Usa-Egitto
Grazie al Califfo, in Egitto arrivano gli Apache
È ormai sicuro. I dieci Apache statunitensi stanno per atterrare in Egitto.
Certo, non si può dire che ci siano volati, visto che il Cairo li sta aspettando da più di un anno. Infatti, fanno parte di quei 1.3 miliardi di dollari che Washington fa arrivare ogni anno nelle tasche dell’esercito egiziano.
L’intervento con il quale i militari egiziani sono tornati al potere nel luglio 2013 aveva però messo sulle difensive la Casa Bianca.
Quando il 14 agosto 2013 l’amministrazione Obama ha visto le immagini dello sgombero del sit-in islamista di Rabaa Al-Adawya – episodio nel quale sono morti almeno 900 manifestanti – ha infine deciso di congelare l’intero pacchetto di aiuti che comprende anche 125 carrarmati, venti F16 e altrettanti missili Harpon.
Con tale mossa gli Stati Uniti hanno cercato di condizionare l’invio di quest’arsenale allo sviluppo democratico del paese. Ciononostante, gli Apache – più volte annunciati, ma mai atterrati – arriveranno lungo il Nilo in un momento il cui il paese è attraversato da un’ondata di scontri all’interno delle principali università.
A questa si somma il crescente controllo dello spazio pubblico di cui, soprattutto dal 2011, cercano, invano, di impossessarsi in primis i giovani.
Se da un lato la consegna degli Apache mette a nudo il fallimento del tentativo Usa di promozione democratica, dall’altro mostra l’abilità politica del nuovo presidente Abdel Fattah Al-Sisi.
L’ex generale, che da giugno guida ufficialmente il paese, sta infatti riuscendo a sfruttare al meglio il dossier della lotta all’autoproclamatosi “stato islamico”, inserendo l’Egitto nella lista dei paesi minacciati dall’avanzata dei terroristi, poco importa se siano quelli che si ispirano al Califfo o quelli che crescono in casa.
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