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Cosa è rimasto delle Olimpiadi di Roma 1960

Immagine di copertina
Il palazzetto dello sport di Roma

A Parigi si aprono le Olimpiadi, la XXXIII edizione dei Giochi, proprio quella che si sarebbe potuta disputare a Roma: la Capitale, infatti, aveva presentato la propria candidatura per il 2024, poi ritirata in corsa per scelta della giunta comunale guidata da Virginia Raggi. La Capitale, come tutte le grandi città, ha una lunga storia di candidature abbozzate, ritirate in corsa o non andate a buon fine, ma nonostante questo Roma è e rimarrà per sempre una città Olimpica: chi ospita i Giochi almeno una volta può fregiarsi di questo titolo. Forte della XVII Olimpiade, celebrata a Roma nel 1960, la Città Eterna può fregiarsi di questo titolo.

Il tempo, tuttavia, passa, e da quell’evento di anni ne sono trascorsi più di 60. Un’edizione dei Giochi storica, che ha segnato la memoria di molti e lasciato alla storia olimpica molte immagini iconiche. Ma oltre alla memoria, cosa è rimasto di tangibile a Roma? Più di quanto si possa pensare.

Forse oggi ci risulta bizzarro immaginare che le gare di ginnastica si siano svolte tra le vestigia delle terme di Caracalla o che gli incontri di lotta si siano disputati tra i ruderi della basilica di Massenzio, ed è difficile immaginare Abebe Bikila passare tra i fornici dell’arco di Costantino in una gara dei giorni nostri, in un tempo in cui tra media e sicurezza si verrebbe a creare un cordone tale che costringerebbe a un rapporto probabilmente meno diretto con quei pezzi di storia.

Proprio a pochi metri dall’arco, su un muraglione di via San Gregorio, se ne sta discreta, quasi a non voler disturbare le innumerevoli vestigia della zona, una targa che celebra l’impresa del maratoneta etiope che vinse scalzo quella celebre gara. La vulgata lo immaginava allenarsi abitualmente a piedi nudi sull’acrocoro etiope, ma verosimilmente aveva avuto qualche problema con le scarpe: quattro anni dopo replicò l’impresa vincendo alle Olimpiadi di Tokyo, ma stavolta non era scalzo.

I monumenti, le vestigia della Roma antica furono quel valore aggiunto che la Città eterna è stata in grado di offrire al mondo in quell’occasione, senza nulla però togliere alle due principali aree, i due “clusters”, si direbbe oggi, di quell’edizione dei Giochi: l’area tra il Foro Italico e lo Stadio Flaminio da un lato, l’EUR dall’altra. A rendere queste due aree, che nel 1960 rappresentavano letteralmente i due opposti della città consolidata, fu una strada, in gran parte costruita ex novo, che aggirava da ovest il centro: per quanto ogni tratto di tale strada abbia un nome specifico, per tutti divenne la Via Olimpica, come ancora oggi molti romani la chiamano.

Laghetto dell'EUR
Il laghetto dell’EUR con in fondo il grattacielo dell’ENI

Il capo meridionale dell’Olimpica ha una storia strana, nato per un evento mancato, costruito per un evento riuscito. Perché quello che oggi tutti i romani conoscono come EUR doveva essere la sede dell’E42, l’Esposizione universale che avrebbe dovuto avere luogo nella Capitale nel 1942 ma non si tenne a causa della guerra. I progetti in pompa magna per una vera e propria cittadella per ospitare l’evento tanto voluto dal regime fascista rimasero incompiuti, e a conflitto finito l’Italia aveva altro a cui pensare rispetto a un progetto del genere. Prima, il villaggio che ospitava gli operai che costruivano il nuovo quartiere fu utilizzato per ospitare gli esuli italiani da quelle terre, l’Istria, Fiume e la Dalmazia, che italiane non erano più: nacque così il quartiere Giuliano-Dalmata. L’assegnazione delle Olimpiadi dette l’occasione per dare una nuova visione e una nuova vita a quel quartiere che avrebbe dovuto ospitare l’E42 e che di lì a poco sarebbe diventato per tutti l’EUR.

