Vince Sisi
Europa ipnotizzata dalla Sisimania?
“Free, but not fair.” È questa la formula con la quale gli osservatori dell’Unione europea (Ue) archivieranno la loro missione di monitoraggio delle recenti elezioni presidenziali egiziane. Con un percentuale degna dell’epoca mubarakiana, il 97% degli elettori ha incoronato l’ex generale Abdel Fattah el Sisi come il successore dell’uomo da lui deposto, l’islamista Mohammed Morsi, sotto processo insieme a tutta la leadership della Fratellanza Musulmana.
I seggi dovevano restare aperti due giorni. Poche ore prima della chiusura, la commissione elettorale ha però deciso che si sarebbe votato un giorno in più.
Ufficialmente per dare maggior possibilità ai cittadini di partecipare. Più probabilmente per contenere il fastidioso successo dell’hizb al kenapa, il partito del divano che, sostenuto da quanti hanno boicottato il voto ritenendolo illegittimo, non si è scomodato neanche quando il governo ha trasformato la seconda giornata elettorale in vacanza, ricordando agli egiziani la salata multa che spetta ai disertori.
Tra quest’ultimi, tantissimi giovani e pochissime donne, vere protagoniste del voto, almeno di quello attivo.
L’affluenza si è alla fine attestata al 47%, valore superiore agli ultimi referendum, ma comunque inferiore a quello delle presidenziali del 2012 e alle aspettative di quanti speravano in una percentuale maggiore, in grado di dare a Sisi l’investitura che cerca per affermarsi e riaffermare il potere dei militari.
Anche se le operazioni di voto sono state regolari, è il contesto nel quale si sono svolte che ne mette in dubbio la competitività. L’opposizione al voto è stata repressa e Hamdeen Sabahi, unico sfidante di Sisi, ha corso una gara i cui ostacoli sono stati molto più alti rispetto a quelli dell’ex generale.
Basta atterrare al Cairo per capire di che cosa parliamo. Le strade sono tappezzate di cartelloni a sostegno dell’ex generale. In alcuni compare anche il numero telefonico del privato che non nasconde la sua generosità nei confronti dell’ormai nuovo presidente.
Anche la missione Ue ha sottolineato l’assenza di un meccanismo in grado di controllare le finanze destinate alla campagna elettorale, parlando di “evidenti parti terze che hanno contribuito alla campagna” sforando i limiti previsti dalla commissione elettorale.
A rendere ancora più squilibrata la competizione ci hanno pensato i mezzi di comunicazione, soprattutto quelli privati. I dati forniti dall’Ue mostrano che a Sisi è stato dedicato il doppio dello spazio dato al suo sfidante.
La dilagante Sisimania veicolata dai media che dallo scorso luglio descrivono il nuovo raìs come “l’invincibile salvatore dell’Egitto” contiene numerosi pericoli che, come spiega Gennaro Gervasio, sembrano essere stati sottovalutati dai quei mezzi di comunicazione nuovamente strumenti di propaganda e disinformazione.
Anche se il plebiscito che ha eletto Sisi potrebbe mostrare che il paese è unito dietro di lui, basta guardare che cosa accade da mesi nei campus universitari per capire che questa immagine è fuorviante. Alla Sisimania si affianca la Sisifobia di quei giovani che sono repressi perché si oppongono alla deposizione di Morsi e al ritorno dei militari.
La Sisimania potrebbe poi sortire effetti collaterali, generando nella popolazione eccessive aspettative. Difficilmente, l’eroe nazionale del momento riuscirà a rimettere in sesto la disastrata economia egiziana e ristabilire condizioni minime di sicurezza. Almeno nel breve periodo.
Inoltre, anche se la colonna sonora che ha accompagnato gli egiziani ai seggi è stata Bushra Kheir – un tormentone firmato, guarda caso, da un cantante degli Emirati che vede di buon auspicio questo voto – pochi sono i segnali che mostrano che il paese si sta avvicinando a una stabilità a tutti gli effetti sostenibile.
Ciononostante, l’Europa – e l’Italia prossima alla guida della presidenza del prossimo semestre – ha interessi a continuare la cooperazione con il Cairo.
Piuttosto che pensare chi sostenere, Bruxelles dovrebbe forse capire che cosa sostenere. Tornando, come sembra, al business as usual, il rischio è che, scambiando democrazia per stabilità non si ottenga né l’una né l’altra, perdendo ulteriormente credibilità nella regione.
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