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“Da grande” di Alessandro Cattelan è uno show vecchio che gioca a fare il pischello

Immagine di copertina

Nel dicembre 2020, in tempi non sospetti, quando Alessandro Cattelan lasciò “X-Factor”, proprio qui su TPI ci domandammo, compiaciuti per la scelta ma un po’ preoccupati, che cosa il nostro avrebbe fatto da grande. E guarda caso “Da grande” è proprio il titolo del nuovo, lento e farraginoso programma che ora il volenteroso (molto volenteroso, bisogna dargliene atto) rampollo della neo-televisione un po’ fighetta e un po’ ammiccante ha consegnato ieri sera a Rai1.

Il responso Auditel è veramente impietoso. Non quanto il flop di Ilary Blasi su Canale 5 con “Star in the star”, ma siamo da quelle parti: 12,67% di share con 2.376.000 spettatori. Fa meglio, pur arrancando, il competitor “Scherzi a parte” con Enrico Papi: 15,21% con 2.879.000 teste.

Del resto bastava guardare il programma con occhio attento (ma palpebre calate) per prevederlo. C’era sì la produzione monstre con un battage promozionale degna del festivalone in riviera; c’era una notevole pattuglia di Big che avrebbe fatto gola a molti. Ma non si sono palesate idee geniali in fase di scrittura, e in definitiva nessun un buon motivo per guardare lo show fino in fondo: sfilacciato, con spazi interminabili dedicati alle star (si pensi alla pagina con Il Volo dedicata alle boy band, ma anche alla chiacchierata autoreferenziale con Luca Argentero, diversamente divertente) e un respiro complessivo che non è mai andata oltre il: è tutto “simpatichino”, sì dai. Ma non di più.

Guardando il quadro d’insieme si ha l’impressione che Rai1, pur di portare in squadra il tortonese Cattelan, 41 anni, conduttore tecnicamente veloce e capace, abbia deciso di assecondare le sue mai negate voglie da entertainer regalandogli questo costoso giocattolo al quale teneva molto. Ma prima di diventare il nuovo Fiorello (sempre che ci riesca) di minestra il buon Alessandro deve mangiarne ancora tanta. E possibilmente insieme con altri autori. Per “innovare il linguaggio” (espressione con la quale ci si è molto sciacquati la bocca parlando del passaggio del nostro su Rai1), non basta trasferire a Viale Mazzini certe suggestioni da EPCC, che poi era l’ennesima variante del mitologico David Letterman Show americano. Bisogna realizzare davvero qualcosa di nuovo. E “Da grande” in definitiva è uno show vecchio che gioca a fare il pischello. È il sessantenne che si tinge i capelli e compra la Harley. Con le inevitabili, tenere problematiche del caso.

Persino i numeri più a fuoco, come il medley di Elodie in omaggio a Raffaella Carrà (l’uovo di Colombo, peccato però per il playback, che sarebbe da vietare in contesti come questo) è stato rovinato sul finale da una dubitabile, inutile pseudo gag. Non propiziata dal fatto che Elodie, fortissima su altri terreni artistici, quando parla fa rimpiangere il monoscopio.

E attenzione: il problema non è lamentarsi per il gusto di lamentarsi. Se si prende per Rai1 un volto meno classico e con una visione laterale, poi non ci si può stranire se su Rai1 si presenta con un coté meno classico e con una visione laterale. Il punto è un altro: Cattelan travisa l’idea di innovazione. Fa il suo compitino da post-studente preparato, ma fra i piatti del menu mancano troppi tocchi che fanno la differenza. Non basta fare qualcosa di un po’ diverso dall’usuale andazzo di rete, per consegnare ai contemporanei (e ai posteri) qualcosa di giovane. O di bello. Perché poi il punto è sempre quello. Fare qualcosa che emozioni.

E fra un Marco Mengoni piazzato a ogni piè sospinto a fare da esca per il pubblico più giovane (ci saranno riusciti? Mah) e un Paolo Bonolis che ha l’aria di domandarsi: “Che cosa ci faccio qui?”, sotto finale sbuca Blanco, che, ci fa sapere Cattelan, alla fine ha accettato di venire a cantare ma non ne voleva sapere. L’innovazione del linguaggio televisivo che lo riguarda è trasmettere in contemporanea la sua esibizione sia su Rai1 che sul profilo Instagram del conduttore, in quale lo riprende da un metro con lo smartphone. Mixando alla normale messa in onda questa visione verticale in soggettiva dal cellulare. Mancava soltanto un monopattino e poi il cool avrebbe toccato l’apice. Peccato.

La vera, impagabile innovazione di “Da grande”, è che lo show, iniziato alle 21.25 circa, è finito placidamente a mezzanotte e cinque minuti. In un periodo in cui sotto l’una in prima serata non finiscono neppure la previsioni meteo. Questa bella pensata valeva, da sola, l’ingaggio di Cattelan.

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