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Home » Sport » Calcio

“Vi spiego il golpe degli Elkann per far fuori Andrea Agnelli dalla Juventus”

Immagine di copertina
AGF

“Il terremoto nel Cda bianconero è la seconda guerra di successione fra gli eredi dell’Avvocato. Dietro ci sono le manovre spregiudicate delle donne di John nel board”. Intervista a Gigi Moncalvo, autore del libro "Agnelli Coltelli"

«Ha presente gli sceriffi del Far West che mettono la taglia per portare a casa il risultato?».

Cosa c’entra il Far West con il caso Agnelli, di cui parleremo in questa intervista?

(Ride). «C’entra, c’entra…. Ha notato che lo scandalo dell’inchiesta sulla Juventus, come tutte le cose che riguardano la famiglia Agnelli, in queste ore viene trattato dai giornali mainstream con i guanti e con gli omissis?». 

Vuoi dire che alcuni giornali lo fanno nascondendo qualcosa? E perché?

«Dai, tu la risposta la conosci meglio di me!».

No, dimmela.

«Metà dei grandi quotidiani italiani, un settimanale, tre radio nazionali e svariati giornali locali, oggi, sono di proprietà di Exor, cioè degli Elkann. Inutile ricordare che l’inchiesta di Torino è molto difficile da raccontare, se poi l’oggetto delle indagini e i reati contestati riguardano una società del tuo editore».  

Tu in compenso lo hai fatto: con cinque libri pubblicati, l’ultimo dei quali, “Agnelli Coltelli”, è appena uscito in libreria. 

«Sta andando molto bene. Forse anche perché nessuno di questi colleghi ne ha mai parlato o scritto una sola volta. Ah ah ah…».

Quindi cosa hai in mente di fare? 

«Di offrire una taglia su me stesso». 

Una taglia metaforica?

«Macché metaforica! Economica. Soldi, soldi miei, soldi veri che sono generosamente pronto a donare ai nostri colleghi». 

Ma in che senso «donare»? 

«Affermo e giuro solennemente che pagherò 30mila euro in contanti a qualsiasi collega giornalista del gruppo Gedi che, in qualsiasi testata lavori, vorrà citare il mio libro».  

Tu darai 30mila euro anche solo a chi citasse il tuo libro? Non ci credo. 

«È proprio così, invece. E non ti preoccupare per me, se questa è la tua domanda. Io non corro alcun rischio». 

Tu sai che secondo Pennac il lettore ha anche il diritto di non leggere un libro. O di non apprezzarlo. 

«Ma è ovvio. Anche di stroncarlo, aggiungo io. Quindi riporta bene le condizioni che pongo: pagherò questi 30mila euro, di tasca mia, a qualsiasi collega del Gruppo Gedi che dovesse anche solo citare il mio libro: anche in una sola riga, e anche parlandone male». 

Non ti dispiace? 

«Ma figurarsi. Sarebbe la negazione della prima vera strategia degli Agnelli, cancellare la sua stessa esistenza». 

Tu nella tua “pentalogia” racconti intrighi di famiglia, guerre di successone sanguinarie, faide cannibalistiche che si sono combattute dentro la famiglia Agnelli negli ultimi anni, fino all’ultima sulla Juventus. Perché è così difficile che se ne scriva?  

«Vedi, questa storia è la vera grande rimozione nel racconto civile del nostro Paese. Ma non c’è bisogno che siano impartite delle direttive perché questo accada. Accade da sé».

Dici? 

«C’è un’autocensura dilagante in questo Paese!».

Perché?

«Non solo perché John Elkann possiede direttamente i giornali che abbiamo ricordato. Ma anche perché è sempre lui uno dei principali investitori pubblicitari della televisione italiana pubblica e commerciale, attraverso la Fiat, oggi Stellantis». 

Mentre tu ti senti sicuro, malgrado quello che scrivi? 

«In questi anni ho imparato a conoscere bene il modo di fare e di gestire le notizie scomode sulla famiglia». 

E come si parla allora, degli Agnelli, sui giornali di questi giorni?

