Tavola apparecchiata per Van Aert? L’Italia spera nel “non c’è 2 senza 3”
A esattamente un secolo dall’esordio, avvenuto a Copenhagen nel 1921, si correrà domani, in Belgio, lungo i 267 chilometri da Anversa a Lovanio, parte in linea e parte in doppio circuito alternato, la 94ma edizione dei Campionati del Mondo di ciclismo su strada. Ad onor del vero, gli addetti ai lavori considerano quello del 1927 ad Adenau, sul circuito automobilistico del Nurburing, il primo mondiale. Questo perché le prime sei edizioni furono riservate ai dilettanti con i professionisti ammessi solo nel 1927, occasione in cui fu introdotta la maglia iridata in coincidenza con il podio tutto azzurro composto da Alfredo Binda, Costante Girardengo e Domenico Piemontesi.
Il percorso parrebbe durissimo. Non tanto per un’asperità particolare ma per la continuità di saliscendi che non concederanno tregua ai corridori. Eccettuati i primi 50 chilometri, dalla partenza fino a Rotseelar, sostanzialmente pianeggianti, non c’è un metro privo di pendenza. La corsa si alternerà su due circuiti, entrambi infarciti di muri, su cui chi vorrà attaccare troverà pane per i suoi denti. L’anello intorno a Lovanio, lungo 16 chilometri, verrà affrontato per primo. Esso comprenderà quattro muri: Wijnpers (360 metri al 7,98%, pendenza massima del 9%), Sint-Antoniusberg (230 metri al 5,47%, pendenza massima dell’11%), Keizersberg (290 metri al 6,6%, pendenza massima del 9%) e Decouxlaan. Superato per la seconda volta il Wijnpers la corsa si trasferirà sul secondo circuito, denominato “delle Fiandre”, decisamente più impegnativo con i suoi cinque strappi, tutti con punte in doppia cifra: Smeysberg (700 metri all’8,84%, pendenza massima del 16%), Moskesstraat (550 metri al 7,98%, pendenza massima del 18%), S-bocht Overijse Taymansstraat (738 metri al 5,53%, pendenza massima del 18,3%), Bekestraat (439 metri al 7,65%, pendenza massima del 15%) e Veeweidestraat (484 metri al 5,16%, pendenza massima del 12%). Il secondo passaggio sullo Smeysberg farà da preludio al ritorno sul primo anello. A questo punto, la corsa sarà a metà del suo svolgimento. Le seguenti quattro tornate sul circuito più agevole potrebbero costituire una fase interlocutoria prima del rientro su quello più duro a poco più di 80 chilometri dal traguardo. È presumibile che la corsa si accenderà allora tra coloro che saranno sopravvissuti alla naturale selezione imposta dal percorso, molto probabilmente agevolata anche dal preannunciato maltempo. A 35 chilometri dall’arrivo, ci sarà il definitivo rientro sul primo anello che verrà affrontato interamente per due volte e parzialmente una terza fino all’arrivo posto in leggera salita.
È possibile che possa arrivare un uomo solo anche se è più probabile che sia un gruppo ristretto di non più di una mezza dozzina di corridori a giocarsi il titolo in volata. Wout Van Aert, non per la prima volta, parte come grande favorito. Se la squadra belga correrà come si deve, proteggendolo in modo da fargli risparmiare energie nella prima parte di corsa, è difficile che la vittoria gli sfugga. L’unica formazione in grado di contrastare, sulla carta, i padroni di casa è la Slovenia. Primoz Roglic non ha corso la prova a cronometro ma a tre settimane dalla fine di una Vuelta, dominata dal primo all’ultimo colpo di pedale, potrebbe essere in forma decrescente. Al contrario, è in condizione crescente Tadej Pogacar, anche se non pare aver ancor raggiunto lo stato di grazia che gli ha consentito quest’anno di centrare traguardi prestigiosi come la Liegi – Bastogne – Liegi ed il Tour de France. Altra squadra da tenere d’occhio è la Danimarca. Kasper Asgren, vincitore del Giro delle Fiandre sei mesi fa, sarà alla guida d’un drappello famelico comprendente Magnus Cort Nielsen, vincitore di tre tappe alla Vuelta, Mads Pedersen, l’inatteso vincitore di due anni fa ad Harrogate, e Michael Valgren, in forma superlativa nelle recenti corse toscane. Una menzione, infine, per pedigree più che per reali possibilità, va al campione uscente Julian Alaphilippe ed all’olandese Mathieu van der Poel, entrambi non al top della forma.
Dulcis in fundo, ma neanche tanto, veniamo all’Italia. Pensare che possa ripetersi quanto avvenuto al recente Campionato Europeo di Trento è utopico. Diversamente da due settimane fa, la corsa di domani richiederà qualità di fondo eccelse, non proprio la caratteristica degli uomini selezionati da Davide Cassani, probabilmente al suo passo d’addio sull’ammiraglia azzurra. Sonny Colbrelli sogna di sovrapporre la maglia iridata alle due, italiana ed europea, già conquistate quest’anno mentre Matteo Trentin vorrebbe vendicare la beffa di Harrogate, quando, diversamente da Beppe Saronni a Goodwood, al momento di dare la fucilata, gli rimase il colpo in canna. Gianni Moscon, infine, spera di dare sostanza ad anni d’attesa di un domani che non è mai divenuto oggi. Gli altri componenti della squadra dovranno entrare nelle fughe confidando che ciò porti a qualcosa di buono. La cabala dice che gli ultimi due mondiali in terra fiamminga, tanto tempo fa, hanno sorriso agli azzurri con le vittorie di Maurizio Fondriest nel 1988 a Ronse e di Mario Cipollini nel 2002 a Zolder. Servirà un nuovo miracolo italiano perché questi ricordi si trasformino in qualcosa di concreto.