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Home » Spettacoli

“Non è la Rai? Vomitevole. Con Boncompagni c’era un rapporto morboso. Se gli dicevi di no era finita”

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Non è la Rai

Il 9 settembre 1991 andava in onda la prima puntata di “Non è la rai”. 4 edizioni che hanno segnato la storia della televisione e del costume italiano nel bene e nel male. 30 anni dopo se ne parla ancora. E noi abbiamo deciso di farlo parlando con Laura Colucci, una delle ragazze forse non più conosciute del programma, ma che è stata protagonista in 3 edizioni e che qualche giorno fa dai suoi profili social ha scritto “Quello che continua a voler sembrare una favola, celava aspetti vomitevoli che avrei voluto conoscere in età più avanzata. Forse scriverò un libro”.

30 anni: perché, secondo te, dopo tutto questo tempo si parla ancora di “Non è la Rai”?
Perché “non è la Rai” è stato il primo programma a sdoganare “la ragazza della porta accanto” in televisione: le bambine sognavano di diventare quella che eravamo noi, per i maschi eravamo le fidanzate ideali. Era una tv fatta da ragazze che recitavano senza studi alle spalle: fu la prima miccia per cui chiunque poteva stare in televisione senza preparazione. E, come abbiamo visto poi, quello era solo l’inizio”.

Partiamo dai tuoi inizi: come sei arrivata a “Non è la Rai”?
“Ho cominciato in corsa: il programma era iniziato da un paio di mesi ed una sera a cena confidai alla mia amica Samantha, che lavorava già nella trasmissione, che non mi trovavo bene nel posto dove lavoravo. Lei mi disse: “Domani accompagnami in studio” e vedrai che, come Gianni ti vede, ti prende. E così fu: mi disse che assomigliavo alla Carrà, che avevo un viso acqua e sapone ed ero perfetta. Cominciai subito.”

Nella prima edizione targata Bonaccorti…
“Sì, quell’annata è l’unica che ricordo con affetto: era una trasmissione con schemi, contenuti, trattava vari temi. Il fenomeno esplose (probabilmente nessuno se lo aspettava) e da lì prese un’altra china. La Bonaccorti che era partita gasatissima, finì la stagione che era nera perché pian piano le era stato tolto spazio (cosa che successe anche l’anno successivo a Bonolis e, infatti, se ne andò pure lui) e prima della fine del primo anno fu scelto un gruppo di ragazze che, secondo Gianni, poteva avere un futuro nel cinema e in televisione. Io ero tra quelle: ci fecero un contratto diverso dalle altre e ben remunerato (ci diedero 15 milioni di lire una tantum per l’esclusiva), una paga giornaliera maggiore e in più c’era per noi una scuola dove potevamo crescere artisticamente con lezioni di canto, danza, dizione e recitazione. Come prevedibile questa scuola durò molto poco”

Come mai?
“Perché le lezioni andavano deserte. Sai, nel momento in cui scegli ragazze che non hanno mai percepito lo studio come un valore, che hanno storie complesse alle spalle o vengono da ceti sociali bassi, e che capiscono che a 15 anni possono emergere ed avere privilegi sballottando la capoccia davanti a una telecamera, non puoi poi pretendere che vogliano studiare per crescere”

Di che privilegi parli?
“Beh, l’avere uno stipendio che ti permette di toglierti ogni sfizio, gli autografi, l’avere tutte le porte aperte. Ti faccio un esempio: un giorno passo davanti al PalaEur con una mia “collega” e vediamo un fiume di gente: scopriamo che c’era il concerto di Eros Ramazzotti. Ci siamo dette: proviamo un po’. Non solo siamo riuscite ad entrare ma ci hanno dato il palco d’onore e ci hanno portato anche dietro le quinte a conoscere Eros. Capisci che una ragazza a quell’età, è portata a pensare di poter fare e ottenere qualsiasi cosa. Come si dice a Roma “ti parte la capoccia”.

