Capitalismo spaziale: l’impero dei satelliti di Elon Musk
Oltre 2.000 sonde già attive, altre 40mila ancora da lanciare in orbita e una rete già estesa a 32 Paesi, Italia compresa. Ormai lo strapotere dell’uomo più ricco del mondo supera i confini del pianeta. Grazie all’appoggio degli Usa la sua Starlink è quasi un monopolio dei servizi Internet satellitari
Era il 26 febbraio e la Russia aveva invaso l’Ucraina soltanto da due giorni quando il ministro ucraino della Trasformazione Digitale, Mykhailo Fedorov, ha scritto un tweet diretto all’uomo più ricco del mondo: «Mentre cerchi di colonizzare Marte, la Russia cerca di occupare l’Ucraina! Mentre i tuoi razzi atterrano con successo dallo spazio, i razzi russi attaccano la popolazione civile ucraina! Vi chiediamo di fornire all’Ucraina delle stazioni Starlink e di rivolgervi ai russi sani di mente affinché resistano».
Il post faceva parte di una lunga serie di appelli di Federov alla Silicon Valley: la sua strategia esplicita era quella di convincere i colossi tecnologici mondiali a escludere la Russia da una parte, e a sostenere l’Ucraina dall’altra. Da Apple a Meta, da Google a PayPal, quel sostegno è arrivato, in una forma o nell’altra, nelle settimane seguenti. Ma nessuno ha colto l’occasione per dipingersi come un eroe quanto Elon Musk.
A poche ore dal tweet di Federov, il miliardario sudafricano ha risposto: «Il servizio Starlink è ora attivo in Ucraina. Altri terminal in arrivo». Al centro del discorso c’era uno dei prodotti commerciali su cui SpaceX – l’azienda aerospaziale di cui Musk è al contempo Chief Executive Officer (amministratore delegato), Chief Technology Officer (direttore tecnico) e Chief Designer (capo della progettazione) – ha più puntato negli ultimi anni.
Nella pratica, Starlink offre un servizio di Internet satellitare a banda larga e bassa latenza, venduto come soluzione per le comunità rurali o isolate dove è altrimenti particolarmente difficile ottenere una connessione Internet stabile e veloce.
Secondo alcune stime, il 40 per cento della popolazione globale è tagliata fuori dalle reti a banda larga e wireless esistenti: o perché vive in zone di guerra o per la complessa conformazione geografica del territorio o per mancanza di investimenti pubblici e privati nelle aree più remote o povere del mondo.
Per colmare questa lacuna, Starlink sta mandando in orbita una costellazione di satelliti privati, collocati nell’orbita terrestre bassa. A questi si collegano una serie di ricetrasmettitori terrestri detti “Dishys”, piccole antenne che individuano automaticamente il satellite più vicino e vi si connettono, sostituendo il ricorso ad altre infrastrutture web, necessarie ai sistemi tradizionali, come cavi in fibra e ripetitori cellulari. Le antenne possono essere montate su tetti o nel cortile di casa: inoltre un’app sviluppata dall’azienda utilizza la realtà aumentata per aiutare i clienti a scegliere la posizione migliore per il proprio ricevitore.
SpaceX non è la prima azienda a fornire Internet satellitare: dalla fine del secolo scorso, buona parte della (lenta e costosa) costruzione delle infrastrutture Internet è stata affidata ad aziende private e nel mercato si muovevano già imprese come Viasat e Hughesnet. Su di loro, però, Starlink vanta alcuni vantaggi che la rendono molto competitiva.
