Il più forte di tutti i tempi. Messi a confronto
La pulce si avvia verso il settimo pallone d’oro
La prima volta che vidi un gol di Lionel Messi avevo appena compiuto quattordici anni, era il 18 aprile 2007, e con i miei amici iniziavo a familiarizzare con You Tube, che all’epoca sembrava contenere tutte le stranezze del mondo e che ci permetteva di tradurre in video ciò che molto spesso ascoltavamo soltanto in radio. E qualcosa di anomalo effettivamente vedemmo quella sera, un giovane calciatore diciannovenne del Barcellona partire da centrocampo, dribblare tutta la squadra del Getafe, portiere compreso, e segnare. I telecronisti tanto impazziti quanto increduli in pochi secondi elencarono una decina di aggettivi per descrivere quello che avevano appena visto e subito il paragone andò al celebre gol del secolo di un altro argentino, Maradona, quello contro l’Inghilterra ai Mondiali del 1986. L’azione era una fotocopia, soltanto che Messi viaggiava con il pallone fra i piedi a una velocità mostruosa.
Quello appena descritto era il gol numero 21 nella carriera del fuoriclasse di Rosario, di cui avevo già sentito ampiamente parlare ma di cui non comprendevo ancora bene il talento, e che infatti già contava nel suo Palmares una Champions League. Messi aveva anche già segnato e fatto assist in un Mondiale, quello per noi fantastico del 2006, nella partita che vide radere al suolo la malcapitata Serbia-Montenegro con un sonoro 6-0. Però l’allora tecnico Albiceleste, forse per nostra fortuna, non ebbe sempre il coraggio di schierare in campo quello che sembrava troppo giovane per una competizione così importante, preferendogli calciatori del calibro di Crespo e Tevez. L’Argentina fu eliminata infatti in una partita in cui Messi sedette in panchina per tutti i novanta minuti.
Sempre quella sera, presi dalla curiosità, ci mettemmo a cercare altri video su Messi, scoprendo che addirittura aveva già siglato la prima tripletta in carriera, niente poco di meno che contro i Galácticos del Real Madrid. “Questo se continua così diventerà come Maradona“, dissi sottovoce, prendendomi il rimprovero del mio amico che da tifoso del Napoli giurava, a mo’ di dogma di fede, che nessuno mai sarebbe stato al pari di Diego. I primi anni di carriera di Messi, effettivamente saranno alla ricerca continua del confronto allora impossibile. Appena due mesi dopo quella notte magica contro il Getafe, infatti, Messi si prende gioco dei rivali dell’Espanyol, segnando nel derby con la Mano de Dios.
Nella stagione 2008-2009, Messi ha appena guidato la Nazionale olimpica alla medaglia d’oro, e intanto sulla panchina del Barcellona arriva il tecnico Guardiola. Quest’ultimo costruisce grazie anche a un ipnotico tiki-taka quella che secondo molti è la squadra più forte di sempre, capace di coniare il termine sextuple, in altri termini: il bottino pieno in ogni competizione. Il fuoriclasse argentino domina su tutto e su tutti, trascinando i blaugrana: vince la sua prima Coppa del Re, la sua terza Liga e soprattutto la sua seconda Champions a Roma contro il Manchester United di Cristiano Ronaldo. All’Olimpico riuscì a staccare di testa e mettere all’incrocio un pallone in aria che sembrava alto persino per una colonna come Van Der Sar, alto 1,97 cm, che restò sbigottito a guardare quell’alieno volare. Proprio Messi a cui da bambino gli era stato detto che non avrebbe potuto sfondare nel calcio che conta, a causa della sua piccola statura, per il suo corpo troppo esile. Arrivarono poi di seguito la Supercoppa di Spagna, quella Europea e il Mondiale per club segnando addirittura di petto in tuffo al ’109 dei supplementari. Neanche a dirlo, arrivano anche i primi pesanti premi individuali: il Fifa World Player, la Scarpa d’oro (se ne aggiudicherà addirittura 6) e il Pallone d’oro (stabilirà anche qui il record in solitaria di 6).
Nel 2010 in Spagna non sembrano esistere rivali. Il 21 novembre il Barcellona umilia l’Almeria per 8-0. Il turno successivo di Liga prevede El Clásico, in un’intervista l’eterno rivale Ronaldo dichiara di non essere impressionato e che il Real Madrid di Mourinho è tutt’altra cosa. Ma i due fenomeni portoghesi ritorneranno a casa solo dopo aver preso cinque gol. Il Pallone d’oro arriva per quattro anni consecutivi, l’anno successivo arriva la terza Champions e un altro Mondiale per club, il calcio non sembra avere più sfidanti e così sui social inizia a diffondersi l’odio verso il campione argentino: “Non può vincerlo soltanto lui”; “Ormai non ha più senso come premio”; “Ci sono altri che meritano”.
Nel 2012 il Barcellona sembra in una leggera fase calante, il campionato comunque viene dominato, ma il dato più impressionate è che Messi riesce a siglare in un solo anno la bellezza di 91 gol (Maradona nella sua avventura al Napoli: in sei anni collezionò 81 gol in campionato, 115 in tutte le competizioni; quest’anno in Serie A nessuna squadra, sì, si parla di squadre intere e non di singoli calciatori ha raggiunto tale numero).
