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Home » Sport » Calcio

Gli inglesi rifiutano la medaglia e dimostrano che il fair play vale solo quando vincono loro

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Un gesto inaspettato, ostile e lividamente antisportivo, ha guastato ieri sera la cerimonia di premiazione dell’Europeo, gettando un’ombra di mediocrità su una magnifica serata di sport. I giocatori dell’Inghilterra, infatti, insopportabilmente delusi dalla sconfitta subita ad opera di un’Italia irriducibile e volitiva, uno dopo l’altro, si sono tolti dal collo la medaglia d’argento che avevano appena ricevuto: un gesto davvero patetico al quale, per di più, gli atleti inglesi non sono nuovi.

Soltanto un paio d’anni fa, il due novembre del 2019, finalisti ai Mondiali di Rugby in Giappone, i Bianchi fecero esattamente la stessa cosa. Al momento della premiazione, ostentando disprezzo per quel secondo posto appena conquistato, si sfilarono stizzosamente la medaglia, come bambini capricciosi e viziati che non sanno perdere.

Un comportamento insensato, meschino che – unitamente ai fischi riservati all’Inno di Mameli – in fondo ha anche un po’ sinistramente evidenziato l’inconsistenza del bel gesto antirazzista del prepartita, quando tutti si sono inginocchiati in segno di rispetto per una giusta causa.

Alla base di tutto, probabilmente, il solito problema: un Ego ipertrofico. Il vizietto di sentirsi predestinati alla vittoria. Ai Mondiali di Rugby il Sudafrica schiantò l’Inghilterra per 32 a 12 (confermando del resto una storica superiorità) e ieri, a Wembley, un’Italia manovriera, tenace e pugnace, pur colpita dopo due minuti da quello che Chiellini ha definito “un cazzotto in faccia a freddo”, ha castigato gli aspiranti baronetti con la tortura più crudele: la sconfitta ai rigori. 

Lo stadio è ammutolito  e non c’è stato un applauso per i vincitori. Ma la colpa, un po’, è anche nostra. Molti nostri media hanno involontariamente tirato la volata all’Inghilterra, implicitamente avallando il ruolo di favoriti dei nostri avversari.

Tutto il solito, decrepito repertorio è stato rispolverato: e allora daje con la storia dei maestri del calcio, del tempio del calcio, degli inventori del calcio… Ma perché gli italiani si appassionano solo alla Storia degli altri?

Se qualcuno ricorda che le radici del calcio rimontano al rinascimento italiano e, andando più indietro, all’harpastum degli antichi romani, lo definiamo un palloso passatista: ma poi ci beviamo a garganella tutta la più banale retorica di Albione. Per non parlare dei pecorecci gossip reali d’oltremanica, che imperversano ossessivamente persino nei nostri telegiornali di prima serata… 

Aveva dunque ragione il buon Churchill quando proponeva per l’Italia, dopo il Secondo conflitto mondiale, un’amministrazione coloniale? Sarebbe stata l’onta suprema, per il Paese che aveva fondato l’Europa e adesso agonizzava fra le macerie di una guerra più folle che mai. Onta dalla quale ci salvò solo il veto americano.

La verità è che il tanto celebrato fair play inglese, vale soltanto quando vincono. Allora è tutto un concerto di occhiolini e pacche sulle spalle, di “good match” rivolti agli avversari carichi d’ironia, e di sorrisi. Che si tratti di calciatori o di rugbisti (che il maistream vorrebbe votati per natura alla lealtà sportiva) il risultato non cambia: perdere sarà anche la vera apoteosi poetica degli eroi, ma è difficile da digerire.

La grande festa che doveva dimostrare al mondo la superiorità inglese in piena Brexit, con buona pace di Elisabetta e di Boris, l’abbiamo mandata a monte noi. E l’abbiamo fatto alla grande, col volo di una fatal parata del gigante stabiese Donnarumma (miglior giocatore del torneo), con la ferocia di Chiellini, con la stilettata mortale di Bonucci, con le folate micidiali di Chiesa, seminatore di panico fra le fila avversarie. Con il talento antico e la forza inossidabile di un gruppo che si è rivelato imbattibile.

In fondo, vedere gli inglesi rifiutare la medaglia d’argento, è stato un po’ come vedere Rockerduck mangiarsi il cappello dopo aver perso l’ennesima sfida con Paperon de Paperoni: e, diciamoci la verità, è stata una goduria immane.

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