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Guida Bardi
Home » Spettacoli » Musica

Quando le canzoni indossano una forma

“Musica" è la ricerca artistica di Michele Ardu, che nelle sue fotografie ha dato un'immagine alle canzoni: “Ogni forma creata dal suono dura un solo istante e non sarà mai perfettamente identica alle altre, proprio come gli attimi della nostra vita, a volte simili, ma sempre nuovi e diversi”

Michele Ardu
Michele Ardu tra le sue opere nella Contini Contemporary Gallery a Mayfair, Londra

“Musica”, di Michele Ardu: quando le canzoni prendono forma

Una fotografia, racchiusa in una cornice. Dentro c’è una innocente e apparente scia di fumo per l’osservatore distratto. No, non è solo fumo, ha una forma, bisogna guardarla ancora più profondamente. Come ha fatto l’artista, uno che vede oltre le barriere.

Provate, sforzatevi di immaginare una canzone. Immaginate che forma possa avere se si potesse materializzare. Se quel testo e quella musica potessero rappresentare una figura.

Nella galleria Contini Contemporary, qui a Mayfair a Londra,  ci sono tante colonne di fumo, non una sola. Tante canzoni, suoni, significati scolpiti, dipinti dalle onde del suono. Suono che prende forma, modellandosi a suo piacimento.

Tante fotografie che contengono le canzoni con le loro forme. Si chiama, appunto, Musica.

Si piacciono il fumo e la musica, sono due amanti, innamorati, forse sposi. La freccia dell’Eros l’ha scoccata lui. Si chiama Michele Ardu. Di professione fa il cacciatore degli attimi che fuggono. Esprime l’arte attraverso la fotografia.

“Il suono e il fumo giocano a rincorrersi, ad abbracciarsi e abbandonarsi, come in una danza infinita. Musica dimostra poi nello scorrere incessante della linea di fumo che il tempo passa, sempre, senza pause e che, come diceva Eraclito, tutto scorre. Noi e tutto ciò che ci circonda siamo in costante e perenne evoluzione”, dice Ardu.

“Ogni forma creata dal suono dura un solo istante e non sarà mai perfettamente identica alle altre, proprio come gli attimi della nostra vita, a volte simili, ma sempre nuovi e diversi. Le onde sonore che attraversano la colonna di fumo, interrompendone l’equilibrio, sono quelle persone o quegli eventi che ci sconvolgono la vita, che ci forgiano, che creano istanti degni di essere memorie, che ci fanno riflettere su chi siamo, chi eravamo e chi saremo”.

Si chiama, appunto, Musica la sua mostra fotografica, il suo lavoro che lui stesso guarda con passione tutte le volte che poggia gli occhi su un suo ritratto musicale. Perché di questo si tratta: una canzone che si fa dipingere dal fumo, che si fa attraversare, scolpire, immortalare per consegnare quell’attimo che non tornerà mai più.

Quello che mi fa capire Michele Ardu è la risposta che mi dà quando gli chiedo cosa siano per lui l’arte e la creatività. Cosa possa contenere un’immagine fotografica che ritrae una colonna di fumo, figlio dell’incenso che ne dona la vita.

Guarda una foto appesa. È seduto, accavalla le gambe e ci pensa ancora. Qui, nel quartiere di Mayfair, a Londra.

Riflette su cosa gli ho appena chiesto. Su cosa siano per lui l’arte e il comunicare con una fotografia. E cosa vuole trasmettere con Musica, lui che grazie alla fotografia fa il giro del mondo.

“Parto dal presupposto che l’arte, non può limitarsi ad essere una creazione di piacevole percezione sensoriale, sia che si tratti di un dipinto, una fotografia, una scultura, una musica o di una poesia”, osserva. “L’arte per essere definita tale, deve essere suddita, ambasciatrice e sovrana di un messaggio preciso che, per natura, ha bisogno di venire alla luce e di essere condiviso”.

“Un artista infatti, prova quell’inconfondibile sensazione e necessita di dare vita a ciò che fino a quel momento è stata solo un’idea, un concetto, una forma, un brivido, una nota, un colore, un sogno nella sua mente. La musica è fatta per avvolgerci, colpirci, emozionarci e fa lo stesso con la colonna di fumo, la abbraccia, la attraversa, la dissolve, la scolpisce con i suoi scalpelli fatti di note musicali ed onde sonore. Allo stesso modo immagino che il fumo, in veste di ambasciatore della natura, sia felice e fiero di poter vestire la forma e i volti della musica stessa”.

