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Malagò a TPI: “Ai Giochi di Parigi per fare ancora meglio di Tokyo. I ritardi di Milano-Cortina? Non dipendono dal Coni ma dalla politica. All’Italia serve lo Ius soli sportivo”

"Tregua olimpica? La speranza è l’ultima a morire ma finora i leader mondiali non hanno cavato un ragno dal buco". Il direttore di TPI, Giulio Gambino, intervista Giovanni Malagò, presidente del Coni, alla vigilia delle Olimpiadi di Parigi 2024

Siamo alle porte delle Olimpiadi di Parigi. Cosa dobbiamo aspettarci dall’Italia?
«Di rispettare tutto quello che abbiamo fatto in questi tre anni (non quattro, perché Tokyo è arrivata un anno dopo del previsto a causa del Covid). In questo lungo periodo la Federazione, i tecnici, la preparazione olimpica hanno lavorato molto bene: si è acquisita una serie impressionante di risultati a livello continentale e mondiale. Nello sport questo non significa assolutamente nulla – perché devi ricominciare tutto da capo e devi dimostrarlo in quello specifico momento – ma allo stesso significa moltissimo perché ci sono i presupposti tecnici per fare un risultato ancora più quello rispetto a quello di Tokyo».

In Italia stanno emergendo tante nuove discipline, tanti nuovi leader.
«La multidisciplinarietà è stata sempre una nostra caratteristica, nel senso che ci provavamo a farle tutte, però avevamo delle “roccaforti” che erano nostro terreno di caccia: la scherma, ad esempio, è sempre stata definita la cassaforte del medagliere italiano. Oggi invece è tutto molto più spalmato, grazie a un lavoro minuzioso e di grande competenza, che parte da due presupposti. Il primo riguarda le caratteristiche del nostro Paese, la territorialità, le scuole di sport, l’ingresso nel panorama olimpico di nuove discipline come lo skate, il surf, l’arrampicata, la danza sportiva. Il secondo riguarda un fatto estremamente pratico: se negli sport in cui tradizionalmente vai bene qualcosa non funziona, se non hai un piano B non ottieni il risultato. Questo ci consentirà, o ci consentirebbe, di fare comunque risultato».

Quanto c’entra, se c’è, la crisi del calcio?
«Sicuramente in questi ultimi anni il Paese è diventato meno calciofilo. Ma, anche a vedere i dati sulle presenze negli stadi e sull’audience tv nell’ultimo campionato, non c’è stato un calo del calcio a favore di altri sport. Il fatto è che anche chi è appassionato di calcio si è finalmente interessato anche agli altri sport».

Questo è avvenuto grazie a grandi personalità emergenti come Tamberi o si nota un trend di giovani che si appassionano di più a nuovi sport?
«Se il Cio (Comitato Olimpico Internazionale, ndr) ha “imbarcato” nel programma olimpico le nuove discipline di cui parlavo è perché sono state fatte ricerche di mercato. Di certo oggi, grazie ai nostri atleti-simbolo – Tamberi ma anche Sinner, Jacobs, i nuotatori e tanti altri – si crea un effetto di curiosità ma anche di emulazione nelle nuove generazioni».

Il prossimo grande evento Made in Italy sono le Olimpiadi invernali di Milano-Cortina del 2026. Sappiamo dei ritardi, delle polemiche, dei costi al rialzo. Alcune cose fisiologiche, altre forse evitabili. Ti sei sentito di correre un po’ in solitaria?
«Partiamo da un presupposto, che non è una giustificazione ma un dato storico: non c’è mai stato un grande evento – sportivo o meno – che non sia stato accompagnato da ritardi o dalle altre cose che hai menzionato. In questo caso, in più, è successo di tutto, tra Covid, guerra in Ucraina, aumenti del costo della manodopera, inflazione… Ricordo che ci sono due istituzioni che lavorano contemporaneamente: chi si occupa dell’organizzazione sportiva e chi si occupa di costruire. Costruire cosa? Qualcosa che non è detto che sia indispensabile per le Olimpiadi, ma che metterà i cittadini nelle condizioni di vivere meglio dopo le Olimpiadi. Tra le centinaia di casi che posso citare, racconto sempre quello di Fiumicino, che negli ultimi anni è attestato da varie classifiche come il miglior aeroporto in Europa: Fiumicino fu pensato come opera sinergica ai Giochi di Roma 1960 per consentire alle delegazioni olimpiche di arrivare tutte insieme e in tempo, ma andò a finire che le delegazioni continuarono ad arrivare a Ciampino e Fiumicino fu aperto molto tempo dopo».