Uno studio universitario condotto dai ricercatori della KU Leuven University in Belgio, ha analizzato dal 2013 il fattore VAEP (Valicing Actions by Estimating Probabilities), il quale indica in che modo un giocatore contribuisce al gioco, al risultato della gara, alle manovre offensive e difensive, al di là dei gol e degli assist. Il risultato dello studio ha rilevato che un calciatore come Ronaldo raggiunge un valore che è esattamente la metà della “pulce”. Nel 2014 è l’anno della più grande delusione, Messi trascina la sua Nazionale nella finale dei Mondiali, ma una dimenticanza della sua difesa gli costa il trofeo tanto agognato. I suoi detrattori non gli perdoneranno mai quella serata, come se una svista difensiva dei suoi compagni in un torneo con solo sette gare in totale possa mettere in discussione una carriera senza eguali. Accanto agli amici Suarez e Neymar, Messi si consola – si fa per dire – con l’ennesima stagione stellare: una nuova Champions contro la Juventus, un nuovo Mondiale per Club, ancora il Pallone d’oro e ancora i tanti trofei in Spagna di cui ormai si è perso il conto.
I numeri collezionati in questi anni gli permettono di essere il migliore assistman della storia con netto distacco, con numeri che si aggirano intorno al 350 (dati di Transfermarkt) e anche in competizioni singole come il Mondiale, la Coppa America, la Liga e la Champions. Lo scorso dicembre ha superato il record di gol con una sola maglia, che sembrava irraggiungibile: 644, contro i 643 di Pelé con il Santos. 748 a oggi invece sono i gol aggiornati con Barcellona e Argentina, 775 se si contano anche i gol con la Nazionale olimpica e il Barcellona B e C (che rientrano nei gol ufficiali, non in quelli delle giovanili). Con buona pace del falso mito dei 1200 e oltre gol di Pelé, 757 ne ha segnati in competizioni ufficiali, il record da battere è quello del leggendario Josef Bican che dagli anni ’30 agli anni ’50 fece faville seppur in un calcio molto meno tecnico, in categorie inferiori e palcoscenici decisamente meno prestigiosi, fermandosi alla cifra “concordata” di 820. Numero che in prospettiva potrebbe essere superato anche da Ronaldo e quasi sicuramente da Messi, che ha dalla sua parte il vantaggio dell’età anagrafica e molte meno presenze alle spalle.
Il migliore assistman e il migliore finalizzatore (in prospettiva) della storia sono la stessa persona. Se anche questi numeri fossero la metà di quello che sono, probabilmente Messi potrebbe essere considerato comunque il migliore di sempre, per la qualità, la visione del gioco e le occasioni create. Non è questo il momento di parlare di altre specialità come le punizioni, che sono quasi un gioco, un tiro al bersaglio che nessuna tattica difensiva ormai riesce a frenare (dal coccodrillo, alla muraglia dei dieci giocatori davanti alla porta).
Nella notte fra sabato e domenica, Messi ha portato in gloria l’Argentina riportando a Buenos Aires la Coppa America, risultando il migliore giocatore della competizione, il migliore assistman e, neanche a dirlo, mi scuserete per le ripetizioni, il capocannoniere. Intanto, l’Italia ha portato a casa gli Europei e sui social in tanti sognano il pallone d’oro a Jorginho (peccato per il rigore sbagliato in finale), qualcuno invoca anche Donnarumma (purtroppo con alle spalle una stagione con alti e bassi con il Milan). Sarebbe bello se dopo l’ultimo nel 2006 a Cannavaro, un italiano potesse ambire al prestigioso premio, anche se i numeri dell’argentino lasciano in realtà poche speranze (per l’ottava volta capocannoniere in campionato [30] e tanto per cambiare anche migliore assistman [11] , oltre i numeri nelle altre competizioni, con la Selección e una Coppa del Re vinta con un due gol da extraterrestre in finale). Sarebbe addirittura il settimo in carriera per Messi, numeri da capogiro contro cui soltanto Ronaldo ha provato, senza riuscirci, a eguagliare.
Il calcio è fatto di tifosi, di romantici, di irrazionalità emotiva e pertanto per alcuni sarà difficile ammettere che il proprio idolo – che si tratti di Pelé o di Maradona, di Ronaldo il fenomeno o di Ronaldo il portoghese, di Ronaldinho (è il mio) o di Di Stefano – sia stato superato per numeri, per trofei, per gioco, per continuità da un piccolo ragazzino timido venuto da Rosario, che ha sposato una ragazza del suo quartiere. Come ha detto un uomo che abbiamo apprezzato tanto in questi giorni: “Messi è il migliore di tutti, gioca dove e come vuole. Senza mancare di rispetto a chi c’era prima non ci sono paragoni, non c’è niente da fare. Alcuni confronti sono ridicoli. Il migliore di sempre è solo uno“. (Luis Enrique).