Mi alzo, sono curioso di capire Ardu perché abbia scelto determinate canzoni anziché altre. Guardo dentro le cornici e glielo chiedo mentre passeggio fra una canzone e l’altra, fra i loro ritratti.

“Descrivimi un paio di canzoni, Michele, magari quelle a cui sei più legato. Secondo te perché hanno preso questa forma?”.

Si alza anche lui, incrocia le braccia, guarda prima a terra e poi subito i quadri che stanno davanti a noi.

“Ho iniziato la collezione di Musica includendo alcune delle canzoni che mi hanno accompagnato nella mia vita, quelle che mi fanno venire i brividi, che mi fanno pensare ad un periodo specifico del passato, ad una persona, ad un profumo, ad un viaggio, ad una giornata, ad un sogno, ad un amore”.

Forse lui stesso non si stufa mai di osservare le canzoni, di vederne le forme e i volti, di estrarne l’essenza massima, quella che ci fa trattenere il fiato, quel momento che vorremmo non passasse mai. E tutte le volte che lui stesso le riguarda, ne vede sfumature diverse, concetti differenti, che possono cambiare dalla giornata, dallo stato d’animo, dall’umore del momento.

Musica mi ha sorpreso ed emozionato ogni volta che l’ho fotografata, svelando una forma o un volto che non avrei potuto immaginare. Quando riguardo le opere ed i quadri esposti, spesso mi concentro su dettagli diversi, in base al mio umore. Un po’ come nei diversi ascolti della stessa canzone ci colpiscono versi o note differenti”.

E così iniziamo a guardarne qualcuna insieme. A fissarla, a concentrarci su di essa. Michele le guarda come una madre ammira il suo bambino che dorme.

Iniziamo con un monumento del suono composto dai Pink Floyd. “Di Wish you were here ho composto un dittico dove vedo chiaramente un cuore ed il ritratto di una donna con due bende sugli occhi, quasi a ricalcare la domanda iniziale della canzone ‘So you think you can tell…?’ e ricordandoci che ciò che conta è ascoltare il cuore”.

“Wish You Were Here”, Pinkfloyd (prima di due foto). Credit: Michele Ardu
“Wish You Were Here”, Pinkfloyd (seconda di due foto). Credit: Michele Ardu

Poi è la volta di un’altro capolavoro, stavolta suonano i Queen. “Nel ritratto di Too Much Love will Kill you vedo il ritratto di un uomo anziano e stanco, che mi riporta al verso della canzone: ‘I am just the shadow of the man I used to be’ (‘Sono solo l’ombra di chi ero’)”.

“Too Much Love will Kill You”, Queen. Credit: Michele Ardu

In Maybe it’s time di Bradley Cooper vedo un uomo disperato che urla guardando come ha perduto qualcosa di prezioso che aveva tra le mani, forse ha scacciato l’amore o forse ha sprecato il talento”.

“Maybe it’s Time”, Bradley Cooper. Credit: Michele Ardu

Dei musicisti italiani mi fermo davanti a Zucchero Fornaciari, si tratta di Così celeste. Michele la fissa ancora, mi invita a concentrarmi e a ricordare il testo e i suoni di questa canzone.

“Cosa ci vedi Michele?”, gli chiedo incuriosito. “Cosi Celeste é una donna innamorata, quasi un angelo, che corre con le braccia aperte verso il suo amore”

“Cosí Celeste”, Zucchero. Credit: Michele Ardu

Un’altra  celebre canzone cattura la mia attenzione. Si tratta di Mentre tutto scorre dei Negramaro. Michele sorride, annuisce, poi poggia gli occhi gli occhi sull’immagine. Mi invita fare lo stesso.

“Nel ritratto di Mentre tutto scorre vedo il ‘Verde Coniglio dalla mille facce buffe’. Ma a volte, a seconda del mio stato d’animo, vedo una figura protesa verso l’altro che cerca di fuggire da un passato tormentato e straziante”.