«Prendi la vicenda dell’inchiesta di Torino. Le parole più sgradevoli scompaiono dagli articoli, non si parla mai di “falso in bilancio”, per dire, si fanno titoli alla camomilla, anche quando nei pezzi ci sono notizie esplosive». 

Può essere una scelta giornalistica legittima. 

«Per carità. Ma poi si arriva al tragicocomico, quando invece di spiegare perché un intero consiglio di amministrazione si sia dimesso sotto il rischio dell’arresto…».  

Cosa è accaduto?

«Ma li hai letti gli articoli? Scrivono le mirabilia di questo nuovo “governo tecnico” bianconero». 

Cioè? 

«Dopo la guerra con cui John Elkann ha scalzato il suo non molto amato cugino Andrea, è nato un “governo tecnico”, per guidare la società nella tempesta, un governo di salute pubblica societaria molto simile a quelli che hanno commissariato l’Italia negli ultimi anni». 

Ah ah ah. 

«E dico “tecnico” perché lo sport non c’è più. Poveri tifosi bianconeri! Oggi ci sono i commercialisti e gli avvocati, alla guida della società, ci sono le madamine juventine che hanno decapitato Andrea Agnelli dalla guida su mandato del cugino!».

Gigi Moncalvo è una vecchia volpe del giornalismo italiano. L’ex direttore della Padania, ex volto dell’informazione Rai, ha appena pubblicato un libro di 750 pagine pieno di documenti, di carte e di rivelazioni che in copertina ha questo fotomontaggio: John Elkann e Andrea Agnelli, spalla a spalla come due duellanti dell’Ottocento, e in mezzo c’è un Lapo scuro in viso, quasi torvo. 

Moncalvo, com’è questa copertina? 

«Realistica». 

Perché, secondo la tua ricostruzione, le donne di Elkann, con in testa Suzanne Heywood, hanno dimissionato il Cda di Andrea? 

«Perché quello, per quanto brutale, era l’unico modo in cui gli Elkann potevano salvare la società e riprenderne il controllo». 

Perché si è rotto il patto di alleanza tra John Elkann e Andrea Agnelli? 

«A dire il vero questo rapporto non c’è mai stato, neanche in passato». 

No?

«John è nipote dell’avvocato Gianni Agnelli, che è stato l’ultimo vero monarca della Fiat, anche se non porta il suo cognome».  

Mentre Andrea… 

«Ha il cognome della dinastia, anche se discende da un ramo per così dire “cadetto”, quello di Umberto. Ma lui è “un Agnelli”».

Però gli Elkann affidarono la Juve al cugino cadetto… 

«Secondo me no: subirono quella scelta, che nel momento della successione era difficile da contrastare, pena il rischio che saltasse tutto l’equilibrio su cui si reggeva l’accordo». 

Non gli andava bene Andrea?

«Bisogna ricordare che in quegli anni gli Elkann erano ancora impegnati a scalare Exor, e a guadagnare potere in Fiat, sia pure sotto la tutela carismatica di Sergio Marchionne. Non erano forti come oggi».   

Forti con il cugino o in società? 

«Su entrambi i fronti. Non dimentichiamo i soldi pompati nella Juve in questi anni per salvarla dal collasso». 

John però aveva avuto modo di mettere il naso in casa Juve, prima di Andrea. 

«E si era ritrovato a gestire una catastrofe: la presidenza Blanc, la retrocessione. Due scudetti cancellati dalla giustizia sportiva». 

La Juventus vale 500 milioni di euro, non è nulla – in proporzione – rispetto al patrimonio di Exor.  

«Qui i fatturati non contano. Come tutti sanno, il problema non è economico: è un fiore all’occhiello che offre lustro, potere mediatico e visibilità in tutto il mondo». 

Quindi questo assetto era una sorta di riscatto del “ramo cadetto”?

«Esatto. Umberto, malgrado il suo potere finanziario, è sempre stato il fratello in ombra della famiglia, un uomo nell’angolo. Il grande tessitore Enrico Cuccia, signore di Mediobanca, aveva suggerito all’Avvocato il nome di Cesare Romiti. Un suggerimento a cui lui non poteva dire di no».

