“Io, ex narcotrafficante della Camorra, con 22 anni di galera: è una merda, non torni indietro”
“Ho trascorso 22 anni della mia vita in carcere, sette dei quali trascorsi a Poggioreale. Sono entrato per piccoli reati e in breve tempo sono diventato un narcotrafficante internazionale di hashish e cocaina. Ho viaggiato molto, specie in Colombia. Ho regalato gli anni migliori della mia vita alla carceri, non ho visto i miei figli crescere e per questo ho deciso di cambiare vita. Sono nato alla Sanità e cresciuto a Forcella (Napoli). Ho vissuto anni di follie, che ho pagato”.
Pietro Ioia, 60 anni, oggi è un attore di cinema e teatro. Da anni è presidente dell’associazione “Ex Don” che si occupa dei diritti dei detenuti.
È lui l’uomo che ha convinto Antonio Piccirillo, il figlio del boss che ha rinnegato il padre a tirare fuori quello che aveva dentro e a prendere il megafono durante la manifestazione del 5 maggio a Napoli urlando “no alla camorra” [chi è Antonio Piccirillo].
Antonio e Pietro sono entrambi volontari nell’associazione Ex Don.
“Sono un punto di riferimento per le famiglie dei carcerati, so cosa significa essere un ex detenuto, perché ho trascorso 22 anni della mia vita in un carcere. Ho distrutto 22 anni e della mia vita e so che chi esce dal carcere difficilmente con queste istituzioni ha una seconda possiiblità. Un ex detenuto difficilmente ha una seconda possibilità”.
La storia di Antonio è una bella storia, una storia particolare, potrebbe essere l’esempio per tanti figli di boss, lui non ha rinnegato il papà – perché il papà è sempre il papà – però ha rinnegato quello stile di vita. Può essere un esempio per altri giovani, come quelli che vengono nella mia associazione e magari vogliono mandare un messaggio ai loro papà o ai loro fratelli più grandi nelle carceri per dire che questa camorra non è nemmeno più come una volta, è solo merda.
Prima pure era cattiva, non è che era buona, però prima c’erano delle regole, ammazzavano lo stesso, per carità. Queste regole sono diventate utopia per la camorra, anche perché la camorra di adesso è ringiovanita, comannino i piccirill’ che si sveglian a matin e pijan a pistola dicendo “qua comann io” (la camorra di adesso si è ringiovanita, adesso comandano i giovanissimi che si svegliano la mattina e brandendo una pistola dicono “qua comando io”).
Prima non si andava dalla polizia, si andava dal punto di riferimento che era il guappo e si diceva: “guarda, m’è successo questo“, e quello magari risolveva il problema, era una sorta di istituzione. Ora se vai nei quartieri del centro storico so tutti ragazzini.
Le istituzioni sono assenti dai centri popolari di Napoli, non ci sono associazioni culturali, educatori che li tengono impegnati. I giovani crescono senza imparare un lavoro, senza corsi di formazione, ma i politici parlano soltanto e quando succedono casi come quello di Noemi sanno solo parlare. Ma i ragazzi sono abbadonati a loro stessi, finiscono tutti per delinquere e in prigione, dove la situazione non fa altro che peggiorare.
Pochi, il carcere di Bollate. Ma prendi un ragazzo che va al carcere di Poggioreale, ha una capienza di 1.600 detenuti, ce ne sono 2.400. Che recupero si può ffà ‘lladdint (lì dentro)? Quella è solo una scuola di criminalità. Un ragazzo entra per un piccolo reato ma fa una bella esperienza di criminalità a Poggioreale.
Sì, ci ho trascorso 7 anni. Una struttura obsoleta, vecchissima, dove ti ritrovi in stanza con dieci detenuti. E come ‘e mantieni rieci cap (come le gestisci 10 teste diverse in uno spazio ristretto). Una situazione oggettivamente fuori controllo da parte dello Stato.
Succedeva di tutto: entrava droga, persino armi. Io so stato un “fodero”.
Ho custodito una pistola per conto di un boss, dopo che il “fodero” precedente era stato scarcerato. Avevo bucato un muro e l’avevo messa lì. Il foro lo coprii con un impasto di farina, acqua e intonaco maciullato. Le guardie seppero in qualche modo della pistola ma impazzivano, non riuscivano a trovarla. E così mi portarono per la prima volta nella cella zero.
