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Cos’è l’afasia: la malattia che ha colpito Bruce Willis

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Cos’è l’afasia: la malattia che ha colpito Bruce Willis

Un annuncio che ha sorpreso tutti. Dopo una carriera durata quasi cinquant’anni, Bruce Willis ha annunciato il suo ritiro a soli 67 anni. La star del cinema è stata costretta allo stop a causa di una malattia, l’afasia, che lo ha colpito. Lo ha annunciato la famiglia, con un post condiviso sui social network dall’ex moglie, l’attrice Demi Moore. “Con gli straordinari sostenitori di Bruce, come famiglia, volevamo condividere che il nostro amato Bruce ha avuto problemi di salute e recentemente gli è stata diagnosticata l’afasia, che sta influenzando le sue capacità cognitive”, hanno scritto i familiari su Instagram. “Di conseguenza, e con molta considerazione, Bruce si sta allontanando dalla carriera che ha significato così tanto per lui”. Ma che cos’è l’afasia? Quali sono le cause, i sintomi e le cure per questo disturbo?

Si tratta di un disturbo del linguaggio causato da lesioni in particolari aree della corteccia cerebrale dell’emisfero dominante. La gravità dell’afasia dipende dalla sede e dalla dimensione del danno cerebrale. Questo, nel 90 per cento dei casi, riguarda il lobo frontale e temporale. Analoga variabilità riguarda le cause. L’afasia è perlopiù la conseguenza di un altro problema di salute: un ictus cerebrale, la rottura di un aneurisma, un trauma cranico o un tumore del cervello. Più rara l’insorgenza a partire dal botulismo – la malattia provocata dalla tossina botulinica – e dalla sclerosi multipla. Ma l’afasia può anche avere un’origine degenerativa, di natura primaria. Anche le forme del disturbo dipendono dalla posizione e dalla gravità del danno.

“L’afasia è un disturbo che riguarda una delle funzioni più caratterizzanti dell’essere umano, cioè il linguaggio che, per definizione, è una delle più elevate capacità umane, perché permette di veicolare e scambiare informazioni, permettendo la creazione del pensiero, distinguendoci dagli altri esseri Viventi”, spiega la professoressa Cecilia Perin, Responsabile dell’Unità Operativa Clinicizzata di Riabilitazione Specialistica delle Gravi Cerebrolesioni presso gli Istituti Clinici Zucchi di Carate Brianza.

L’afasia viene normalmente considerata un ‘disturbo acquisito’, conseguente alla perdita di una funzione appresa che si caratterizza per l’incapacità di articolare e comprendere le parole. “Una persona affetta da afasia non capisce quello che viene detto e non riesce a produrre frasi di senso compiuto tali da permettere la comunicazione. Inoltre, non è capace di leggere, di scrivere e di fare i calcoli, in quanto la scrittura e le capacità aritmetiche sono connesse con la funzione del linguaggio”, continua la professoressa Cecilia Perin. “Le cause sono variabili, in primis l’Ictus e il trauma cranico; in questi casi improvvisamente non si è più in grado di capire e di parlare; altre cause sono i tumori cerebrali e qui gli esordi sono subacuti. Infine, esistono gli episodi progressivi come nelle malattie degenerative”, aggiunge la specialista all’AdnKronos.

In base all’area cerebrale in cui è presente il danno è possibile capire di che tipo di afasia si tratta, che viene poi classificata da un esame definito Esame del Linguaggio. Si parla di Afasia di Broca o Espressiva quando principalmente è compromessa la capacità di produrre parole isolate e frasi, mentre la comprensione è più conservata. Si associa più frequentemente ad un danno nell’area frontale dell’emisfero sinistro.

 Non esistendo una terapia medica, in generale però è la logopedia il primo passo della neuroriabilitazione. La durata del trattamento è variabile. Il lavoro più intenso, che porta i risultati maggiori, è quello che viene svolto nell’arco dei primi 12 mesi dopo un ictus o la rottura di un aneurisma cerebrale. Dopo questo primo periodo, il lavoro si concentra principalmente su quella che può essere definita una “riabilitazione sociale”. Nelle afasie progressive, la cura è più problematica, perché si presenta in soggetti con forme di demenze che nel tempo vanno peggiorano e dove non esiste un protocollo di cura. Fondamentale è la volontà e la determinazione del soggetto afasico e il supporto della famiglia. I sanitari, gli operatori della riabilitazione, i famigliari e gli amici dovranno avere un atteggiamento sereno e accogliente e di condivisione, come spiega il Gruppo San Donato.

Alcuni consigli su come comportarsi se si ha a che fare con una persona affetta da afasia: non rivolgersi al proprio caro come se si avesse a che fare con un bambino, usare un tono di voce e una velocità normali e prediligere frasi brevi. Nella fase di ascolto, occorre avere un atteggiamento disponibile per incoraggiare la comunicazione: concedendo tutto il tempo necessario per la risposta, rispettando i tentativi senza cercare di anticipare o indovinare le parole e non pretendendo che ogni parola sia corretta. Meglio, infine, evitare di sovrapporre domande e risposte e preferire quesiti brevi (“Vuoi uscire?”) che possano trovare risposta in una breve affermazione o anche in un cenno della testa.

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