Tokyo 2020, ciclismo: El Diablito sul trono d’Olimpia
L’ecuadoriano Richard Carapaz è il nuovo campione olimpico di ciclismo. Con una tattica perfetta, sfruttando a suo favore il continuo marcamento tra i due grandi favoriti, lo sloveno Tadej Pogacar ed il belga Wout Van Aert, il vincitore del Giro d’Italia 2019 ha conquistato una vittoria che mette a tacere coloro che, dopo il trionfo rosa, avevano dubitato del suo effettivo spessore. I due super pronosticati si sono dovuti accontentare di sprintare per i posti residui sul podio. Precedendo il gruppo dei battuti giunto a 1’07” dal vincitore, Van Aert ha conquistato l’argento e Pogacar il bronzo.
I primi 200 chilometri di gara sono stati all’insegna dell’azione di cinque coraggiosi: Juraj Sagan (Slovacchia), Nic Dlamini (Sud Africa), Michael Kukrle (Repubbica Ceca), Polychronis Tzortzakis (Grecia) e Orluis Aular (Venezuela). Il gruppo, totalmente disinteressato all’attacco nei primi 100 chilometri, ha lasciato che i fuggitivi guadagnassero fino a 20 minuti prima che Belgio e Slovenia decidessero di sacrificare un elemento ciascuno, rispettivamente Greg Van Avermaet e Jan Tratnik, per ricucire la corsa. Esaurita ai meno 40 dall’arrivo la fuga, l’inizio dell’ascesa al Mikuni Pass apriva le ostilità.
Van Aert schierava davanti gli ultimi due uomini rimastigli, Tiesj Benoot e Mauri Vansevenant. Sotto l’azione dei due fiamminghi il gruppo esplodeva, riducendosi a non più di 20 unità. Tra gli azzurri, i primi a staccarsi era Giulio Ciccone e Vincenzo Nibali con Alberto Bettiol, l’unico capace di restare con i primi.
A metà salita, nel tratto più duro con pendenza superiore al 20 per cento, partiva Tadej Pogacar. Lo sloveno, però, non era in versione Col de Romme e la sua azione, cui si univano lo statunitense Brandon McNulty ed il canadese Michael Woods, non creava un distacco decisivo. Così, poco dopo lo scollinamento, gli inseguitori rientravano, andando a formare un drappello di 13 corridori al comando: Bettiol (Italia), Van Aert (Belgio), Pogacar (Slovenia), Gaudu (Francia), A. Yates (Regno Unito), Mollema (Paesi Bassi), Uran (Colombia), Fuglsang (Danimarca), Schachmann (Germania), McNulty (USA), Carapaz (Ecuador), Kwiatkowski (Polonia) e Woods (Canada).
I battistrada affrontavano la lunga discesa verso il traguardo in modo scoordinato, tutti sulla difensiva in attesa di una mossa da parte di uno dei due favoriti. Questi, a loro volta, tiravano i remi in barca, Pogacar stanco per l’attacco andato a vuoto, Van Aert per lo sfiancante inseguimento. Di questa situazione di stallo approfittavano Carapaz e McNulty per partire dopo una curva, guadagnando in un batter d’occhio mezzo minuto. Il vantaggio si dilatava fino a 44” prima che Van Aert prendesse in mano la situazione recuperando 20 secondi su uno strappo a 12 chilometri dall’arrivo. Morivano, nel frattempo, le speranza azzurre con Bettiol che, vittima di crampi, era costretto ad alzare bandiera bianca.
L’ultimo dentello ai meno cinque dal traguardo chiudeva i giochi. Carapaz, avvertendo l’avvicinarsi degli inseguitori, lasciava McNulty sul posto e s’involava verso una storica seconda medaglia d’oro olimpica per il suo Paese, dopo quella di Jefferson Perez nella 20 chilometri di marcia ad Atlanta nel 1996. Dietro, rassegnati, gli altri si preparavano a contendersi i restanti posti sul podio. La feroce volata tra i duellanti sconfitti esprimeva la rabbia d’entrambi verso un traguardo beffardamente sfuggito. Una corsa dal dislivello di 4.865 metri era stata decisa in discesa.