La Casa di Carta e l’eterno ritorno dell’uguale
La premessa è doverosa: non sopporto gli spoiler e chi ne fa e non ho certo intenzione di svelare nulla della quinta stagione de La casa di Carta, la serie spagnola più vista nel mondo dal 2017 ad oggi grazie a Netflix che ha saputo cavalcare l’onda del gradimento e si è intestata il successo producendo le uscite seguenti. Il fatto è che, ad essere sinceri, non c’è niente da svelare perché niente accade. C’è un budget evidentemente più ricco, effetti speciali da film action tiratissimo ma fatico a trovare qualcosa di caratterizzante o di inedito. Anzi, dell’obiettivo “politico” e di quegli ideali romantici degli esordi, il vero motore del disegno criminale, non c’è traccia. Così come del carattere di alcuni protagonisti, appiattito fino alla macchietta. Per il resto tra l’ultimo capitolo e i precedenti non c’è alcuna differenza, alcuna evoluzione, alcuna variazione, nemmeno un colpo di scena che sia tale e per questo inaspettato. Siamo di fronte ad uno schema che si ripete ciclico, e che vede ancora contrapposti i rapinatori con le maschere di Dalì all’interno della Banca e le forze di polizia, con innesti dell’esercito, fuori. In mezzo il solito minestrone di relazioni sgangherate, ostaggi impazziti che tentano di far saltare i piani del Professore, vari flashblack random su Berlino che non guastano mai e una morte importante ma telefonatissima, che cominci ad annusare già dal primo episodio. In sostanza potremmo fare un replay della prima, o della terza stagione e credere benissimo di stare vedendo la quinta (è successo davvero a qualcuno, lo giuro). Al momento non è dato sapere chi uscirà vivo dall’ultimo scontro, ma in attesa del finale i veri vincitori sono quelli del marketing di Netflix che hanno sadicamente spezzettato in due tranche per farci tenere il fiato sospeso fino a Dicembre.