Se per raggiungere questa zona in automobile dagli impianti sportivi del nord della città venne realizzata la via Olimpica, chi arrivava a Roma dalla stazione Termini, o magari alloggiava durante i giochi in uno dei numerosi alberghi della zona, da cinque anni la Capitale disponeva di una linea della metropolitana, pensata anch’essa originariamente in vista dell’E42, e che dalla principale stazione raggiungeva il quartiere dell’Esposizione. Oggi parliamo di una linea che collega due capi opposti della città con tanto di diramazione, mentre all’epoca era più un collegamento tra Termini, alcune zone del centro di Roma e alcuni quartieri di Roma sud ancora in via di sviluppo. Tra San Paolo e l’EUR, c’era qualcosa di simile a un confine tra la città consolidata e quel nuovo quartiere olimpico, dalla forma di una cittadella, ancora troppo nuovo e troppo definito per non essere visto come qualcosa a sé stante. Le sue principali fermate della metropolitana furono dedicate a due importantissime figure italiane della scienza e della tecnologia del novecento: Guglielmo Marconi ed Enrico Fermi. Quest’ultima, dopo l’apertura della nuova stazione Marconi, lungo l’omonimo viale, nel 1990, cambiò nome e da quel momento le due stazioni sono per tutti Eur Palasport ed Eur Fermi. Nomi a parte, le due fermate della metropolitana risultano molto simili a come si presentavano negli anni ’60, nonostante l’EUR nel frattempo abbia cambiato faccia, tra demolizioni, come quella delle torri del Ministero delle Finanze, e nuovi edifici, come la Nuvola di Fuksas. Scendendo proprio alla stazione EUR Palasport, la prima cosa che ci appare è uno dei simboli delle Olimpiadi del 1960: il Laghetto dell’EUR.

Per quanto questo specchio d’acqua artificiale non abbia ospitato gare dei Giochi, è uno dei simboli di Roma 1960 e della nuova vita dell’EUR, non solo perché rappresentava una delle novità della Roma del boom economico, ma anche perché si trattava di quello che rappresentava grossomodo il centro geografico del quartiere pensato dell’Esposizione del 1942, realizzato ugualmente dopo la guerra e intorno al quale si susseguono pezzi di storia e di memoria delle Olimpiadi di Roma.

Piscina delle Rose Roma 1960
Il cartello all’ingresso della Piscina delle Rose reca ancora oggi scritto “Roma 1960”

Seguendo il laghetto, infatti, nascosta intorno a un recinto ben coperto da siepi che la nasconde dagli sguardi indiscreti, c’è la Piscina delle Rose, che ospitò allenamenti e alcune gare di pallanuoto in occasione dei Giochi. Ancora attiva, per quanto sia discreta spettatrice della vita del quartiere, in una posizione che sembra da un lato volersi trovare in mezzo alle passeggiate nel parco intorno al laghetto e dall’altro tenersi nascosta, di una cosa va certamente fiera: essere parte della storia olimpica di Roma. Ancora oggi, sopra il suo ingresso da Viale America, sopra al cartello col nome della piscina è scritto, quasi come un titolo onorifico, “Roma 1960”. Proseguendo la passeggiata intorno al laghetto, però, ci si imbatte in un altro pezzo di storia olimpica. Tale strada, infatti, si chiama “Passeggiata del Giappone”, circonda totalmente il lago e deve questo nome al fatto che nel 1959 il primo ministro del Sol Levante, Nobusuke Kishi, in visita a Roma proprio in preparazione dei Giochi: Tokyo avrebbe infatti ospitato quelli successivi del 1959, ed entrambi i Paesi, come ben sappiamo, volevano mostrarsi al mondo con un volto diverso da quello mostrato nella Seconda guerra mondiale la cui memoria era ancora ben presente. Kishi, nell’occasione, donò alla città di Roma 2.500 ciliegi giapponesi da fiore che vennero collocati intorno al lago e che sono ancora oggi visibili, attirando curiosi, amanti delle piante e del Sol Levante ogni primavera in occasione della loro suggestiva fioritura. Facendo questa passeggiata si ha la percezione di come l’EUR nella sua giovane ma ricca storia abbia cambiato molte facce: i palazzi intorno ci raccontano come fu pensato per l’Esposizione, come fu di fatto lanciato per le Olimpiadi e come, successivamente, si sia trasformato in un quartiere direzionale che ospita uffici e ministeri, a partire dal grattacielo dell’ENI che domina uno dei lati corti del laghetto.