Il fatto che i satelliti siano fino a 60 volte più vicini alla superficie terrestre di quelli dei rivali comporta che i segnali di rete devono percorrere distanze minori e, quindi, una minore latenza. In senso più ampio, lo strettissimo rapporto tra SpaceX e il governo statunitense – consolidatosi attraverso finanziamenti e appalti affidati dalla Nasa all’azienda di Musk – e il fatto che sia l’unica società al mondo a possedere un razzo riutilizzabile capace di trasportare in orbita un carico dopo l’altro, offrono a Starlink un grosso vantaggio in un mercato che vale potenzialmente fino a mille miliardi di dollari. Secondo Morgan Stanley, se Starlink dovesse prendere piede su vasta scala, il valore di SpaceX potrebbe arrivare a 175 miliardi di dollari.
L’azienda ha cominciato a sviluppare la sua rete nel 2015 e il primo prototipo è stato lanciato nello spazio nel 2018. Quattro anni dopo, sono oltre 2.000 i satelliti Starlink che volano nell’orbita terrestre bassa. Per mettere i dati in prospettiva, si stima che ci sarà bisogno di almeno 10mila satelliti per offrire un servizio efficiente in tutti i continenti e SpaceX sembra volerne lanciare in orbita fino a 42mila.
Già nella primavera del 2021, la presidente della società, Gwynne Shotwell, aveva promesso che entro il settembre dell’anno scorso Starlink sarebbe stata operativa a livello globale. Un anno dopo, siamo ancora molto distanti da quell’obiettivo: al momento, il servizio viene offerto in 32 Paesi compresi tra i 45 e i 53 gradi di latitudine nord, tra cui Stati Uniti, Canada, Regno Unito, Germania e persino Italia. Ma la distribuzione dei “Dishys” si sta rivelando particolarmente lenta e c’è una lista d’attesa piuttosto lunga per ricevere la propria antenna: in certe regioni, l’azienda prevede che non riuscirà a inviare ricevitori prima del 2023.
Questa lentezza non è il solo problema di Starlink. Dal punto di vista dei consumatori il prezzo risulta ancora proibitivo, soprattutto per le comunità rurali e marginalizzate che dovrebbero essere tra i principali acquirenti: un Dishy da solo costa 599 dollari, a cui si aggiunge un canone mensile di 110 dollari per il servizio.
Dal punto di vista della comunità scientifica, poi, le preoccupazioni abbondano. Nel 2019, poco dopo il lancio in orbita dei primi satelliti Starlink, l’Unione Astronomica Internazionale si è detta allarmata dalla presenza di satelliti visibili nel cielo notturno, che potrebbero minacciare l’attività di osservazione delle stelle e l’orientamento della fauna selvatica. Da allora, molti dei nuovi dispositivi lanciati da SpaceX hanno cominciato a includere rivestimenti antiriflesso e visiere parasole per renderli meno visibili.
Non si è ancora trovata una soluzione, però, ad altre questioni che circondano la sostenibilità della costellazione nell’orbita terrestre bassa – tra cui l’elevato impatto ambientale dei centinaia di lanci spaziali effettuati ogni anno da SpaceX per accrescere la propria rete Starlink e il problema della proliferazione dei detriti spaziali intorno alla Terra, che si teme possano accumularsi fino a mettere fuori uso i satelliti, disabilitare il servizio Gps e rendere molto più difficili i viaggi nel cosmo e le comunicazioni globali.
Infine, a febbraio la Nasa si è detta preoccupata dal piano dell’azienda di lanciare 30 mila nuovi satelliti nello spazio, affermando che potrebbero peggiorare il rischio di interferenze con il sistema usato per individuare asteroidi potenzialmente minacciosi e sovraffollare l’orbita terrestre bassa, aumentando il rischio di gravi collisioni. Già un anno fa, una coppia di satelliti gestiti rispettivamente da Starlink e OneWeb sono quasi entrati in rotta di collisione.
E poi, c’è il piccolo problema dei monopoli. Ad aprile, il più alto tribunale amministrativo francese ha revocato la licenza che permetteva di fornire il servizio Starlink nel Paese, citando le dimensioni e la portata delle operazioni dell’azienda come motivo della decisione. A detta dei giudici, la natura dell’attività di SpaceX – che include la produzione di razzi e satelliti, servizi di lancio, operazioni satellitari e servizi di telecomunicazione – potrebbe distorcere il mercato e spremere la concorrenza, finendo per incidere sui diritti dei consumatori francesi.
