“Maschile singolare” racconta l’amore. Che sia tra due uomini è solo un dettaglio
A giugno si celebra ovunque il Pride month, il mese dell’orgoglio Lgbtqi+, e da qualche anno, anche in Italia (e direi finalmente) è nata la buona abitudine di celebrarlo. Ogni “azienda” lo fa alla propria maniera: chi facendo prodotti targettizzati, chi proponendo rassegne, chi marciando per se stesso o per i propri amici. E se quest’anno, inevitabilmente, i pride nelle varie città saranno molto diversi da come ce li ricordiamo, la televisione, quella nuova, quella al passo con i tempi, ha deciso di raccontarci le varie sfumature dell’amore Lgbt.
Prime Video, in questo senso, da oggi ci propone un piccolo gioiellino: “Maschile Singolare”, opera prima di Matteo Pilati e Alessandro Guida. La trama racconta di Antonio: sposato da 12 anni (“che in anni gay sono 84”, come giustamente sottolineano) con Lorenzo, il suo unico vero amore nato sui banchi del liceo. Ma Lorenzo una sera decide di rivelargli che da un anno e mezzo ha una relazione con uno dei suoi più cari amici e lascia Antonio che è già disoccupato e, da quel momento, pure senza una casa. Si mette alla ricerca di una dimora e la trova con Denis, un tipo dedito nel tempo libero a droga e marchette, che ascolta musica classica (e non Lady Gaga) a tutto volume. Non sto a spoilerarvi il seguito, ma quello che balza subito all’occhio è che questa storia potrebbe essere tranquillamente la storia di un uomo e una donna: un amore eterosessuale finito male e uno dei due che cerca faticosamente di ricostruirsi l’esistenza.
È qui lo scatto che mancava, probabilmente, nel cinema mainstream italiano. È qui la chiave del successo di “Maschile Singolare”. Fino ad ora si era affrontato come “raccontare” la propria presunta diversità (ve lo ricordate “Diverso da chi?” con Argentero?), l’upgrade successivo arrivò con “Il dover presentare ai propri genitori il fidanzato/ futuro marito” (Vedi “Puoi baciare lo sposo” con Abatantuono e la Guerritore che ha una delle battute più riuscite: il figlio decide di fare coming out mentre la madre sta guardando alla tv le immagini dei vari Pride.
Si alza da tavola e le dice “Mamma, sono gay” e lei convinta stesse commentando il tg risponde “Lo so, poracci!”), ora invece non ci sono più pruderie, non ci sono drammi esistenziali di genere, confessioni: tutto è vissuto serenamente alla luce del sole, come se fossimo davvero in un paese europeo e progressista nel 2021. Il massimo per cui ci si scandalizza è un jockstrap trovato in un cassetto.
E attenzione: quando si dice tutto non si parla solo di rose e fiori. Si parla appunto della promiscuità, delle app di incontri, delle “Troppie” (se non sapete cosa sono morirete democristiani) e di come, anche questa pandemia, ci abbia insegnato che in due si sta bene, ma da soli si può stare anche meglio.
Se il film è così piacevole va dato merito anche agli attori. Antonio è interpretato da Giancarlo Commare, che arriva da Skam Italia, fucina dei giovani talenti degli anni ’20, qui alla sua prima vera prova da protagonista: un ragazzo da tenere indubbiamente d’occhio. Poi c’è Denis, il nuovo coinquilino, interpretato da Eduardo Valdarnini, che ha esordito con “Pasolini” di Abel Ferrara e poi abbiamo visto in “Suburra”.
E poi, vabbè, c’è Michela Giraud che arriva forte del successo a “Lol”, che conia una delle battute migliori del film: “Quindi ora pure i divorzi gay! Ora cosa ci ruberete ancora? La champions il mercoledì?”. Lo so: molti eterosessuali potrebbero faticare a comprendere e decifrare certi codici del film: ma la morale rimane solamente una come hanno raccontato i due registi: “da piccoli ci dicono che per essere felici bisogna essere in due, poi cresci e ti fai le tue di regole. Ma rimane un assoluto: prima di cercare l’amore, devi trovare te stesso”. E dagli torto.