E chi ha comandato davvero nel passaggio di potere tra le generazioni alla morte dell’Avvocato?

«I due demiurghi del gruppo erano Gabetti e Grande Stevens. Hanno perpetuato il loro potere attraverso gli Elkann». 

Stevens è ancora vivo. 

«Ed è ancora il grande tessitore del gruppo. Ma non chiamarlo così: all’anagrafe quel secondo cognome non c’è». 

No?

«No. Anche solo leggendo i necrologi si può notare che la figlia firma sempre con un cognome solo». 

Quando inizia davvero la storia che deflagra in queste ore? 

«Nel 2004, quando Margherita ha cominciato a scalpitare, ed esplode nel 2007, quando decide di denunciare la più grande evasione fiscale della storia d’Italia, quella sulla successione dell’Avvocato. E soprattutto quando entra in guerra – poi ricambiata –  con i suoi figli». 

Cosa immaginavi quando hai deciso di scrivere il primo libro? 

«Che non sarei stato solo». 

Perché? 

«Perché questa era la storia del Secolo, ed ero certo che sarebbe stato il caso più discusso nel nostro Paese: c’erano tutti gli ingredienti. I protagonisti, la famiglia, la finanza, i soldi, l’informazione, il calcio, l’industria dell’auto, i veri poteri economici italiani».  

Il vero “casus belli” qual è? 

«Dopo la morte di Gianni Agnelli, ci si accontenta del suo testamento sui beni italiani. Un patrimonio che, stando a quelle carte, era un decimo di quello di Luciano Pavarotti e solo tre volte quello di Alberto Sordi. Ma vi pare possibile?». 

E come lo spieghi? 

«È semplice: perché il vero patrimonio, “la robba” era all’estero». 

A Margherita però fu riconosciuto un miliardo di euro di eredità, non poco. 

«Attenzione, anche la collezione d’arte di suo padre». 

Non si parla di due croste…. 

«Ma scherzi! Io ho l’elenco intero: ci sono i Klimt, i busti di Canova, i Picasso abbandonati…». 

Perché «abbandonati»? 

«Lo dico con certezza perché io ho una foto di un meraviglioso Picasso abbandonato per terra, nella casa che fu la residenza dell’Avvocato, proprio ad un passo dal Quirinale…». 

I tuoi libri hanno preso la parte di Margherita contro i figli? 

«Assolutamente no. I miei libri riportano le notizie, fra cui una durissima prefazione di Margherita al libro di Marc Hurner, “Les usurpateurs”, il capo della Fip, una importante società di analisi finanziarie europea, peraltro mai pubblicato. Ovviamente quel testo è interessante perché è pieno di notizie». 

Non hai paura di essere sommerso di querele? 

«Nessuna». 

Come «nessuna»? 

«Perché mi sono attenuto ai documenti, e – soprattutto – perché dopo aver pubblicato migliaia di pagine non ho mai ricevuto non dico una citazione, ma nemmeno un biglietto di rettifica». 

E come lo spieghi? 

«Semplice. Ho motivo di immaginare che gli avvocati della famiglia considerino con terrore lo scenario Moncalvo-carriola».  

Cioè? 

(Sorride). «Li immagino atterriti alla sola idea di quello che accadrebbe un minuto dopo: un processo pubblico in cui io, per difendermi, arriverei inevitabilmente con una carriola di documenti che sono pubblicati in parte, o integralmente, in tutti i miei libri. Per me sarebbe un invito a nozze!».

E cosa faresti poi, una volta scaricate le carte in aula? 

«Inizierei a leggere e a chiedere che venissero tutti acquisiti agli atti. Verrebbe giù il mondo. E sopratutto si infrangerebbe la protezione a cui la famiglia tiene di più: il silenzio».

A parte il conflitto sull’eredità, cosa è accaduto nel conflitto scespiriano tra gli Elkann e Margherita? 

«Io credo che la prima radice di questo conflitto risalga addirittura alla nascita di Margherita». 

Quale? 

