazi dati comuni. Gli spazi dati sono la nuova era digitale. Il PC, la rete o l’Internet delle cose sono tecnologie abilitanti. Ma per fare che cosa? Per creare delle filiere veramente digitali, nel manifatturiero, nei trasporti, nell’agricoltura, nella salute. Ogni settore è costituito da un insieme di attori che collaborano per creare un valore. Ma nessuno possiede le informazioni e i dati dell’altro, e oggi nell’economia digitale è impossibile ottimizzare i processi oppure costruire servizi e prodotti che traggono beneficio dai dati della filiera, senza che tutta la filiera condivida i dati. Così la nostra economia è bloccata. Non c’è scambio di dati. La principale ragione è che mancano delle piattaforme tecnologiche che diano il livello di sicurezza, trasparenza e affidabilità necessarie per far sì che questo scambio avvenga. 

C’è grande movimento nelle politiche digitali europee. Che parte ha Gaia-X? 

Innanzitutto bisogna capire qual è la strategia europea sui dati. L’economia del futuro in Europa non può vincere sulla base del costo del lavoro, dell’accesso alle materie prime o all’energia. Per contro in un’economia basata sui dati, valore e prezzo non sono basati sul costo di produzione ma sull’innovazione. E in Europa abbiamo dati di qualità, e processi, prodotti e servizi di qualità. In qualche modo si deve semplicemente creare servizi aggiuntivi basati sui dati su questi prodotti per essere competitivi. 

E quindi?

Questa cosa l’ha capita anche la politica. E la strategia europea è basata su due pilastri. Il primo è la creazione di spazi dati europei comuni: flussi di dati di qualità all’interno delle filiere garantiti da regole per lo scambio dei dati che siano in linea con le norme e i valori europei. La seconda è la creazione di un continuo tra cloud ed edge computing. L’economia basata sui dati spinge verso l’edge computing, cioè verso una forma di processamento distribuita eseguita in prossimità dell’origine dei dati. Mentre le architetture tecnologiche che abbiamo oggi sono ipercentralizzate. Non serve il 5G o il 6G, cioè aumentare la connettività, a meno che non riusciamo ad arrivare il più vicino possibile a dove i dati sono concentrati. E questo richiede un nuovo sistema operativo, per così dire, per federare anche le infrastrutture. Quindi ricapitolando la strategia europea prevede due pilastri. Federazione di dati e federazione di infrastrutture. Gaia-X risponde esattamente a questo schema. Offriamo servizi coerenti con i principi europei che possono abilitare la creazione di data spaces e la federazione di infrastrutture.

All’inizio tuttavia si sono create aspettative diverse. C’era chi sperava che Gaia-X diventasse un “campione europeo” alternativo ai giganti tech americani o asiatici. 

È vero. Tutti volevano qualcosa di diverso. Quando fai una cosa importante succede. Era un po’ come se si volesse che risolvessimo i problemi del mondo. La domanda però che ci dovremmo fare è: perché i problemi si sono accumulati? La verità è che l’Europa è stata latitante per molto tempo nella definizione di strategia industriali. Per diversi decenni. Però preferisco guardare il lato positivo. È importante che l’Europa si sia mossa. E questa strategia europea, condivisa dagli stati membri, è una politica industriale. Assolutamente efficace. Semplicemente l’industria di cui parliamo è trasversale a tutti i settori.

E sul tema del campione europeo? 

Rispetto all’aspettativa che Gaia-x creasse un campione europeo identico a Google o Amazon, il problema è duplice. Primo sarebbe stato un fallimento certo. Non puoi combattere un’egemonia o un monopolio ricreando qualcosa di altrettanto forte. Secondo questo modello basato su architetture ipercentralizzate, da cui siamo dipendenti e, diciamocelo pure, schiavi, è finito, perché non permettono di gestire la complessità dell’edge computing. Serve iperdistribuzione, invece di ipercentralizzazione. E questa offerta mancava e continua a mancare. 

E Gaia-X che soluzione offre?

La soluzione Gaia-X è interessante perché non penalizza nessuno, è aperta a tutti, non cerca di emulare modelli che sono ormai falliti perché non adatti al nuovo mondo dei dati. E abilita questo cambio di paradigma. È una tecnologia e una piattaforma che esercita controlli, basati su regole comuni, in un’architettura sempre più distribuita. Non cerca di ricreare una Amazon. Non crea barriere nel mercato europeo. Offre invece qualcosa di nuovo di cui c’è necessità e che manca. 

Però intanto la fornitura di cloud in Europa continua ad accentrarsi sempre più nei pochi hyperscaler Usa.

L’unica via di successo è capire qual è il trend del mercato e creare una soluzione che serve al mercato ed essere i primi a farla. Questo è quello che sta facendo l’Europa con Gaia-X. Stiamo creando una piattaforma che crea fiducia. E se c’è un problema di fiducia, quando l’architettura è distribuita, il problema è ancora più grande, perché i punti di contatto e di utilizzo diventano molteplici. Gaia-X sta creando qualcosa di molto concreto, che permetterà di federare infrastrutture e dati. E stiamo creando quello che il mercato chiede ad altissima voce: più trasparenza e interoperabilità.