Questo per dire cosa?
«Questo per dire che purtroppo noi italiani, sotto il profilo del rispetto dei tempi e dei costi, non siamo sicuramente i primi della classe. Ma non è questo il mio mestiere, non è questo il mestiere di chi si occupa dell’organizzazione dello sport. Bisogna andare a rivolgersi ad altri soggetti, anche perché qua parliamo di opere pubbliche, mentre l’organizzazione dei Giochi è un’emanazione del Cio».

Ma c’è qualcosa di cui ti sei pentito, qualcosa che poteva essere gestito meglio?
«Non ho rimpianti, ma mi pento spessissimo di aver fatto qualcosa che, a conti fatti, avrei potuto fare meglio. Altrimenti sarei un cretino. Sbaglio quotidianamente, se non altro perché mi assumo molte responsabilità. Detto questo, quando il 24 giugno 2019 abbiamo vinto una partita apparentemente impossibile – dopo la ritirata di Roma e contro Stoccolma – non immaginavo che la scalata da fare fosse così complicata».

Quali sono le reali complicazioni?
«Ora c’è stabilità di governo, ma io ho avuto come interlocutori quattro esecutivi in quattro anni. Se ci si impiega sette mesi per nominare il collegio sindacale della società che si deve occupare delle opere, quando hai sei anni e cinque mesi per realizzarle… Quelle erano nomine politiche. Con questo ho detto tutto».

Le inefficienze della politica mal si conciliano con l’eccellenza dello sport.
«Il mio giudizio personale – ma credo ampiamente diffuso tra i 14 milioni di italiani che rappresento in quanto tesserati del mondo sportivo – è che nello sport come nella politica ci sono persone che sbagliano, ma nello sport sono persone estremamente competenti mentre in politica sono persone che si trovano ad avere a che fare con materie che esulano dalle loro competenze».

Questa peculiarità è solo italiana, o anche all’estero il Malagò di turno è rallentato dalle inefficienze della politica?
«È sbagliato fare confronti perché ogni Paese ha le sue peculiarità. Quello che è sicuro è che ovunque, o quasi, si sta creando una dinamica, non dico di antagonismo, ma di contenzioso tra la politica e lo sport. Bisogna ricordare che lo sport attua, regola, gestisce, ma chi fa la legge è la politica. Basterebbe, prima di adottare certi provvedimenti, incontrarsi per trovare una soluzione che vada bene ad entrambi. In alcuni Paesi questa cosa funziona».

Tra un anno scade il tuo terzo mandato. Guardando indietro, prima la costituzione di Sport e Salute ha depauperato le casse e la natura del Coni, poi ci sono state le polemiche con il ministro Abodi per una riforma non condivisa. Hai la sensazione che vengano messi i bastoni tra le ruote allo sport italiano?
«Personalmente non ho questa sensazione e mi auguro che non sia così, ma la stragrandissima maggioranza delle persone che si occupano di sport ce l’ha. E io li rappresento. C’è una riflessione che è stata certificata negli ultimi anni: tutte le forze politiche che hanno adottato questi atteggiamenti – ammesso che ci siano, lo voglio sottolineare – hanno poi avuto risultati non buoni sotto il profilo del consenso. In un mondo come quello dello sport, che conta oltre un milione di volontari, se fai delle cose che non vengono capite, ciò influisce poi nel momento del voto».

Hai detto: io non lo penso che la politica mi metta i bastoni fra le ruote, ma coloro che io rappresento lo pensano.
«Lo pensano perché, a differenza mia, non hanno un rapporto diretto con la politica. Io tutti i giorni cerco di tranquillizzare chi rappresento e racconto tutto ciò ai miei interlocutori della politica».

Giorgetti prima e poi Abodi hanno massacrato lo sport italiano oppure semplicemente hanno provato a migliorare ma sbagliando?
«Questo lo dovresti chiedere a loro. Il dato di fatto è che qui c’è una confusione a monte da parte di tutti. Il Coni, Comitato Olimpico Nazionale Italiano, non è un mondo a parte: rappresenta lo Stato, siamo un ente pubblico, io sono un funzionario pubblico, non siamo mondi contrapposti. Siamo soggetti che ogni tanto hanno interessi talvolta diversi ma che sostanzialmente devono convergere. Questo è il punto centrale della questione. L’elemento anomalo e che noi siamo un ente pubblico che, a differenza degli altri, siamo anche regolamentati da un sistema indipendente terzo internazionale».