«Marella, durante la gravidanza, inizia a nutrire verso per la creatura che porta in grembo un risentimento, perché in quei giorni l’Avvocato coltiva una relazione con una delle donne più belle e intelligenti del tempo, a Roma: parlo di Domietta Hercolani Del Drago. Donna riservata, intelligentissima, di infinita classe». 

Quindi la nascita di Margherita è segnata da questa sofferenza?

«Pensa che dovette intervenire Susanna Agnelli, detta “il carabiniere degli Agnelli”, che portò Marella in Argentina, dove abitava  all’epoca». 

Perché in Argentina? 

«Perché suo marito, Urbano Rattazzi, era stato ufficiale della X Mas di Junio Valerio Borghese e in quegli anni temeva ancora che qualcuno volesse fargli la pelle…». 

Alla morte di Marella, le ferite non rimarginate si riaprono nel conflitto con i figli. 

«Questo perché alla morte di Gianni, Marella aveva ereditato gran parte delle ricchezze nascoste alla figlia, e le aveva trasmesse ai nipoti insieme al potere di successione». 

E cosa pensa Margherita? 

«Più o meno questo: “Se mia madre ha ereditato davvero la metà di quello che formalmente ho ereditato io, come può lasciare ai miei figli 4,8 miliardi più 9 miliardi di controvalore in lingotti d’oro custoditi nel caveau dell’aeroporto di Ginevra?”. Quelle sono ricchezze della famiglia occultate. E questa è la “seconda guerra di successione”, ovvero tutto quello che io racconto in “Agnelli Coltelli”».  

Consideri credibili le pezze di appoggio di Margherita? 

«Il suo dossier fornisce gli stipendi dei giardinieri, delle domestiche, le medagliette e le intestazioni dei cani, le schede telefoniche e gli scontrini dei Telepass con il tracciamento dei viaggi di Marella per dimostrare che non era residente in Svizzera». 

Tutte carte della causa. 

«Trovo strano che l’Agenzia delle Entrate non si sia incuriosita a questa indagine che di solito, sugli italiani residenti all’estero, conducono loro. Non ti pare?».

Perché è così importante l’epilogo di questi giorni? 

«Vedila così. Dal punto di vista dinastico, gli Elkann hanno portato via la Juventus all’ultimo erede della famiglia Agnelli».

Era inevitabile? 

«Assolutamente no. E la vera notizia clamorosa, più o meno occultata, è che per realizzare questo obiettivo Andrea è stato criminalizzato e abbandonato al suo destino nell’inchiesta». 

Perché? 

«Quella manovra in consiglio di amministrazione è stata un colpo di stato realizzato con spregiudicatezza dalle donne di Elkann, che viola le due vere leggi non scritte che, per un secolo, hanno governato la famiglia». 

Quali? 

«Governa uno solo. E, soprattutto, mai il potere ad una donna. Con l’ascesa di Suzanne Heyewood da Southampton, scolara di Oxford e di Cambridge, benedetta da John, questi comandamenti si sono infranti per la prima volta e per sempre». 

Gli Agnelli sono ancora il potere italiano? 

«Tu quando ti fai questa domanda devi pensare ad Anthony Hopkins». 

Cioè? 

«Il suo film più famoso, quello dove nasce “Hannibal The Cannibal”, esce in tutto il mondo con un titolo di traduzione facile ed inequivocabile. 

“Silence of lambs!”. 

«Esatto. In tutto il mondo il titolo resta quello inglese o viene tradotto alla lettera: “Il silenzio degli Agnelli”. Tranne uno…».

Vuoi dire che in Italia diventa il silenzio degli “innocenti” per  tutelare gli “agnelli”? 

«Voglio dire che a nessuno piace essere associato ad un cannibale, e che questa è una bella suggestione finale che ti consegno per riflettere». 

Quale? 

«Che magari per tutelare una dinastia dell’auto, senza pensarci, ne hanno messa un’altra, la “Innocenti”, che peraltro è anche un marchio del mondo dell’auto. Un bel paradosso, non ti pare?».

LEGGI ANCHE: Stellantis piange miseria e chiede soldi allo Stato, ma intanto gli Agnelli intascano 500 milioni di dividendo

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