«Questo progetto potrebbe persino sconvolgere l’equilibrio economico di altri settori a causa della strategia di integrazione verticale di SpaceX», si legge nell’ordinanza della Corte. «Producendo i propri satelliti, i lanciatori per metterli in orbita, pilotando la costellazione e commercializzando i propri servizi di telecomunicazione, Starlink è in concorrenza con i produttori di satelliti, il fornitore di lancio europeo Arianespace, i produttori di apparecchiature di rete radio e gli operatori telefonici».
Preoccupazioni condivise anche oltreoceano. «Dagli imprevedibili veicoli a guida autonoma ai razzi che spargono detriti nelle zone umide del Texas fino al cielo sempre più affollato sopra le nostre teste, il mondo è diventato il laboratorio sperimentale di Elon Musk», scriveva il giornalista Jacob Silverman su The New Republic, commentando i possibili danni collaterali di Starlink. «Che tu creda o meno nella missione di alterazione del sistema solare di Musk, le persone stanno sperimentando i suoi prodotti intorno a te. I rischi si applicano a quasi tutti noi, mentre i premi matureranno per Musk e i suoi azionisti».
In tutto questo, SpaceX gode del plauso del governo statunitense, per conto del quale traghetta gli astronauti della Nasa verso lo spazio e lancia i satelliti del governo. L’anno scorso, Starlink si è aggiudicato il 10 per cento di tutti i sussidi messi in ballo dalla Federal Communications Commission per portare l’accesso a Internet nelle aree rurali, per un totale di 885,5 milioni di dollari. I restanti 9,2 miliardi di dollari sono stati ripartiti tra altre 179 aziende diverse.
E quando, quel 26 febbraio, Musk ha risposto a Fedorov promettendo di inviare antenne per connettersi a Starlink nel Paese in guerra, un’inchiesta del Washington Post ha mostrato come la Casa Bianca abbia speso quasi 3 milioni di dollari per comprare circa 1500 Dishys al costo di 1500 dollari l’uno, più 800mila dollari per farli arrivare oltreoceano.
In totale, all’Ucraina sono stati donati quasi 4.000 terminal. Un risultato non scontato, dato che Musk non è noto per rispettare le proprie promesse. Nel 2018, per dire, aveva annunciato che avrebbe riunito una squadra di ingegneri per costruire una capsula al fine di salvare un gruppo di adolescenti che erano rimasti bloccati in una grotta allagata in Thailandia: è stato un buco nell’acqua. Nel marzo 2020, poi, aveva promesso che Tesla avrebbe iniziato a costruire ventilatori polmonari per contribuire alla lotta contro la pandemia di Covid ma il prototipo non è mai stato messo in produzione.
C’è almeno un precedente davvero virtuoso: nel gennaio scorso, SpaceX ha reso disponibile Starlink a Tonga, un arcipelago del Pacifico dove l’infrastruttura digitale era stata distrutta da un’esplosione vulcanica. In quel caso, l’intervento dell’azienda aerospaziale era stato estremamente utile, collegando gratuitamente al resto del mondo «villaggi isolati che hanno un disperato bisogno di connessione» fino a quando i cavi danneggiati non sono stati sostituiti.
Benché Fedorov abbia annunciato che l’arrivo di Starlink «sta aiutando a rendere l’Ucraina più aperta verso il mondo intero», il Paese può contare su un’infrastruttura Internet più avanzata e resistente di quella di Tonga e il rischio che le persone siano completamente escluse dalle comunicazioni è molto limitato. Il che non vuol dire che non sia un’ottima pubblicità per l’uomo che vuole colonizzare Marte.
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