Era una cella al piano terra, senza numero. Lì le guardie carcerarie ci picchiavano. Io stesso fui picchiato con i manganelli e a mani nude: erano i loro metodi per estorcere confessioni, o solo per sgofare le frustrazioni.
C’era una sedia e una grossa corda appesa che finiva con un cappio. Mi dissero: “O confessi dove hai nascosto la pistola, o domani ti trovano impiccato, suicida”. Ovviamente confessai, tutti confessavano di fronte alla morte.
Sulla cella zero non so. Per il resto sì, non è cambito niente. Basti pensare che il garante dei detenuti sabato scorso ha fatto visita alla struttura, mi ha chiamato la sera per sapere la situazione, ha fatto un’ispezione di tre giorni su Poggioreale.
È stato tutto oro che non è luccicato, perché se putiss turnà areto e mi ricessero ti diamo mille miliardi io non lo rifarei (se potessi tornare indietro e mi offrissero mille miliardi per rifare quello che ho fatto, non lo rifarei). Io voglio sta coi figli miei, con i nipoti miei, non lo rifarei nemmeno per tutto l’oro del mondo.
So stat propr … o pozz proprio ricer’ .. un uomo di merda, perché agg’ regalat’ 22 anni ‘ra vita mia ai carcer e Napol (Sono stato, posso dirlo, un uomo di merda, perché ho regalato 22 della mia vita alle carceri di Napoli).
Andai a Modena per cercare un lavoro e vedendo la mia fedina penale mi dissero che non potevo. Lì scattò la molla. Mi dissi: “devo aprire un’associazione per far capire all’opinione pubblica che fine facciamo (come ex detenuti)”. Non siamo niente, non siamo nessuno. Per un istante sentii che la società mi voleva criminale, mentre ero sul treno del ritorno, quella fu la mia tentazione. Ma decisi di farla finita, di non dare più la mia vita alle galere.
Una volta hanno dato fuoco all’associazione, non è tutto rose e fiori. Io però ho questa fortuna di aiutare i carcerati, sono anche la loro voce, delle angherie che subiscono. Quindi in qualche modo mi batto per loro, per la malavita non sono mal visto. Loro fanno i malavitosi, io faccio la brava persona.
In passato c’è stato anche chi mi ha proposto di tornare in Colombia, di pagarmi il biglietto, io parlo anche lo spagnolo molto bene, ma io ho rifiutato sempre. Ho rifiutato quella che sembrava la bella vita.
Ogni tanto facevo le feste con donne, cocaina. Era automatico: jevi ‘a casa e ‘nu colombian no trovavi l’aperitivo, trovav a cocain. Belle donne, piscin, a cocain. (andavi nelle ville dei colombiani e non trovavi l’aperitivo, trovavi le belle donne, la cocaina). Era “fuorilugo” dire “non mi piace la cocaina”. Si mangiava, si pippava, si faceva l’amore con le donne.
Con l’ultima carcerazione mi sono fatto 14 anni di fila e una volta uscito non ho ripreso.
Un detenuto esce sempre dal carcere, e quann esce dal carcere, iesc cchiù delinquente e primm (quando esce dal carcere, esce più detenuto di prima). Se un detenuto sente queste cose, prima di tutto se la prende con le istituzioni, diventa un nemico delle istituzioni. È un fallimento dire così. Allora l’articolo 27, sul recupero del detenuto, levammol ‘a mmiezz (cancelliamolo).
Quando togli la speranza a un detenuto è finita, è meglio che lo condanni a morte. Un detenuto deve sempre avere la speranza di potersi rifare una vita.
Pensano male. Si sono già messi l’anima in pace che non uscirà mai più un indulto, un’amnistia. Un governo di destra, un uomo delle istituzioni (Salvini) che dice iettamm e chiav’ (buttiamo le chiavi) che vuoi sperare? Sta costruendo solo delinquenti nelle carceri, no essere umani che dovrebbero essere rieducati. Sta lasciando in eredità al prossimo governo solo criminali.
***Nota dell’autrice: alcune frasi sono state riportate in napoletano, così come mi sono state rivolte. Mi scuso per eventuali errori sulla scrittura del dialetto.