“Mentre Tutto Scorre”, Negramaro. Credit: Michele Ardu

È bello vedere i quadri di Michele Ardu, mi verrebbe voglia di tempestarlo di domande. Calmo, posato, attento al particolare. Non si direbbe sia uno che parla tanto. Allo stesso modo in cui il fumo si è fatto avvolgere dal suono, lui si è fatto avvolgere dall’arte della fotografia.

“Come fai a fare innamorare il suono con la forma di un’immagine?”, gli chiedo mentre guardiamo altre canzoni.

“Io ritengo che sia il suono sia le immagini possono essere portatori d’amore. La fotografia è una forma d’arte ed è nobile come tutte le forme di espressione. È un vagone del treno delle emozioni comunicabili, è una nave di ricordi, è una lingua che non batte nessuna bandiera, una traduzione della luce in ombre, è una bacchetta magica che può fare degli incantesimi e farci viaggiare come una macchina del tempo”.

Poi si ferma, quasi a voler dare enfasi alla sua spiegazione. “Una fotografia è arte quando oltre alle immagini, ti racconta i suoni, le energie, il tempo e i profumi di quell’istante che non riaccadrà mai più”.

Per capire questo genere di idee e concetti, e come essi si siano sviluppati, chiedo a Michele del suo passato. Lo ha capito che ancora indago sul dove nasca l’idea di una mostra come Musica, dove le canzoni si guardano ma non si suonano.

Michele Ardu, infatti, non nasce come artista. Oggi è un affermato professionista, con le sue opere in giro per il mondo. Musica è solo una delle sue creazioni. Nella sua “precedente vita” si è laureato in ingegneria biomedica. Questo spiega un po’ di cose in effetti.

“L’idea pratica è arrivata unendo l’emotività artistica alla logica ingegneristica. Intercettando il suono prima che la sua energia sia già totalmente trasformata o dispersa ero sicuro di poter assistere agli effetti del suo incontro con un elemento naturale modellabile. Data la sua natura filiforme, il fumo si presta all’autoritratto della musica, proprio come una colonna di marmo statuario nelle mani di uno scultore, a me il compito di scattare i ritratti delle sue statue evanescenti”.

Per Ardu l’idea di fondo è quella per cui un libro si completa nella mente dello scrittore. Così vale per Musica, con le forme e le figure che presenta.

“Nelle linee delle opere ognuno ha la libertà di procedere ad una lettura individuale ed intima, frutto dei nostri ricordi, pensieri, esperienze, sensibilità e percorso di vita. Proprio come i ricordi che associamo ai profumi, ai colori ed alle canzoni”, mi dice concludendo il discorso.

Chissà se ci pensava, il giovane Miche Ardu, studente di ingegneria biomedica, disciplina che mira a sopperire le mancanze del corpo umano, che un giorno avrebbe potuto integrare  la tecnica ingegneristica con l’arte.

“Vorrei dare, a mio modo, una dimostrazione che a ogni problema esiste una soluzione e vorrei donare il piacere di godere dell’energia del suono anche a chi per motivi diversi è costretto a fare più affidamento sul senso della vista che su quello dell’udito”, dice.

“Mi piacerebbe impegnarmi con i professionisti del mondo della musica nazionale ed internazionale, per avere un impatto positivo nella vita di chi affronta quotidianamente le difficoltà dei deficit sensoriali”.

“Credo che i musicisti, che hanno dedicato e basato la loro vita sulla forza del suono e che devono il loro successo a chi li ha potuti ascoltare, siano estremamente sensibili e legati a tale causa. Spero anche che possa inorgoglirli sapere che l’energia della loro stessa musica ora la si può anche osservare”.

Lo saluto. Do un ultimo sguardo alle canzoni appese sui muri. Piove ancora, fa freddo nella buia Londra che si tinge di scuro già dal primo pomeriggio. Mi infilo le cuffie del mio smartphone e ascolto musica mentre cammino per strada.

E di quei brani che mi fanno compagnia verso casa, me lo chiedo incuriosito per tutto il viaggio. Che forma avrebbero queste canzoni?

“Please forgive me”, Brian Adams. Credit: Michele Ardu
“Nuvole Bianche”, Ludovico Einaudi. Credit: Michele Ardu
“La Solitudine”, Laura Pausini. Credit: Michele Ardu
“Gli Spari Sopra”, Vasco Rossi. Credit: Michele Ardu
“Cosa mi manchi a fare”, Calcutta. Credit: Michele Ardu
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