Alla conquista di Marte: come si vive sul Pianeta B che Elon Musk vuole colonizzare per il bene dell’umanità
Un gruppo di ricercatori sta sperimentando la vita sul Pianeta rosso, considerato dal miliardario americano l’unica alternativa per salvare la nostra specie dal disastro climatico
«There is no Planet B». Lo slogan che il movimento dei Fridays for Future scandisce nelle manifestazioni per chiamare i leader mondiali alle proprie responsabilità climatiche e ricordare che l’essere umano non ha una casa alternativa alla Terra non è completamente vero per Elon Musk, secondo cui un Pianeta B esiste: è Marte. Per il patron di Tesla l’esplorazione del Pianeta Rosso è «una prospettiva incredibile per il futuro della vita stessa» perché «c’è sempre la possibilità che qualcosa vada storto sulla Terra». «Dopo tutto i Dinosauri si sono estinti», ha affermato una volta per promuovere la sua azienda aerospaziale. Ma l’imprenditore multimiliardario non è l’unico a credere che l’evoluzione dell’uomo comporti la colonizzazione di Marte.
Dal 1998 la Mars Society, no profit statunitense nata con lo scopo di promuovere l’esplorazione di Marte, di cui lo stesso Musk ha fatto parte prima di fondare SpaceX, sollecita la comunità scientifica internazionale ad avviare programmi volti a preparare l’uomo a un futuro “marziano” e moltiplicare le sue possibilità di sfruttare le risorse reperibili nel Sistema solare. Tra questi ci sono le cosiddette “missioni analoghe”, simulazioni della vita su Marte organizzate in luoghi estremi del globo per perfezionare le tecnologie necessarie ad approdare sul Pianeta Rosso. «La prospettiva è quella di abitare Marte e rendere la colonizzazione del Pianeta stabile», spiega a TPI Antonio Del Mastro, presidente della sezione italiana di Mars Society, Mars Planet.
Se il comico Corrado Guzzanti aveva immaginato di lanciare i “fascisti su Marte” per garantire all’Italia del Duce un potere coloniale che si espandesse fino allo Spazio, per la comunità scientifica sfidare gli ostacoli fisici e “ammartare” non rappresenta solo un obiettivo politico: è una vera esigenza. «Il nostro Pianeta potrebbe avere dei problemi di sopravvivenza che si possono risolvere solo se abbiamo una seconda casa. Ci sono due possibilità, o la Luna o Marte», prosegue Del Mastro.
E, guardando ad alcune delle sue caratteristiche, il Pianeta Rosso sembra il più ospitale: su Marte un giorno dura poco più di 24 ore, quasi quanto quello a cui è abituato l’uomo, e anche se l’anno marziano è pari al doppio di quello terrestre, i primi astronauti potrebbero incontrare meno difficoltà motorie rispetto a quelle che hanno affrontato Neil Armstrong e Buzz Aldrin sulla Luna, perché la percentuale di gravità è leggermente superiore. Potrebbero riuscire cioè a destreggiarsi tra le rocce camminando senza saltellare. «Ma finché non mandiamo fisicamente le persone non possiamo capirlo», afferma il presidente di Mars Planet. È in attesa di quel momento – secondo Musk il 2029, per altri esperti gli anni ’40 di questo secolo – che Mars Society sta facendo il possibile per preparare gli astronauti alle spedizioni.
La missione analoga organizzata da Mars Planet con il patrocinio dell’Agenzia Spaziale italiana (Smops, dall’acronimo Space Medicine Operation), si è svolta dal 10 al 23 aprile 2022 a bordo della Mars Desert Research Station (Mdrs), una stazione scientifica che riproduce le condizioni abitative del Pianeta Rosso nel mezzo del deserto dello Utah. Ha coinvolto sei “astronauti analoghi”, tecnici e professionisti in altri settori, dall’architettura alla medicina, abituati ad adattare le proprie competenze al mondo dello spazio per immaginare il domani su Marte. Paolo Guardabasso è uno di loro. Ingegnere aerospaziale, classe 1991 e originario di Catania, è sempre stato affascinato dall’idea di progettare razzi e ha partecipato alla sua prima missione nel deserto quasi per caso, nel 2019, con la Mars Society peruviana. «Mi sono innamorato della sensazione che si ha durante questo tipo di attività e ho deciso di rifarla cercando di partecipare all’organizzazione di quella italiana, occupandomi di tutto, dalla selezione dell’equipaggio alla logistica degli esperimenti e delle nostre giornate», racconta a TPI.
Durante la missione usciva di mattina o di pomeriggio insieme agli altri membri dell’equipaggio per condurre esperimenti indossando un casco e uno zaino «pensato per creare l’impressione di avere un peso sulle spalle come quando indossi la tuta aerospaziale, che rende difficili i movimenti» e una tuta disegnata ad hoc da Mars Planet insieme a un’azienda tessile italiana, Radici. Consumava cibo in polvere simile a quello che potrebbe resistere alle condizioni estreme dello spazio e faceva i conti con i ritardi che si potrebbero incontrare nelle comunicazioni con la Terra. Gli esperimenti consistevano nell’utilizzo di uno scanner 3D per “fotografare” le rocce e preparare studi geologici o la costruzione insieme a Luca Rossettini, amministratore delegato di un’azienda che si occupa di logistica spaziale, di un’antenna «per poter simulare il montaggio di una struttura di questo tipo su Marte e comunicare con un satellite in orbita».
La sensazione, spiega Guardabasso, è stata quella di sentirsi «su un altro Pianeta» anche sulla Terra. «Era un luogo talmente isolato da farci sentire confinati. Sei solo, non c’è un aiuto immediato se stai male, non ci sono verdure fresche. Quando sei lì devi sempre trovare soluzioni alternative, ma è bellissimo dal punto di vista geologico: il luogo assomiglia all’immaginario di Marte», prosegue. Per tutto il tempo i membri dell’equipaggio hanno indossato una fascia e una maglia che misuravano i parametri vitali nelle varie fasi della giornata e sensori che monitoravano il battito cardiaco e la temperatura, per comprendere come il corpo si adatta a un ambiente così inospitale e diverso.
I dati raccolti sono in fase di elaborazione ma, secondo Guardabasso, il corpo umano oggi «non è pronto a vivere su un posto che non sia la Terra», e il Pianeta Rosso non può essere considerato un’alternativa a essa. «Su Marte ci andremo – afferma – e stiamo studiando per far sì che questa cosa sia possibile per lunghi periodi senza problemi, avrà un riscontro scientifico e un ritorno economico e commerciale ma non credo che Marte possa ospitarci nel prossimo futuro. Ci servirebbe un modello di coordinazione a livello mondiale che ora non esiste e che non immagino». E per il momento la vita marziana comporterebbe uno sforzo «talmente grande da non essere umano».
Gli investimenti compiuti per preparare le missioni su Marte non dovrebbero essere visti in un’ottica di “fuga dalla Terra” in caso di catastrofe. «Non si tratta di deresponsabilizzare l’uomo rispetto agli impegni nei confronti del Pianeta ma di dare alla Terra più chance», dichiara Del Mastro. «Se sviluppiamo un modo di creare energia ad altissima efficienza ma con poche risorse o fonti rinnovabili per lo Spazio, niente vieta di utilizzarlo anche qui. Tutto ciò che è tecnologia per la sopravvivenza degli umani nello spazio ci torna indietro», continua Guardabasso. «Studiando Marte, come genere umano abbiamo maggiore possibilità di creare ricchezza e stare bene sul nostro Pianeta». Perché resta ancora l’unico che abbiamo.
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