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Enrico Ruggeri a TPI: “L’emergenza Coronavirus sfruttata da chi comanda per tenerci zitti”

Immagine di copertina
Credit: Ansa foto

Il cantautore nell'intervista di Michele Monina: "Il mondo dello spettacolo è ancora al palo, ma gli artisti non si espongono per paura delle critiche"

Enrico Ruggeri a TPI: “L’emergenza Coronavirus sfruttata da chi comanda per tenerci zitti”

Ci sono immagini entrate a buon diritto nella storia della musica contemporanea. Iconiche, dicono quelli che hanno studiato (allo Ied). Springsteen che tiene la chitarra alzata sul ginocchio stringendo il manico, la canotta di jeans e la fascia sui capelli, la folla osannante di uno stadio di fronte a lui, Paul Simonon che distrugge il suo basso nella copertina di London Calling, Jimi Hendrix che suona la sua chitarra a terra, mentre le fiamme cominciano ad avvolgerla.

Lo so, ho fatto tutti esempi che ruotano intorno al mondo del rock, il che, parlando di musica contemporanea, potrebbe tradire un po’ la mia visione del mondo. Ma siccome sto per parlare con un artista che con quel mondo ha più di qualcosa a che fare, essendone uno dei massimi rappresentanti in terra italiana, e siccome il tema di cui si parlerà, o di cui si comincerà a parlare per scivolare ovviamente in altri lidi, è proprio quello della musica dal vivo, tutte le scene che vi ho buttato lì come iconiche avvengono su un palco, direi che sono stato quantomeno coerente, forse addirittura didascalico.

Per chi ama la musica, per chi segue la musica come sua prima passione, ma anche per chi fa musica e ha fatto del suo fare musica il proprio mestiere, a partire dall’aver scelto la musica come propria forma d’arte, il live è senza ombra di dubbio un momento fondante, importantissimo, essenziale. Solo che quest’anno la musica dal vivo sembra destinata a uno stallo, come se davvero ci si dovesse addormentare per svegliarsi nel 2021 e ripartire da lì.

“Quest’estate sarà un’estate di date sold out,” sorride sotto i baffi Enrico Ruggeri, è con lui che sto parlando di musica e altro, è di lui che parlavo qualche riga sopra, “grazie, sono tutte date con un pubblico ridotto, e obbligo di prenotazione”. Partiamo da qui, allora. Dal constatare che la musica dal vivo, nell’estate 2020 è contingentata, e che Enrico Ruggeri ne ride beffardo, consapevole di trovarsi in mezzo a un paesaggio desertico e surreale.

“Io ho passato le ultime settimane a provare una parte del mio repertorio con diversi tipi di formazione, per essere pronto a affrontare qualsiasi tipo di proposta sarebbe arrivata. Nei fatti ho qualche data confermata, una a Milano, una a Courmayer, poi una decina di date in attesa di conferma, e una data, quella di San Benedetto del Tronto, saltata per volontà della giunta comunale, che non riteneva opportuno spendere soldi per un concerto in un momento così delicato”.

Proviamo a fare un passo indietro, allora. Il sistema musica è fermo da subito dopo Sanremo, quando è arrivato il lock down e, di colpo, del mondo dello spettacolo non si è occupato più nessuno. “Durante le settimane di lock down c’è stata la solita corsa rassicurante a farsi vedere nel gruppo, nel flusso. Nello specifico è stato tutto un #IoRestoACasa, un partecipare a eventi comuni, sempre online, sempre sui social, come sempre impauriti dalla sola ipotesi di non esserci, di perdere consensi, di apparire dissenziente”.

Immagino tu non stia parlando per te. Non mi sembra di aver visto nulla di tutto ciò sui tuoi social, e del resto, conoscendoti, non mi aspettavo neanche di vederlo.

“Non ho partecipato a questo circo, no. Ho vissuto con difficoltà questo momento nel quale, una società che si vuole vedere e raccontare come evoluta, ha deciso di barattare la libertà con la salute, o, peggio, con una rassicurante idea di salute”.

Credo che, prima che arrivino le armate della notte a parlare di complottismi sia meglio approfondire, poi torniamo a parlare di musica e di live.

“Guarda, giuro di dire la verità, anche se mi trovassi in punto di morte per Covid-19 sarei disposto a ripetere quanto sto per dire. Ho più volte rischiato la vita negli anni e sono sempre rimasto lucido, come lo sono ora: credo che l’uomo sia per sua natura propenso a ricercare la libertà. Altrimenti saremmo come lo scarafaggio della Metamorfosi di Kafka, un essere che pensava di colpo solo a mangiare e a salvarsi, pronto a nascondersi nel caso si accendesse la luce nella stanza. Noi non siamo fatti così. Siamo uomini. E nello specifico io sono un artista, e l’idea di arte che ho non è certo quella di dover cercare il consenso per il consenso, tanto più se a repentaglio c’è l’idea stessa di libertà”.

Ma in cosa quindi dire #IoRestoACasa avrebbe intaccato il grado di libertà delle persone, era qualcosa che ci veniva detta per il nostro bene, no?

“Domanda retorica, immagino. I dittatori hanno sempre imposto regole, anche assurde, che negavano ogni fondamento di libertà, sempre spacciandole come decisioni fatte per il bene del popolo. Neanche Stalin ha mai detto che faceva quel che faceva per cattiveria o tirannia, ma per amore del popolo russo. In questo, credo, ci siamo trovati di colpo a vivere in una condizione dittatoriale, seppur una dittatura che non è passata per un esercito ma attraverso una comunicazione di tipo vagamente terroristico. Ci mettevano paura e poi ci offrivano la scappatoia per salvarci, rinunciare alla nostra libertà, appunto”.

