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Goodwood, 40 anni dopo: la fucilata che verrà ricordata in eterno

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Su TPI l'intervista esclusiva all'ex ciclista Giuseppe Saronni nel 40° anniversario del suo titolo mondiale

Il 5 settembre 1982, esattamente 40 anni fa, Giuseppe Saronni trionfava a Goodwood, in Inghilterra, nella prova unica che assegnava il titolo mondiale di ciclismo professionista maschile. Il passaggio del tempo non ha minimamente intaccato il ricordo di questo successo sulle verdi colline del Sussex che brilla, a tutt’oggi, come la stella più lucente tra le 18 maglie iridate della storia della bicicletta azzurra. Cerchiamo di capire le ragioni che hanno reso quel giorno così memorabile, ascoltando colui che ne fu l’artefice.

Beppe, è giusto definire la tua vittoria iridata il coronamento della corsa perfetta? “Nel limite in cui bisogna sempre fare attenzione ad usare gli aggettivi estremi, direi proprio di si. Io feci quello che ci si aspettava da me. Questo, però, fu possibile solo perché la squadra quel giorno funzionò meglio d’un orologio svizzero, a cominciare da Francesco Moser che non si tirò indietro e collaborò pienamente.”

Fu, quindi, riscattata la giornataccia di Praga, dodici mesi prima? “Ci furono molti malintesi in corsa nel mondiale boemo. I nodi vennero al pettine nel momento in cui bisognava tirarmi la volata e nessuno era, in realtà, pronto a farlo. Il Commissario Tecnico Alfredo Martini, ad un anno di distanza, volle assicurarsi che tutto fosse chiaro. In corsa, ognuno assolse il ruolo assegnato. Questo portò al conseguimento del risultato che ci eravamo prefissati.”

Un mondiale, quello di Goodwood, corso in un momento molto triste per il nostro Paese: “In Inghilterra, alla viglia della corsa, non ci rendevamo conto di quanto stesse avvenendo in Italia L’assassinio del Generale Dalla Chiesa, seguito dal mio successo iridato, mi fece rivivere un’esperienza, bella ma triste, di qualche anno prima quando a La Spezia vinsi la mia prima tappa al Giro d’Italia nel giorno del ritrovamento del corpo di Aldo Moro. A Goodwood, il contesto internazionale, ci permise di festeggiare pienamente. Fossimo stati in Italia, sarebbe stato inopportuno”

Le vostre vittorie ad illuminare la notte della repubblica: Moser e Saronni, un duello che caratterizzò proprio gli anni di piombo. Quanto ve ne rendevate conto in corsa? “Durante le gare quasi mai. Capitò, tuttavia, più d’una volta che, giunti al traguardo, le premiazioni saltassero per via di qualche tragico evento delittuoso appena avvenuto.” Gli italiani devono molto a voi due per averli distratti con la vostra rivalità da questo cupo scenario. “Avrei preferito non avere questo merito.”

A Goodwood diventasti campione del mondo ma poi lo fosti effettivamente per un anno intero. Nessun italiano, neanche Alfredo Binda e Fausto Coppi, ha vinto quanto te in una singola stagione in maglia iridata. A conti fatti, nella storia delle due ruote, solo Eddy Merckx, tra il 1971 ed il 1972, ti è stato superiore. “Non ci avevo mai pensato ma, ovviamente, fa molto piacere saperlo. Suppongo sia questo il motivo per il quale, a 40 anni di distanza, ci si ricorda ancora del mio titolo mondiale. Fu l’inizio per me d’un periodo magico irripetibile.”

Nell’ordine, poi, conquistasti in maglia iridata il Giro di Lombardia, la Milano – Sanremo ed il Giro d’Italia. Una sola di queste tre vittorie sarebbe stata sufficiente a confermare il tuo status di campione del mondo. Invece tu, emulando proprio Merckx, portasti a compimento un poker mai più riuscito a nessuno. “Sai, nel momento in cui realizzi queste imprese, non ci fai troppo caso. Al Lombardia portai la forma di Goodwood. Per vincere la Sanremo, rinunciai a lottare per la Tirreno – Adriatico. Infine, preparai il Giro d’Italia, andando in Spagna a disputare la Vuelta. Fu un anno bellissimo.”

C’è qualche aneddoto particolare legato a questo periodo magico. “Credo che ora, a distanza di quasi 40 anni, lo si possa raccontare. Alla vigilia della Milano – Sanremo 1983, corsa per me stregata in cui ero già arrivato tre volte secondo, mi sentivo sicuro di vincere. Così radunai la squadra in camera nel nostro albergo. Tirai fuori una bottiglia di prosecco ed un vassoio di pasticcini e, di nascosto dal nostro direttore sportivo Pietro Algeri, festeggiai in anticipo con i compagni quanto, puntualmente, avvenne il giorno dopo.”

Torniamo a Goodwood, in chiusura, una grande vittoria che aveva per te un significato personale speciale. “E’ proprio così. A giugno, dopo un Giro d’Italia in chiaroscuro, ero andato a correre il Giro di Svizzera. Sulle strade elvetiche trovai una forma inattesa, al punto che vinsi la corsa non grazie agli abbuoni in volata bensì facendo il vuoto nel tappone alpino. In ammiraglia, a guidarmi come ormai faceva da cinque anni, c’era Carlo Chiappano, un secondo padre per me. Qualche settimana dopo, il 7 luglio, Carlo perse la vita in un incidente stradale, lasciandomi orfano non solo ciclisticamente. Ho sempre creduto che a guidarmi dall’alto, quel giorno a Goodwood, sia stato lui. Il mio titolo mondiale è anche suo!”.

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