E poi arriva Ambra: che non faceva parte della “cerchia scelta” nella prima edizione..
“No, lei è arrivata dal programma estivo Bulli e Pupe. E si è capito subito che emergeva. Non so perché fu scelta a fare il gioco dello zainetto, ma so che lo meritava. Quello che le veniva chiesto, nessuno poteva farlo: io in primis ne ero cosciente. Lei aveva l’auricolare, dove Gianni la guidava ma anche la destabilizzava dicendo cose senza senso o parolacce. Doveva selezionare cosa poteva e non poteva dire. Era lì la sua bravura.”

E lì nacquero le prime invidie.
“Guarda: non erano le prime. L’invidia era alla base di tutto il programma e l’atmosfera era spesso invivibile. L’unico obiettivo era farsi strada, conquistare i primi piani e c’erano ragazze che nutrivano rancori perché si sentivano sullo stesso piano di Ambra e si chiedevano: perché lei sì ed io no? Il problema è che se lo chiedono tuttora. Non si sono più riprese. Credono di essere le eredi della Carrà, si sentono ancora grandi dive. Vivono tuttora male. E vanno a sbarcare il lunario nelle balere per 50 euro. Io ho sempre capito che quella era un’esperienza che sarebbe finita prima o poi. Altre non avevano gli strumenti per capirlo, o forse erano scelte proprio per quello. E Boncompagni e il suo entourage ti portavano ad avere come ragione di vita il primo piano”

In che senso?
“Quando Boncompagni inquadrava le ragazze chi aveva più secondi si sentiva arrivata, realizzata. Era una ricerca all’avere più spazi possibile e ognuna li trovava come poteva: ad esempio facendo amicizia con i cameramen”.

E Gianni che rapporto aveva con voi?
“Alcune lo definiscono un rapporto di compromesso, io lo definirei un rapporto morboso, insano. Non c’erano rapporti sessuali, sia chiaro ma lui pretendeva la nostra presenza sempre. Lui godeva nell’averci con lui. Ci invitava alle feste, ai weekend: ricordo un Nutella party. E se gli dicevi di no era finita: come nel mio caso.”

Cosa è successo?
“A un certo punto ho fatto presente che non volevo più trovarmi in quelle situazioni, che volevo vivere i vent’anni con i miei coetanei. Di punto in bianco non ho partecipato più a nulla: telepromozioni, balletti, primi piani, sono sparita. Ho resistito fino alla fine della terza stagione solo perché guadagnavo bene, ma ormai ero relegata in un angolo a fare il mio compitino. Ma ormai la situazione peggiorava sempre. Nell’ultima edizione arrivarono ragazze di 11-12 anni. Una cosa pietosa”.

La prima cosa che ti dicono ora è: perché hai aspettato tutto questo tempo per parlare?
“A dire la verità io avevo già fatto un’intervista 3 anni fa per un programma di Raidue mai andata in onda. Gli autori mi dissero: “Ci sono persone che rimangono troppo importanti anche quando muoiono”. Da quel giorno, mi hanno fatto notare alcuni fans, sono sparite tutte le mie foto su Google. Ne è rimasta solo una orrenda degli album delle figurine che mi fecero un giorno che avevo pure la febbre a 40. Io credo che sia stato fatto tutto per degradarmi: il sunto è “tu a non è la rai non contavi un cazzo, non esisti” e, sputtanarci, è l’unica maniera che hai per emergere” In verità la miccia del mio post è stata un’altra”.

Ti riferisci al libro “C’era una volta Non è la Rai”…
“Come ho visto quel titolo mi è partito l’embolo. Ma come ti salta in mente? Questa storia non ha nulla di fiabesco: non è adatto al contesto. È tutt’altro”.

Quella di “Non è la Rai” non è stata una favola ma…
“La cruda e amara realtà. Come ci insegnava già Vasco, che, nella canzone che ci ha dedicato, aveva capito tutto. Il lupo di quella storia era proprio così”.

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