Quei dieci secondi che segnano la storia di un’Olimpiade
Lamont Marcell Jacobs ha impiegato appena 9,80 secondi per vincere la gara dei cento metri piani. Il sesto classificato della gara, il più “lento” tra gli atleti che hanno portato a termine la gara, ha impiegato appena 18 centesimi di secondo più del vincitore. Una nullità.
Nonostante questa gara si risolva in appena dieci secondi, i 100 metri sono forse l’evento più importante delle intere Olimpiadi, in grado di lanciare carriere, creare miti, dare una svolta a un percorso olimpico. Dieci insignificanti secondi ogni quattro anni, con uno scarto tra il primo e l’ultimo che solo strumenti di precisione sono in grado di calcolare.
Ormai ci sembra talmente scontata l’importanza di questa gara che nemmeno ci chiediamo come mai una competizione così rapida abbia la rilevanza che ha, proprio noi che giudichiamo avvincenti partite di calcio da 90 minuti in cui c’è il tempo per cambi di fronte, goleade e rimonte. Ma i cento metri condensano in quei dieci secondi un agonismo che non sempre si trova facilmente altrove.
Intanto parliamo di una gara dalle regole chiarissime, talmente limpide e semplici da ricordare un gioco d’infanzia. Al netto di quelle piccole ma fondamentali norme per cui tutti devono partire nello stesso momento e nessuno deve invadere le altrui corsie, si tratta molto semplicemente di assegnare la vittoria a chi arriva per primo a una meta. Talmente semplice e limpido da rappresentare forse l’archetipo della gara sportiva.
Ma c’è di più, c’è un condensato di agonismo che rende gli atleti in grado di arrivare ai vertici della competizione degli sportivi dal talento unico. Vincere i 100 metri significa unire velocità e forza e metterli in campo in pochi secondi: così facendo, anno dopo anno, campione dopo campione, il record si è pian piano abbassato, arrivando prima a scendere sotto la soglia simbolica dei 10 secondi, fino al record attuale di 9,58 secondi che porta la firma di Usain Bolt. Una gara che si è fatta persino più breve di quanto già non lo fosse, e al tempo stesso più epica, alzando l’asticella per essere campioni: un orgoglio per il nostro Paese essere riusciti finalmente a scolpire la nostra bandiera anche in questa gara olimpica.