Beppe Fiorello va bene per le fiction, ma fare il mattatore in tv show non è mestiere suo
Preceduto da giorni di martellanti spot vago/melanconici, che ingolosivano il pubblico lasciando presagire una sorta di varietà con ospiti di richiamo, per poi proporre invece un prodotto ben diverso, dall’impianto teatrale e (purtroppo) totalmente anti-televisivo, è andato in onda ieri sera su Rai1 “Penso che un sogno così”, di e con Beppe Fiorello. Non so se “Fiorellino” (che pure si è ritagliato il suo credibile spazio nella fiction di Viale Mazzini) viva o meno il complesso dell’eterno secondo. La sindrome delle uova di lompo, il succedaneo del caviale. Eppure ciò che è andato in onda ieri sera era soprattutto l’estremo, nobile ma vano sforzo di costruire attorno a sé un infinito monologone virtuosistico. Un dire agli spettatori, ammiccando: hey, guardate quanto sono bravo a giocare con tutti questi registri!
Ecco, Beppe Fiorello non è Gigi Proietti (ma neppure l’istrionico fratello, che uno spettacolo così, per tanti motivi, non l’avrebbe mai fatto, pur avendovi ovviamente partecipato sotto finale): è bravino ma non un asso della recitazione. Per le fiction più o meno sussurrate va benissimo. Ma fare il mattatore che regge due ore e mezza di show (per giunta in tv, che ha altre regole di grammatica del mezzo rispetto al teatro) è un lavoro per pochissimi. E lui non è tra questi. Il risultato è un lavoro monocorde, decisamente noioso, che neppure l’elegante regia di Duccio Fozano è riuscita a nobilitare. Il canovaccio dello spettacolo è l’intreccio (non di rado un po’ forzato) fra la storia musicale di Domenico Modugno e quella familiare del papà di Beppe e Rosario, con la loro infanzia sicula e i personaggi che la popolarono. Un racconto in prima persona di Beppe, che guarda tutto con amorevole condiscendenza filiale e ogni tanto intona qualche pezzo del sommo Mimmo.
La prima domanda da porsi era: una proposta di questo tipo è davvero così interessante per la vasta platea televisiva? Ha un appeal così forte da giustificare una prima serata su Rai1? A mio avviso no. Se poi hai nel tuo carnet di guest-star (il poco astuto specchietto per le allodole) gente del calibro di Pierfrancesco Favino, Serena Rossi, Paola Turci, Eleonora Abbagnato e Francesca Chillemi, e releghi le loro apparizioni a poco più che camei funzionali solo al tuo racconto, hai proprio sbagliato tutto. Il compromesso con le regole della Tv andava non solo trovato (avendone oltretutto i mezzi) ma cercato in ogni modo, anziché evitato come gli assembramenti a Capodanno. In uno scenario come questo persino l’imbarazzante “Grande Fratello Vip” di Alfonso Signorini su Canale 5 ha avuto vita facile vincendo la serata con 3.290.000 spettatori e il 19,62% di share e condannando al flop !Penso che un sogno così”, che si è attestato su 2.813.000 teste e il 12,25%.
Il punto è che Stefano Coletta, direttore di Rai1, è persona troppo scaltra e di mestiere per non sapere che sarebbe andata a finire così. La verità credo sia semplicemente questa, e di natura squisitamente diplomatico-ambientale: Beppe Fiorello (che come detto è un volto forte della serialità Rai, tra l’altro con una fiction in sospeso per motivi legali: “Tutto il mondo è paese”, dedicata al sindaco di Riace Mimmo Lucano) teneva molto a portare in video questo spettacolo che è di fatto un commosso omaggio a suo padre, oltreché un monumento a se stesso. E il fratello di Beppe, Rosario, quando si concede – sempre con mille dubbi e col contagocce – è il gigante dell’intrattenimento di Rai1, per giunta con un Sanremo in arrivo.
Insomma, “Penso che un sogno così” è il classico show velleitario e sbagliato che non si poteva non mandare in onda. Per dimostrare concretamente di avere a cuore le proprie risorse artistiche. Aggiungo un doveroso post scriptum: è stato molto commovente, sotto finale, vedere Fiorello vestire affettuosamente la divisa del babbo finanziere dopo il racconto degli ultimi istanti della sua vita. E poi andarsene via con un sorriso guadagnando le quinte. Peccato davvero. Questo spettacolo, totalmente ripensato, poteva essere una buona cosa.