Principi che troviamo anche nel Digital Service Act o nel Data Act.

Però attenzione la regolamentazione di per sé non produce risultati sul mercato. Perché funzioni, fornitori e utilizzatori di tecnologia devono erogare e utilizzare servizi. Piuttosto con una tendenza come quella recente verso una iper-regolamentazione, Gaia-X aiuta la verifica delle caratteristiche dei servizi con un approccio reg-tech: cioè con controlli basati sulla tecnologia stessa. E così va un po’ a contrastare questa crescita di tech-reg: cioè di regolazione della tecnologia. 

Funzionerà?

Io credo che stia già funzionando. Cosa hanno fatto gli hyperscaler americani negli ultimi due anni, anche grazie a Gaia-X? Sono venuti nei nostri paesi offrendo progetti di localizzazione della loro tecnologia. Cioè stanno facendo esattamente il contrario di ciò che hanno fatto finora, perché hanno capito che la domanda, la pressione sono talmente forti che hanno due alternative: cercare di mantenere un monopolio o cambiare modello. E a proposito di aspettative deluse, ce ne sono anche di tipo diverso.

Ovvero?

Creare una piattaforma come quella che stiamo creando, sta portando a galla molte idiosincrasie. Gaia-X permette per esempio di verificare la capacità di un fornitore di erogare servizi in maniera più o meno immune da legislazioni non europee. È un’opzione che viene data per avere trasparenza. Poi il cliente sceglie. Però queste etichette possono essere percepite come un danno per operatori europei che fanno abbondantemente uso di partnership con gli hyperscaler americani. L’associazione è nata per fornire più autonomia e ridurre la dipendenza da piattaforme non controllabili. Questo comporta anche un livellamento del mercato su nuove basi. Molti non credevano fosse possibile. Nel momento in cui sta per accadere – perché Gaia-X sta diventando una cosa concreta e va nelle direziona che è richiesta dal mercato – è naturale che il potere delle lobby si attivi. 

Stiamo parlando per esempio delle forti partnership degli operatori di telecomunicazioni europei con gli hyperscalers Usa? 

Non sono solo le telecomunicazioni. Molti grandi operatori industriali hanno queste partnerships. Il problema è che nel momento in cui introduci dei criteri di trasparenza che possono essere visti come metri di giudizio e un’indicazione di qualità superiore, magari perché garantisci immunità da guirisdizioni non europee, oppure perché sei più interoperabile di altri, qualcuno può vederci una destabilizzazione di alcuni soggetti e dei poteri economici esistenti. Però queste sono semplicemente caratteristiche che il mercato cerca. Noi non stiamo imponendo a nessuno di usare un servizio Gaia-X livello 3. Ciascuno sceglie. Per me questa è una cosa positiva. È trasparenza, libertà, democrazia digitale. 

A proposito di partnership con gli hyperscalers, viene in mente il Polo Strategico Nazionale, il progetto di migrazione al cloud della pubblica amministrazione italiana. Ipercentralizzato e basato sul subappalto della tecnologia degli hyperscaler: non sembra molto allineato con gli scenari che Lei ha indicato.  

Capisco l’esigenza di mettere al sicuro i dati della pubblica amministrazione che oggi si trovano in data center estremamente esposti. Però se io avessi dovuto fare un PSN non avrei fatto un polo, avrei fatto una costellazione. Nell’era della decentralizzazione e del passaggio da cloud centrale a cloud distributo concentrare tutti i dati in un unico punto è anacronistico. Si può pensare alla possibilità di estendere questo polo a una serie di satelliti. Ma una vera alternativa sarebbe stata quella di capitalizzare sugli asset esistenti, ovvero le in-house regionali, che hanno tutte le infrastrutture che servono, per creare una federazione tra queste basata sui principi di Gaia-X. Avrebbe creato lo stesso risultato. Maggiore distribuzione. Minori tempi di transizione. Peraltro Assinter, l’associazione delle in-house regionali, ha deciso di intraprendere un percorso proprio di questo tipo. Ed è evidente che hanno la preoccupazione di conciliare gli asset di responsabilità regionali con un’iniziativa che invece cerca di centralizzarli. Questo è secondo me un elemento importante su cui riflettere per la prossima amministrazione. 

E poi c’è il problema del rapporto con gli hyperscalers. I francesi sembra che stiano abbandonando le partnerships con gli hyperscalers americani per la mancanza di garanzie sulla separazione dei sistemi tecnologici dalle case madri. 

É chiaro che se a questo modello centralizzato si somma il rischio che soggetti che offrono tecnologie non interoperabili, per definizione, non controllabili, per definizione, prendano il controllo di questi dati, diventa anche un problema di sicurezza. Gli hyperscalers devono modificare la loro tecnologia per decentralizzarla e localizzarla. Le connessioni con la propria casa madre introducono problemi di immunità giuridica e di sovranità politica. Per adesso abbiamo una promessa che verrà fatto. In ogni caso mi aspetto che anche questo aspetto verrà preso in considerazione.

LEGGI ANCHE: Nuvola Usa sul Pnrr italiano: il Governo “consegna” il Cloud di Stato alle Big Tech

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