Torniamo in area complottismi, attenzione pericolo.

“Intendiamoci, non voglio mica dire che qualcuno, magari i dieci potenti della terra di cui cantavamo nella canzone L’Anticristo dei Decibel, da qualche parte ha deciso tutto questo. È successo, c’è stata un’emergenza, ma mi sembra evidente che l’emergenza è stata abbondantemente sfruttata a livello globale da chi ci guida e ci comanda per tenerci buoni e zitti sotto, e gli artisti, in questo, si sono ancora una volta dimostrati tutti molto impauriti e pronti a seguire la scia, ce ne fosse stato uno che, a rischio di prendersi critiche, si sia esposto. Guarda, alzo il tiro, dopo aver citato Stalin vado oltre, pensiamo ai partigiani, quelli per ricordare i quali, il 25 aprile, in tanti hanno cantato Bella ciao dal balcone, perché durante il lock down usava così, pensi che quei giovani sarebbero andati sui monti a rischiare di morire, in alcuni casi proprio a morire se avessero messo la loro salvaguardia, la loro salute, prima del valore sacro della libertà?”.

Ne ha parlato anche il filosofo francese Bernard-Henry Levy nel suo ultimo libro, “Il virus che ci rende folli”.

“Io non sono esperto di virus, quindi non ambisco a poter dire la mia riguardo la pandemia né riguardo la gestione medica della pandemia, anche se da quel che sta emergendo è chiaro che si sono fatti tanti passi falsi, errori anche molto gravi, ma mi sembra evidente che il Coronavirus sia stato preso come una palla al balzo per tenerci ulteriormente sotto, più di quanto già non si facesse in precedenza. Se affacciandoti alla finestra, durante il lock down, ti è capitato di vedere una ambulanza a sirene spiegate che procede con calma a quaranta all’ora in una strada deserta, magari, il dubbio che ci sia una volontà di terrorizzarci c’è. Non sono in grado di dirti chi ha deciso che tutto ciò dovesse accadere, parlo del tenerci tutti sotto zitti, ma che sia accaduto mi sembra evidente. Se poi pensi che, in tutto questo, e torniamo al punto di partenza di questa nostra chiacchierata, gli unici ambiti rimasti ancora al palo, oggi che ci sono le discoteche piene, la movida, le spiagge disposte esattamente come l’anno scorso e quello prima ancora, sono l’istruzione e la cultura/spettacolo, qualche domanda devi per forza fartela”.

E facciamocela, allora. Tipo, perché i tuoi colleghi se ne stanno tutti zitti? Perché non c’è una presa di coscienza comune di quel che sta accadendo e di come questa situazione potrebbe davvero portare all’implosione di tutta la filiera?

“È così da tempo, diciamo da quando esistono i social. Sono tutti conformi, omologati, hanno paura di dire la propria perché altrimenti perdono followers, ricevono critiche pubbliche, rendono esiguo il proprio pubblico. E dire che l’arte dovrebbe essere per sua natura sovversiva, porre domande, volendo anche essere oltraggiosa. Sto facendo in queste settimane un lavoro con Il Giornale, nel quale analizzo e poi leggo alcuni classici della letteratura. Settimana prossima c’è Oscar Wilde. Pensaci, un intellettuale che in epoca vittoriana diceva apertamente di essere gay e di inseguire il proprio piacere personale, in barba al ben pensare. Un intellettuale che per quel suo dire è stato processato e condannato, ma non per questo è tornato sui suoi passi. Ora, non voglio dire che dovremmo tutti essere Oscar Wilde, ma neanche starsene tutti zitti. Come del resto siamo stati per anni”.

A parte l’apprezzare l’essere passato a una prima persona plurale piuttosto elegante, ma non esattamente corretta, perché mi sembra di ricordare che hai più volte preso posizione, pagandone le conseguenze, mi interessa approfondire il concetto di silenzio che dura da anni. Non siete gli amici artisti che ci fanno divertire e emozionare.

“Quello è un po’ il punto. Sono anni che veniamo visti, e di conseguenza trattati, con accondiscendenza, come si potrebbe parlare di un bambino, di un animale da compagnia. Nessuno ha provato mai a fare qualcosa per tutelare il nostro mondo prima, figuriamoci se ha senso farlo ora, che tutto sta crollando a pezzi. Solo che a vedere quelle fotografie, le discoteche piene zeppe di persone, le spiagge dove si fatica a trovare la sabbia tanta è la gente che ci sta, viene da chiedersi davvero se il tenerci tutti zitti, anche quelli che comunque direbbero qualcosa di rassicurante e assolutamente integrato, non sia parte di un discorso più ampio nel quale, ahinoi, non siamo altro che contorno”.

Ma quindi sarà davvero l’Apocalisse del mondo della musica, come qualcuno ha provato a cantare negli ultimi anni?

“Succederà quello che già si sta delineando all’orizzonte. I grandi hanno il culo parato, per cui loro si salveranno senza troppi problemi. I piccoli soccomberanno, ma tanto di loro non è mai fregato nulla a nessuno”.

Leggi anche: 1. Coronavirus, tutti i concerti rinviati a causa dell’emergenza sanitaria / 2. Eugenio Campagna (Comete) a TPI: “La mia quarantena? Ho scritto la canzone con cui sogno di andare a Sanremo”

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