Arbore a TPI: “Dopo il Covid non c’è più un euro per la tv. Oggi vedo poca qualità, si livella al basso”
Il suo Striminzitic Show, ieri sera su Rai2, è partito senza il botto: appena il 5,4% di share. Eppure Renzo Arbore non si scompone: la galleria delle frattaglie scelte dell’usato sicuro televisivo di marca arboriana, servite con la complicità di Gegè Telesforo, non avranno battuto né “Il giovane Montalbano” di Rai1 (21,7%) né il “Report” di Rai3 (10,3%, il vero exploit), e neppure “Mandela: Long Walk to Freedom”, in onda su Canale 5 (10%); ma hanno di fatto pareggiato con “Emigratis”, un prodotto “omologo” (con tutti i distinguo del caso) di Italia 1, che in fondo è presente e non passato. Attualità e non memoria. Qualcosa vorrà pur dire.
Già, Renzo Arbore: che cosa vuol dire?
Guardi, ci siamo arrangiati a casa mia, con due telecamere e due luci. Si fa il possibile. Poteva andare meglio, ma era un giorno assai competitivo; da stasera siamo in onda in seconda serata: andrà di certo meglio. C’è un pubblico più selezionato.
Si dice spesso che la tv sia lo specchio del Paese. Visto ciò che spesso si vede in onda, ci dobbiamo preoccupare?
Sì, ci dobbiamo un po’ preoccupare perché ormai è una tv che asseconda gli umori della gente. Io sono sempre stato abituato a fare l’Altra tv, l’Altro cinema, l’Altra musica. Oggi si vive in quest’ossessione dell’ascolto che spaccia la quantità per gradimento. E vive di questo bisogno di quantità che non si riesce a placare. È vero che la quantità in parte è gradimento, ma dentro c’è anche un’audience spesso di bocca buona.
Che cosa vuol dire fare l’Altra tv?
Sono figlio della Rai dei Bernabei, degli Agnes, anche dei Baudo e dei Falqui. Una televisione che era sostanzialmente educativa. Nasceva con quello scopo. Con l’andare degli anni questo concetto è stato smantellato del tutto: per carità, la tv è un elettrodomestico, non azzardiamoci a parlare di educare! Ok, ci sto, lo accetto: non educhiamo l’Italia. Però almeno non diseduchiamola!.
Sì, vedo in onda tanta televisione diseducativa in nome dell’ascolto.
Lui fa belle cose, ma non mi faccia parlare dei colleghi, per carità. Ce ne sono anche di bravissimi.
Si trovano forse maggiori debolezze in certa tv del pomeriggio.
Non mi faccia dire nulla. Ma poi al pomeriggio c’è anche la Balivo, che è così brava… Vedo un mare di interviste e pochi programmi di qualità. Si trasmette quello che vuole la maggioranza della popolazione, assecondando la pancia della gente, e si livella al basso. La tv popolare va bene, ma le cose vanno pensate per bene.
Tra il Grande Fratello e l’Isola dei famosi lei salva l’Isola, questa la so. Me lo disse non molto tempo fa.
Sì, vabbé, ma quelli sono format internazionali da tv commerciale. La lunga serialità, le fiction, oggi sono fatte mediamente bene. E poi ci sono Netflix, Sky, Rai Premium, Iris, Rai5…”.
Non è che oggi mancano soprattutto i soldi?
Il coronavirus è stato una mazzata: non c’è più un euro, gli studi sono spogli e senza pubblico…
Mah, per come la vedo io i soldi sono finiti col virus. Con la pubblicità dimezzata. Prima qualche studio ben allestito mi capitava di vederlo, belle scenografie, un po’ di budget messo sul piatto. È chiaro che questa situazione ora complica le cose.
Quelle sono belle cose, è una tv artistica. Ecco il discrimine, e l’idea che sposo: realizzare progetti che abbiano ancora un minimo il concetto d’arte o di grande artigianato artistico.
Invece dominano talk-show e politica.
Esatto, l’altro grosso aspetto del problema: la televisione di oggi è monopolizzata dalla figure dei politici, che vanno ovunque e riempiono programmi; le reti li chiamano perché loro hanno bisogno di farsi vedere e non chiedono soldi ma visibilità.
Quindi si emigra, come fa lei, in seconda serata.
Che è più tranquilla, più elitaria se vogliamo. Ma spesso consente di lavorare meglio, di coltivare l’Altra tv. Che per me significa anche chicche dal web, che ho piazzato anche in questo mio programma.
Il suo stile elegante e gabato, contaminato dalla rete.
Io ormai faccio come i ragazzi: quando mi stufo delle generaliste, vado lì. Per esempio su YouTube, dove si trova di tutto. Anche cose della vecchia tele, ma soprattutto pezzi d’arte e di pregio di quella nuova o futuribile. Peccato che il pubblico di una certa età sia ancora così poco alfabetizzato al web. Andrebbe educato.
Quello di non essere riuscito a fare niente con Adriano Celentano: troppo lontano. Peccato, è sempre stato un talento multiforme. Ma del resto ho incontrato giganti dello spettacolo per tutta la vita. Sono persino riuscito a far cantare Vittorio Gassman. Lei capisce perché poi certe cose non mi fanno neanche più tanto effetto.
Per esempio di recente Andrea Delogu, che ho introdotto io in Rai. È brava, ha fatto sempre un percorso improntato alla qualità; e ora sono sicuro che farà bene nella versione estiva de La vita in diretta. Ma lanciai anche Ilaria D’Amico. Ora mi sto concentrando sulla band dei Song ‘e Napule e su un bravissimo doppiatore-attore: Stefano De Santis. Del resto se per avere qualche sorriso in tv ci dobbiamo affidare ancora oggi a Nino Frassica…
Vuol dire che è un brutto segno.
Vuol dire che siamo pieni di reality ma manco uno che sia in grado di sfornare un umorista che si rispetti.
A proposito di talenti: si parla tanto di Lorella Cuccani, che starebbe per essere rimossa dal suo ruolo per aver espresso idee sovraniste. Per la politica, insomma.
Credo sia una fake news, e comunque troverebbe di certo una ricollocazione. Ma non mi faccia parlare. Piuttosto, mi lasci dire che sta facendo belle cose Mara Venier a Domenica in; anche adesso, con la gamba ingessata e fratturata, va in video e porta un sorriso. Perché ha capito che di questo la gente ha bisogno adesso: qualche sorriso.
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