Coppa Olimpica Giolitti
La Coppa Olimpica, gelato creato dal bar Giolitti in occasione dei Giochi del 1960

Ma sempre lungo la passeggiata intorno al lago, si può incontrare quella che viene chiamata la “Casina dei tre laghi”, una delle sedi del celebre bar e gelateria romano Giolitti. Può sembrare strano ma anche qui possiamo imbatterci in un pezzo di storia di Roma 1960: tra i vari gelati proposti, infatti, c’è anche la Coppa Olimpica, una coppa gelato creata in occasione dei Giochi e modellata tale da sembrare la fiamma di Olimpia. A oltre sessant’anni, questo gelato campeggia ancora, fieramente, nei menu del bar.

Il tour lungo il lago è però concluso da quello che è forse il più monumentale tra gli edifici realizzati in occasione di Roma 1960, che domina lo specchio d’acqua da sopra una collina idealmente collegata al lago da un parco con una serie di cascate, opera di Raffaele De Vico, recentemente riaperto. L’edificio monumentale è il Palasport, opera di Pierluigi Nervi e Marcello Piacentini, che pur nella sua modernità guarda più che mai agli edifici classici dell’antica Roma, a partire dalla sua spettacolare volta.

In questa struttura si svolsero alle Olimpiadi le gare di pallacanestro e, soprattutto, di puglilato, dove tra i vincitori della medaglia d’oro ci fu un giovane americano di nome Cassius Clay che, di li a poco, sarebbe diventato noto a chiunque con il nome di Mohamed Ali e che, in un’immagine iconica ed emozionante, nel 1996 avrebbe acceso il calderone olimpico di Atlanta pur visibilmente colpito dal Parkinson.

Palasport EUR
Il Palazzo dello Sport, costruito in occasione delle Olimpiadi

E’ però andando in un angolo più a sud dell’Eur, non a ridosso del laghetto, che troviamo uno spazio vuoto, un prato in mezzo ai palazzi come se ne trovano tanti, per ragioni più o meno spiegabili, nei quartieri di Roma. Stavolta, la spiegazione è una demolizione, quella del velodromo realizzato per i Giochi del 1960, rimasto per decenni pressoché inutilizzato e che negli anni 2000 venne demolito, con l’obiettivo di realizzarci un parco acquatico che mantenesse le stesse iconiche e sinuose linee del vecchio edificio. Sequestri giudiziari, presunti ritrovamenti di amianto e altri fattori bloccarono gradualmente il tutto, e oggi al suo posto abbiamo uno dei tanti vuoti urbani. All’altro lato della cittadella dell’EUR troviamo un’altra struttura dal passato olimpico, seppur realizzata e tuttora utilizzata per altri fini, ovvero il Palazzo dei Congressi, elegante opera di Adalberto Libera pensata proprio per quando sembrava che il quartiere dovesse ospitare l’esposizione del 1942. Per quanto tale edificio fu realizzato, utilizzato in passato come tutt’oggi per ospitare congressi, ricevimenti e cerimonie, i suoi ampi spazi si prestarono nel 1960 a fare da suggestivo teatro per gli incontri di scherma.