Quando ci saranno le Olimpiadi di Milano-Cortina, tu rischi di non essere più il presidente del Coni perché il tuo terzo mandato scade prima. In altri casi è stata data l’opportunità di proseguire in deroga. Com’è possibile che il governo non abbia voluto porre rimedio a questa situazione?
«Non posso rispondere a nome del governo, andrebbe chiesto a loro. La stragrande maggioranza delle persone del mondo dello sport sostengono sia una legge ad personam, ma io non farò mai una richiesta pubblica in questo senso: in primis per una questione di dignità e poi perché spero e penso che ci si renda conto cosa significhi l’organizzazione di un’Olimpiade, specialmente invernale, in così breve scadenza».

Riguardo al rapporto tra politica e sport, ci sono due elefanti nella stanza: natalità e immigrazione. Cosa ti aspetti dal governo?
«Ho salutato con entusiasmo la nascita del Ministero della Natalità. Nello sport italiano stiamo facendo risultati a dir poco epocali, ma non c’è nessuna possibilità di poter continuare nel futuro a ottenere questi risultati se non cambia qualcosa. Abbiamo perso 5 milioni e mezzo di persone tra i 18 e i 36 anni dal 1994 a oggi, circa il 40% dell’offerta a disposizione. E, mentre noi arretriamo, gli altri avanzano».

Sei favorevole allo Ius soli sportivo?
«L’ho sempre sostenuto e ci ho messo la faccia. Non capisco perché una persona che veste la maglia italiana fino ai 18 anni, poi improvvisamente deve iniziare tutto un lungo percorso che, a parole, lo porta alla cittadinanza italiana il giorno dopo aver compiuto la maggiore età ma nella realtà impiega mesi o anni nella movimentazione di documenti. E cosa succede? Che quel ragazzo smette oppure va a gareggiare per la nazione di provenienza dei genitori. È un suicidio, perché noi lo abbiamo cresciuto e gli abbiamo dato le competenze tecniche… Che poi gli italiani sono i primi a essere fieri di questi atleti».

Elly Schlein ha puntato tantissimo su questo tema. Tanti vedono in lei un grande futuro. Ti piace?
«Se mi spingo da una parte o dall’altra, vengo strumentalizzato, ma io devo difendere lo sport, punto. Io vado d’accordo con tutti coloro che sostengono che lo Ius soli sportivo è sacrosanto. Che di fatto già esiste ma non la sua applicabilità non trova riscontro nella realtà».

Esiste un erede di Giovanni Malagò nello sport o nella politica?
«Penso che, se uno è stato un buon capitano della nave, non c’è nulla di peggio di pensare di trovare qualcuno come lui. Penso vadano trovate persone con caratteristiche diverse. Fermo restando che bisogna considerare anche a come è abituato il contesto, soprattutto nelle dinamiche internazionali».

In questi mesi abbiamo assistito a una escalation dei conflitti a livello mondiale. Lo sport può aiutare in qualche modo a far tacere le armi?
«Non solo l’ho pensato, ma ne ho anche molto parlato con il presidente del Cio. Non voglio dire che siamo l’unica speranza perché risulterebbe presuntuoso, ma al G7 in Puglia i leader mondiali si sono augurati il rispetto della tregua olimpica: significa che evidentemente non hanno cavato un ragno dal buco dai canali diplomatici e adesso si aggrappano alla tregua olimpica. Questo la dice lunga. Ricordo che il disastro del boicottaggio di Russia e Bielorussia è iniziato nel 2022, quando la Russia ha invaso l’Ucraina nel giorno della cerimonia inaugurale delle Paralimpiadi di Pechino».

La tregua olimpica sembra sempre più difficile…
«Sono ottimista nella vita e penso che la speranza sia sempre l’ultima a morire. Abbiamo ancora diversi giorni davanti».

Qual è lo stato sullo stadio della Roma?
«È incredibile che ovunque – sottolineo, ovunque, e conosco bene l’argomento perché giro il mondo – si riescano a costruire gli stadi e solo in Italia è un calvario, una via crucis…».

Il tuo giudizio su Roberto Gualtieri come sindaco di Roma?
«Gualtieri è una persona seria e per bene. La mia opinione è che all’inizio sia stato percepito molto meno bene rispetto ad adesso».

È giusto che un deputato, un senatore o chiunque rivesta una carica istituzionale alta percepisca denaro da uno Stato straniero?
«Se parliamo di quanti soggetti con ruoli istituzionali fanno altre cose che non andrebbero fatte, la lista è infinita… Io non lo farei, ma capisco sia una cosa legittima».

Chiudiamo con una domanda sul caso di Massimo Bochicchio. Alcuni hanno investito con lui, tu no. C’è un motivo particolare?
«Le registrazioni attestano che con i miei più cari amici dicevo che bisognava essere matti ad affidare i propri soldi a Bochicchio. Lui era un incantatore di serpenti e io, un serpente, non lo sono stato».

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