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Maratona di Trieste “vietata” agli africani? Ecco cosa c’è di vero

Immagine di copertina
Ruto Dominic Kipngetich durante la Maratona di Roma 2017. Credit: Giuseppe Ciccia/Pacific Press via ZUMA Wire

Alla mezza maratona di Trieste non parteciperanno atleti africani. La decisione è stata duramente criticata dal Pd friulano e da altri partiti di sinistra, che hanno parlato di “epurazioni” e “apartheid”, mentre per gli organizzatori del Running Festival Trieste si tratterebbe di una scelta contro il presunto “sfruttamento” degli atleti africani. (qui la notizia completa).

Il presidente di Apd Miramar, l’organizzazione che promuove la gara podistica, Fabio Carini, ha espresso infatti l’auspicio che “vengano presi dei provvedimenti che regolamentino quello che è attualmente un mercimonio di atleti africani di altissimo valore, che vengono semplicemente sfruttati e questa è una cosa che non possiamo più accettare”.

Intanto, la notizia inizia ad avere le prime conseguenze. Fabio Pagliara, segretario generale della Federazione italiana atletica leggera (FIDAL), ha fatto sapere di aver aperto un fascicolo sulla decisione degli organizzatori e di aver chiesto alla sezione del Friuli Venezia Giulia una relazione sull’accaduto. In queste settimane, ha aggiunto Pagliara, si sta lavorando per una “rivisitazione del ruolo degli agenti” anche su sollecitazione del Coni.

Nicola Fratoianni ha annunciato inoltre di voler portare il caso in Parlamento con una interrogazione al governo.

Eppure, la decisione potrebbe celare dietro di sé più ragioni economiche che presunti propositi razzisti, come spiega Martino Ghielmi, fondatore del blog Vado in Africa.

Ghielmi, che in passato ha collaborato per anni con il team di atletica “equo & solidale” run2gether, ha scritto un lungo post Facebook in cui affronta i vari punti della questione.

Maratona Trieste vietata agli africani: bufala o verità?

“Prima di parlare a sproposito occorre conoscere come funziona il settore”, scrive Ghielmi. “Nessun professionista, e gli africani in questione lo sono tutti, partecipa a una gara per il piacere di farlo. E neanche solo per i premi in palio”.

Di solito infatti gli atleti partecipano dietro il pagamento di un premio variabile, in funzione del proprio piazzamento e/o tempo, e di un ingaggio fisso, negoziato in anticipo.

“Il budget della maratona di Trieste, come gran parte delle manifestazioni italiane, è risicato e in continuo calo”, sottolinea Ghielmi. “Hanno quindi deciso di non ingaggiare nessun etiope/kenyano (di seconda fascia) disponibile in Italia. Al massimo prenderanno un paio di italiani ‘amici di amici’ a cui verrà assicurata la vittoria in assenza di concorrenza seria”.

Una scelta che l’autore del post definisce “discutibile”, ma “legittima”.

In sostanza, la gara non è “vietata” agli africani, perché chiunque di loro volesse iscriversi sarebbe libero di farlo, purché in regola con il tesseramento. Ma, come sottolinea Ghielmi, “ovviamente chi corre per vincere non lo farà perché il gioco non vale la candela”.

E la questione dello sfruttamento, invece? Ghielmi ammette che il settore non brilla per limpidezza, ed è composto da “una sorta di oligopolio in cui pochi procuratori si spartiscono un (magro) bottino combinando le gare e/o spremendo gli atleti considerati macchine/animali e non persone”.

Per combattere questo tipo di sfruttamento, però, più che proclami servirebbe “una seria selezione dei procuratori/squadre con cui si sceglie di lavorare (non sono tutti uguali), presentazione precisa degli atleti che hanno un nome, un cognome, una storia (…) Si può portarli nelle scuole, ad allenarsi con gli amatori, a incontrare la cittadinanza per costruire legami bidirezionali tra territori e persone”.

“Non invitarli con il pretesto dello sfruttamento”, invece, “ha il sapore della farsa tragicomica. Ma tant’è”, conclude Ghielmi.

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