La storia vera di San Filippo Neri raccontata in Preferisco il Paradiso
La storia vera di San Filippo Neri raccontata in Preferisco il Paradiso
Stasera, martedì 3 novembre 2020, su Rai 1 va in onda Preferisco il Paradiso, film con Gigi Proietti – morto ieri all’età di 80 anni – nei panni di San Filippo Neri. Una miniserie tv che però non rispecchia in toto la vera storia del santo. Sono infatti tante le differenze rispetto alla realtà. Qual è la vera storia di San Filippo Neri? Filippo Romolo Neri (Firenze, 21 luglio 1515 – Roma, 26 maggio 1595) è stato un presbitero, educatore e attivista italiano, venerato come santo dalla Chiesa cattolica. Fiorentino d’origine, si trasferì a Roma dove decise di dedicarsi alla propria missione evangelica in una città corrotta e pericolosa, tanto da ricevere l’appellativo di “secondo apostolo di Roma”. Radunò attorno a sé un gruppo di ragazzi di strada, avvicinandoli alle celebrazioni liturgiche e facendoli divertire, cantando e giocando senza distinzioni tra maschi e femmine, in quello che sarebbe, in seguito, divenuto l’Oratorio. Per il suo carattere burlone, fu anche chiamato il “santo della gioia” o il “giullare di Dio”.
Biografia
Filippo Romolo Neri, nacque come secondogenito di Francesco Neri e di Lucrezia da Mosciano. Il padre esercitava la professione di notaio a Firenze ma, nel 1524, decise di intraprendere la strada dell’alchimia. I coniugi Neri ebbero, dopo Filippo, altri due figli: Elisabetta, nata nel 1518, ricordata per aver testimoniato nel processo di canonizzazione per il fratello, e Antonio, morto poco dopo la nascita. La primogenita era invece Caterina, nata nel 1513 che, dopo il matrimonio, ebbe due figlie, entrambe in seguito divenute monache, che avrebbero avuto un modesto contatto epistolare con lo zio Filippo.
Nel 1520 Filippo Neri perse la madre. Il padre decise così di risposarsi con Alessandra di Michele Lensi che, dopo essere entrata a far parte della famiglia Neri, si affezionò molto ai figli del marito. Filippo ricevette la prima istruzione in famiglia, in seguito venne mandato a studiare da un certo maestro Clemente, e cominciò a frequentare il convento di San Marco evangelista a Firenze, un tempo sotto la direzione del frate domenicano Girolamo Savonarola.
Visse a Firenze fino a 18 anni, quando fu inviato presso dallo zio, Bartolomeo Romolo, a Cassino (allora chiamato San Germano) per essere avviato alla professione di commerciante. In quegli anni cominciò a sentire la propria vocazione religiosa, così da costruire una piccola cappella in una roccia a picco sul mare denominata “Montagna Spaccata” (ancora oggi visitabile) a Gaeta, dove si recava tutti i giorni per pregare in silenzio. Lo zio, che si era particolarmente affezionato a lui, non avendo eredi, aveva deciso di lasciare al nipote, dopo la morte, tutti i suoi averi (ben 20.000 scudi) che questi però rifiutò per dedicarsi a una vita più umile.
Nel 1534 San Filippo Neri si recò a Roma come pellegrino ma vi rimase in qualità di precettore di Michele e Ippolito Caccia, figli del capo della Dogana pontificia, il fiorentino Galeotto, che forse gli fornì l’occupazione in nome della loro comune origine, offrendogli inoltre vitto e alloggio. I due bambini avrebbero seguito successivamente la strada religiosa, divenendo l’uno sacerdote diocesano in una località vicino a Firenze, l’altro monaco certosino. Il suo compenso consisteva in un semplice sacco di grano che diventava poi, grazie a un accordo con il fornaio, una pagnotta che Filippo Neri condiva con un po’ di olive e tanto digiuno. La stanza in cui viveva era piccolissima e aveva come unici mobili un letto, un tavolino e una corda appesa al muro che fungeva da armadio. Nello stesso tempo egli seguiva corsi di filosofia all’Università della Sapienza e presso i monaci di sant’Agostino. Sul finire del 1537 vendette i libri e ne offrì il ricavato a un giovane calabrese in cerca di fortuna, tale Guglielmo Sirleto, che in seguito sarebbe divenuto cardinale. San Filippo Neri cominciò a prestare la sua opera di carità presso l’ospedale di San Giacomo dove molti anni dopo conobbe e strinse amicizia con Camillo de Lellis. Probabilmente nell’inverno del 1538 venne anche a contatto con Ignazio di Loyola e con i primissimi membri della Compagnia di Gesù.
