Caso Turchia-Siria, chiesta la revoca della finale Champions a Istanbul. Uva: “Sarebbe atto forte, valuteremo”
Il vicepresidente Uefa: "Non siamo ancora nelle condizioni di poterne discutere: valuteremo insieme le situazioni"
Turchia-Siria, chiesta la revoca della finale della Champions League a Istanbul
Le conseguenze dell’offensiva turca contro i curdi si stanno facendo sentire anche nel mondo del calcio. Molti tifosi hanno dimostrato il loro dissenso lanciando la proposta di boicottare Istanbul come teatro della finale di Champions League prevista per il 30 maggio 2020 allo stadio Ataturk.
Su twitter l’argomento è trending topic ormai da ore e, oltre ad una petizione lanciata su Change.Org, all’appello hanno risposto presente anche diversi esponenti della politica italiana.
Le parole di Uva
Una richiesta su cui è intervenuto il vicepresidente UEFA Michele Uva: “Il calcio non può far finta di niente”, ha detto ai microfoni di Radio Anch’io, “ma tutte le cose vanno viste e discusse all’interno del Comitato Esecutivo. Revocare una finale è un atto forte, ma penso che non siamo ancora nelle condizioni di poterne discutere: valuteremo insieme le situazioni, ma mi sembra prematuro parlare di sanzioni a questo livello”.
I precedenti
Il caso più recente tra i precedenti risale alla finale di Europa League 2019. Per l’edizione vinta dal Chelsea in finale contro l’Arsenal molti tifosi dei gunners avevano proposto di spostare la gara a Wembley e non a Baku per due motivi: in primis la distanza tra l’Inghilterra e l’Azerbaigian e, in secondo luogo, l’impossibilità per Henrikh Mkhitaryan, calciatore armeno ora in forza alla Roma e all’epoca all’Arsenal, di essere della partita visti i rapporti tesi tra azeri e armeni a causa del conflitto in Nagorno-Karabakh. La proposta fu respinta e la partita si giocò comunque a Baku dove il Chelsea si impose per 4-1.
Nel 2018 venne annullata un’amichevole tra Israele e Argentina. I motivi erano da ricercare nelle minacce ricevute dai giocatori dell’albiceleste da parte di gruppi armati palestinesi.
Fino agli anni ’70 non erano rari i casi di partite non giocate per assenza di rapporti diplomatici tra le nazioni e i conseguenti rifiuti di scendere in campo delle nazionali. Polonia e Cecoslovacchia non si affrontarono alle qualificazioni per i mondiali del 1934 per motivi politici con la Polonia che rivendica parte del territorio della Slesia concesso alla Cecoslovacchia.
Turchia e Indonesia rifiutarono di giocare contro Israele alle qualifiche dei Mondiali del 1958, chiedendo anche di spostare la partita in campo neutro, richiesta negata dalla FIFA.
Nel 1973 ci fu uno dei casi più famosi. Si sarebbe dovuto giocare Cile-URSS, partita di ritorno delle qualificazioni per i Mondiali del 1974, ma l’Unione Sovietica si rifiutò di andare nello stato andino per il golpe di Pinochet avvenuto poco prima. All’andata con i tifosi cileni c’erano i militari per paura che gli spettatori potessero chiedere asilo politico in Russia. L’URSS richiese lo spostamento in campo neutro della partita di ritorno, la FIFA non tenne in considerazione la proposta sovietica e i russi rinunciarono alla trasferta.