Se il nuovo volto dell’EUR fu una grande novità in una città che si stava sempre più espandendo, dall’altro capo della via Olimpica le novità non mancavano. E questo nonostante l’altro capo dell’Olimpica fosse la zona più tradizionalmente legata allo sport, protagonista nei progetti delle due candidature olimpiche di Roma del 1940 e del 1944, la prima ritirata in favore di Tokyo, la seconda arrivata sconfitta al ballottaggio con Roma. Sorte vuole che nessuna delle due edizioni ebbe luogo, a causa della Seconda Guerra Mondiale.

Quell’ansa del Tevere tra la Flaminia e Monte Mario era stata designata negli anni Trenta per la costruzione del Foro Mussolini, ribattezzato dopo la guerra Foro Italico, e ospitava molte strutture, a partire da un grande stadio che, dopo un rifacimento, si apprestava a prendere il nome con cui oggi è conosciuto ovunque, quello di Stadio Olimpico. Al suo fianco, lì dove erano già presenti i suggestivi stadi dei Marmi e della Pallacorda, si venne a creare a tutti gli effetti un altro di quelli che definiremmo oggi “Clusters” delle Olimpiadi: proprio quello che il regime fascista aveva progettato come propria celebrazione diveniva, in questo modo, un luogo di celebrazione della nuova Italia che provava a lasciarsi alle spalle la guerra e si lanciava verso il boom.

Villaggio Olimpico
Il villaggio olimpico, realizzato per ospitare gli atleti di Roma 1960

Ma, restando su quell’ansa del Tevere, era sull’altra sponda del fiume che alcuni grandi cambiamenti erano in corso: il vecchio Stadio Nazionale veniva demolito per lasciare spazio allo Stadio Flaminio, struttura che inspiegabilmente oggi si trova in un vergognoso stato di abbandono, e veniva realizzato un palazzetto dello sport, sempre opera di Nervi, fratello piccolo di quello più monumentale dell’EUR, da poco riaperto al pubblico e alle manifestazioni sportive dopo anni di chiusura. La vocazione sportiva dell’area non era una novità, si limitava a cambiare volto: lì c’era il già citato Stadio Nazionale, demolito per far spazio al Flaminio, lì c’erano gli ippodromi dei Parioli e della Rondinella, finiti per trasformarsi in campi per sfollati dopo la guerra. Fu proprio sull’area un tempo occupata da questi ippodromi in disuso che si decise di costruire il villaggio olimpico per ospitare gli atleti.

Le semplici casette, le vie costellate di pini, il relativo silenzio fanno sembrare questo luogo quasi un lido balneare, ma siamo nel mezzo di Roma: lì dove gli atleti passavano le loro giornate in attesa delle gare, in quegli appartamenti dove passavano notti insonni prima di una finale, oggi vivono famiglie di romani. A edificare il quartiere fu infatti l’INCIS, l’ente che si occupava di dare casa agli impiegati dello stato, e questa fu la funzione di tali case espletati i doveri olimpici. Girando per questo ameno quartiere si ha ancora oggi la percezione del suo passato da una serie di fattori: le strade dedicate ai Paesi partecipanti ai Giochi, o a grandi atleti della storia.

Stadio Flaminio
Le attuali condizioni di uno degli ingressi allo Stadio Flaminio

Una via in particolare è dedicata a Pierre de Coubertin, l’ideatore delle Olimpiadi dell’era moderna: proprio questa strada è l’indirizzo di una delle principali opere architettoniche della Roma contemporanea, l’Auditorium – Parco della Musica, in un ideale abbraccio tra due volti di una Capitale che non vuole limitarsi a vivere del suo glorioso passato, dell’arte e della storia che racchiude in ogni sua strada, ma che in quelle occasioni ha provato a scrivere una storia nuova. Chissà che tra le storie che scriverà in futuro non ve ne sia una che riporti, ancora una volta, il fuoco di Olimpia nella Città Eterna.

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