Totti ha infranto l’omertà dei potenti: il suo addio alla Roma è un inno alla libertà
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Totti Roma – In una sola conferenza stampa c’erano più intrighi disvelati che in una intera serie di “House Of cards”. In una sola società ci sono più correnti in lotta tra di loro che dentro tutto il Pd.
In un solo gruppo dirigente diviso e sparpagliato fra tre nazioni e due continenti, ci sono più veleni che dentro l’Anm di Luca Palamara e di Cosimo Ferri. E per conoscere la portata e i dettagli di questo confitti non c’è nemmeno bisogno di un Trojan occulto inserito da qualche carabiniere in un telefonino, perché i segreti indicibili te li racconta direttamente uno dei suoi protagonisti.
Se mezza Italia ieri è rimasta incollata alla conferenza stampa di Francesco Totti, stupita per quel primo piano scolpito e ieratico, se ben due canali – sia Rai che Mediaset – hanno trasmesso quel discorso dal Foro italico in diretta (non l’addio di un campione, ma le dimissioni di un dirigente di seconda fascia!), se tutti i grandi giornali hanno dedicato la prima pagina all’ex capitano, non è perché questo evento interessi i romanisti, o gli appassionati di calcio. Anzi.
È perché Totti ieri ha rotto una regola aurea del potere, che vale dalla casa Bianca alla serie A, dal club Bilderberg a Cinecittà: nessuno può infrangere il vincolo di riservatezza, nessuno può svelare impunemente gli altari grondanti di sangue che sono nascosti dietro la facciata delle grandi luccicanti cattedrali.
La Roma è quotata in borsa, e la prima regola del Fight club è che non si può parlare del Fight club. E invece, nella lotta senza esclusione di colpi tra i mediocri affaristi di Boston (mediocri perché pensano prima di tutto ai soldi e purtroppo per la Roma non vincono mai) e i due talentuosi ex ragazzi “romani e romanisti” (che continuano a sognare una grande Roma, malgrado le sconfitte e la carestia) per la prima volta tutto è diventato visibile.
Dopo Daniele De Rossi (che lo ha fatto con più prudenza), adesso anche Francesco Totti ha reso platealmente intellegibile questo conflitto teatrale, spettacolare e drammatico tra mediocrità e talento, fra Salieri e Mozart.
Era come il “Che fai mi cacci?” gridato da Gianfranco Fini in faccia a Silvio Berlusconi, come lo strappo che nessuno si immagina sia possibile esplicitare e tuttavia si manifesta. Era come il retroscena che diventa scena.
Se Totti ha potuto fare tutto questo, abbattendo i suoi antagonisti Pallotta e Baldini al ground zero, è perché ha una delle caratteristiche che solitamente nelle leadership di prima fascia non esiste. Non è ricattabile. Non ha bisogno di essere garantito da nessuno. La sua vita precedente gli ha consegnato autonomia, ricchezza, felicità familiare.
Totti può andare alla guerra e ribaltare il tavolo fregandosene delle conseguenze e delle eventuali rappresaglie. Può attendere che i suoi avversari passino. Gli altri manterranno il controllo della società, ovviamente, il potere reale si preserverà, come sempre accade, ma nessuno potrà togliergli la maglia che ha tatuata addosso.
Il momento clou della conferenza stampa era il suo viso in primo piano, segnato di rughe premature, mentre lui dice: “Avrei preferito morire”. Capisci che è vero. Che c’è sofferenza. Dall’altra parte non c’è niente e nessuno. Un padrone senza volto, una corte di mezze figure.
La telenovela mediatica e i duelli tra un cuore dilaniato messo in piazza e un algido comunicato di trenta righe (“Totti ha una percezione fantasiosa della realtà”), hanno un protagonista solo. E questo, ieri, lo avvertiva chiunque abbia guardato quella conferenza stampa, anche se non sapeva nulla di chi siano Pastore e Schick o Nzonzi, anche chi non sapeva nulla del massaggiatore di Trigoria che scrive rapporti informativi al padrone americano, delle plusvalenze, delle cessioni, di quello che è accaduto in questi anni nello spogliatoio giallorosso.
È vero che è già partita la controffensiva: i più realisti del Re ci dicono che si tratta dello sfogo di un bambino viziato, un rompiscatole, un “pupone”, appunto, che non accetta il declassamento. Di uno che pretende di restare nella vita il leader naturale che era in campo.
Ma quello che ieri tutti potevano capire è esattamente quello che ieri era sotto gli occhi di tutti. C’è un uomo che lotta soffrendo per quello che ama, e che per farlo può mettere in gioco tutto, perché possiede una dote rara e preziosa. La sua libertà, conquistata con il talento.