Secondo la tradizione nel 1544, e precisamente nel giorno della Pentecoste, in preghiera presso le catacombe di San Sebastiano, Filippo Neri fu preda di uno straordinario avvenimento che gli causò una dilatazione del cuore e delle costole, evento scientificamente attestato dai medici dopo la sua morte. Molti testimonieranno di aver visto spesso il cuore tremargli nel petto e che, a contatto con esso, si avvertiva uno strano calore. In seguito a questa esperienza Filippo abbandonò la casa dei Caccia per ritirarsi a vivere come eremita fra le strade di Roma, dormendo sotto i portici delle chiese o in ripari di fortuna. Camminando per Campo de’ Fiori e nei vicoli di Trastevere incontrava giovani che lo deridevano e beffeggiavano. Egli non si faceva sfuggire l’occasione e, unendosi alla comitiva, la conquistava con la sua simpatia.
A trentacinque anni decise di diventare sacerdote: durante il marzo 1551 ricevette così da Giovanni Lunelli, vescovo di Sebaste, la tonsura, i quattro ordini minori e il suddiaconato nella chiesa di San Tommaso in Parione, il sabato santo 29 marzo il diaconato nella basilica di San Giovanni in Laterano, il 23 maggio 1551 infine fu ordinato sacerdote dallo stesso Lunelli, sempre a san Tommaso. Comincia così un nuovo capitolo nella vita di san Filippo Neri: lasciò la casa Caccia per trasferirsi a san Girolamo della Carità. Come sacerdote divenne famoso nell’esercizio del sacramento della confessione come fonte di dialogo con i “penitenti”; secondo testimoni oculari Filippo Neri ascoltava il pentimento dei suoi fedeli dall’alba fino a mezzogiorno, ora in cui celebrava la messa, sebbene non fosse raro trovare fedeli bisognosi anche in casa o perfino ai piedi del suo letto, dove egli ugualmente confessava in casi di necessità. Da questi dialoghi e da questi incontri nacque il primo nucleo della sua istituzione, l’Oratorio: alcuni suoi discepoli divennero sacerdoti, cominciarono una vita in comunità e Filippo ne divenne rettore e ne stabilì le regole.
In seguito alle testimonianze di Francesco Saverio, riguardo al suo viaggio nelle Indie orientali, San Filippo Neri decise di partire come missionario nell’Estremo Oriente ma, dopo essere stato dissuaso dall’intenzione, scelse di dedicarsi principalmente alla Roma in cui viveva. In questo stesso periodo, con la fondazione del primo Oratorio vero e proprio, un granaio sopra la navata della chiesa di San Girolamo della Carità, il santo si attirò le critiche e le invidie di una ristretta cerchia di altri clericali, come per esempio il cardinale Virgilio Rosari che gli proibì persino di celebrare il sacramento della confessione, a lui tanto caro.
Ultimi anni
Gli anni che vanno dal 1581 al 1595, anno della morte, furono segnati da terribili malattie, guarigioni e ricadute continue. San Filippo Neri, stando alla storia vera raccontata dai suoi biografi, preoccupato per il proprio destino, scrisse per ben tre volte il proprio testamento. Seguendo i consigli di Filippo Neri, Clemente VIII decise di riconciliarsi con Enrico IV di Francia, evento di notevole portata nella storia della Chiesa cinquecentesca. Il pontefice, quasi per ringraziare il santo per il suo aiuto, prese con sé alcuni fra i suoi fedelissimi e decise di nominarlo cardinale, ma questi rifiutò la carica, dicendo, verso il cielo: “Paradiso, paradiso”. Nell’aprile del 1595 Filippo Neri venne colpito ancora più gravemente dalla malattia che lo affliggeva, tanto da non poter più modificare il proprio testamento. Il 23 maggio si riprese miracolosamente e poté officiare così la messa del Corpus Domini due giorni dopo, recitata “come cantando”. Dopo aver celebrato la messa, sembrò quasi ai suoi fedeli ch’egli fosse come guarito, poiché continuava a scherzare e consigliare come suo solito. Verso le tre del mattino di quella stessa notte, tra il 25 e il 26 maggio, colpito da una grave emorragia, San Filippo Neri morì quasi sorridendo nel momento del trapasso.