Da oltre otto anni la Siria è sconvolta da una violenta guerra civile che ha avuto inizio nel 2011. Nei mesi di febbraio-marzo sono scoppiate delle grandi manifestazioni popolari per ottenere maggiori libertà individuali ma le proteste sono state represse nel sangue dal presidente della Siria Bashar al-Assad. I manifestanti ribelli hanno reagito organizzandosi militarmente nell’Esercito siriano libero e da allora gli scontri tra i ribelli e le forze governative non si sono mai interrotti del tutto.
A complicare la situazione nel 2014 c’è stato l’intervento del neo-nato Stato islamico (Isis) contro Assad e i ribelli. Le mire espansionistiche dell’Isis sono state arginate soprattutto dalle milizie curde che nel 2016 grazie al contributo degli Stati Uniti e della Russia sono riuscite a riconquistare le principali città della Siria. Il 9 ottobre del 2019 il presidente della Turchia Erdogan ha però deciso di scatenare una violenta offensiva contro i curdi, nota come operazione “Fonte di Pace”, che è andata avanti ininterrottamente per oltre una settimana. L’incontro del 22 ottobre tra Erdogan e Vladimir Putin a Sochi (in Russia) ha aperto una fase di tregua, che la Turchia ha accettato di mantenere in cambio di una ritirata immediata dei curdi dalla zona di confine.
Dopo il ritiro delle truppe americane dal nord-est della Siria, il 9 ottobre 2019 la Turchia ha avviato l’operazione militare “Fonte di Pace” con l’obiettivo di neutralizzare le forze curdo siriane presenti sul territorio. Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan vuole infatti stabilire una zona cuscinetto lungo il confine tra Siria e Turchia sgombra dai combattenti curdi. In risposta Assad ha schierato il suo esercito in difesa dei curdi pochi giorni dopo l’inizio dell’offensiva.
Il 22 ottobre l’incontro tra Erdogan e Vladimir Putin a Sochi in Russia ha portato ad una prima interruzione dell’offensiva, che la Turchia ha promesso di mantenere a patto di un’immediata ritirata dei curdi dalla zona di confine. Le milizie curde hanno accettato di ritirarsi ma Erdogan per il momento non ha ancora ufficializzato la fine dell’attacco. Il 13 novembre il presidente turco si è recato alla Casa Bianca per incontrare Donald Trump, che si è offerto di porre fine alle sanzioni qualora il rispetto della tregua continui a essere mantenuto.
La guerra in Siria inizia con le forti repressioni da parte del presidente Bashar al-Assad delle proteste popolari esplose nella primavera del 2011. Alla dura reazione del presidente i ribelli risposero organizzandosi militarmente nell’Esercito siriano libero (Esl) e a quel punto ebbe inizio una vera e propria guerra civile, che ancora oggi non si può affermare sia del tutto terminata.
A rendere ancora più complessa la situazione fu l’intervento di altri gruppi armati legati al fondamentalismo islamico di matrice sunnita. Nel 2012 un gruppo terroristico legato ad Al Qaeda noto come Fronte al-Nusra iniziò a combattere il regime di Assad con attacchi terroristici suicidi. Da parte sua il governo rispose liberando gruppi para-militari che non di rado terrorizzavano la popolazione civile con attacchi indiscriminati.
A questo si aggiunse l’intervento dei curdi che dal luglio 2012 iniziarono a riconquistare i territori del Nord-est del Paese a maggioranza curda, la cui autonomia era stata fortemente limitata dal presidente Assad. Nonostante la comune opposizione al regime, l’ampio fronte antigovernativo non è mai riuscito a costituire uno schieramento unitario.
Nel marzo 2013 vi fu il primo intervento massiccio dell’Iran in sostegno di Assad e delle forze militari governative. Contemporaneamente, un nuovo attore si aggiunse a complicare il conflitto: lo Stato islamico, che in quel momento stava costituendo il suo primo nucleo di miliziani. Gli islamisti di Al-Nusra decisero di rimanere indipendenti pur instaurando una tacita collaborazione con l’Isis, ma questa nuova vicinanza ruppe del tutto la possibilità di un’alleanza anti-Assad tra l’esercito dei ribelli e gli islamisti. Isis infatti non si limitava a combattere contro Assad ma attaccava direttamente anche i ribelli dell’Esl.
Nell’agosto del 2013, un terribile attacco chimico nelle vicinanze di Damasco (a Ghuta) provocò centinaia di vittime e una prima crisi internazionale. Molte potenze occidentali come Stati Uniti, Francia, Regno Unito e Turchia minacciarono di intervenire direttamente contro Assad, sospettando che fosse lui il mandante dell’attacco. Russia e Iran a loro volta risposero annunciando l’intenzione di aiutare Assad.
A settembre una risoluzione Onu pose fine alle tensioni: le potenze straniere decisero di non intervenire in cambio della distruzione di tutte le armi chimiche del regime. Nel 2014 ci furono nuovi scontri interni al fronte islamista tra le milizie di Al-Nusra e quelle di Isis. La guerra civile continuò ad andare avanti interrottamente ma nel giugno del 2014 gli elettori furono comunque chiamati a votare. Bashar al Assad ne uscì trionfante, aggiudicandosi il rinnovo del mandato. L’Isis nel frattempo aveva continuato la sua espansione in Iraq e in Siria, sancita dalla proclamazione del califfato il 29 giugno 2014.
Gli Stati Uniti intervennero direttamente con una serie di bombardamenti contro le postazioni dell’Isis nel settembre del 2014 e anche Russia e Iran si unirono alla lotta continuando a colpire contemporaneamente anche i ribelli. Nel corso del 2016 le principali città della Siria furono liberate dalla presenza dello Stato Islamico, dato per sconfitto con la presa di Raqqa da parte dei curdi.
Nel 2018 un secondo attacco chimico ha colpito la città di Douma, in cui erano asserragliati i ribelli e di risposta, in aprile, gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e la Francia hanno sferrato un potente attacco missilistico contro Assad, che tuttavia è riuscito a mantenere il controllo del potere.
Nell’ottobre del 2019 Donald Trump ha deciso di ritirare le proprie truppe dalla Siria, dove aveva a lungo combattuto contro lo Stato islamico a fianco dei curdi. Lasciati da soli, i curdi hanno dovuto affrontare la violenta offensiva scatenata da Erdogan contro di loro il 9 ottobre scorso. Dopo 19 giorni Vladimir Putin nell’incontro di Sochi è riuscito a strappare a Erdogan un accordo che prevede l’interruzione dell’offensiva a patto di una ritirata dei curdi dalla zona di confine nel nord-Est della Siria che il presidente turco ha deciso di rivendicare. In seguito si sono svolti i pattugliamenti congiunti delle forze turco russe per verificare l’effettivo ritiro dei curdi ma la tregua per il momento sembra ancora fragile.