Una valanga di “hate speech”
La cybercriminalità è l'ultima frontiera dell'odio. Sul web e con i cellulari si sta consumando la battaglia post elettorale
Vi trovate in Kenya e inviate un sms? Sappiate che, se inserite parole come “kill”, il vostro messaggio sarà automaticamente intercettato, verificato, ed eventualmente bloccato.
E’ caccia aperta agli “hate speech”: frasi, parole e discorsi inneggianti alla violenza (politica) e che fomentano gli scontri interetnici.
Mentre lo sconfitto alle ultime elezioni presidenziali Raila Odinga prova a ribaltare il risultato in Corte, Il Governo intensifica gli sforzi per frenare l’ondata di “violenza verbale”, e prevenire quella fisica nelle strade.
“Le compagnie telefoniche bloccano oltre trecentomila sms al giorno”, ha dichiarato Bitange Ndemo, segretario permanente presso il Ministero dell’Informazione e della Comunicazione.
Già durante la campagna elettorale le forze di polizia si erano dotate di registratori audio per monitorare comizi e manifestazioni pubbliche, ed eventualmente registrare e segnalare parole e discorsi che avrebbero potuto istigare azioni violente. Un report redatto da Google e Nazioni Unite (agenzia UNDP) aveva segnalato 770 “discorsi pericolosi”. E il National Steering Committee on Media Monitoring aveva lanciato l’allarme mesi prima della tornata elettorale.
Ma la partita più difficile si gioca su internet. Il Governo ha riconosciuto le difficoltà nel controllare la diffusione di messaggi di questo tipo sui social media. E in assenza di un contesto legislativo definito, il Ministero dell’Informazione ha siglato un patto d’intesa con i manager di Twitter e Facebook, per mettere in atto i controlli e le restrizioni necessarie.
Almeno otto bloggers sono stati identificati negli ultimi giorni e sono oggetto di indagini. E’ stato creato un team apposito per monitorare il web, con l’apporto, ad esempio, dell’unità anti cyber-crime del Criminal Investigation Department. Il portavoce della polizia Charles Owino ha affermato che sono stati segnalati un centinaio di casi alla Corte.
Era stata paventata anche l’ipotesi di un blocco dei social media ( in stile Iran ) ma nonostante l’aumento di hate speech dopo le elezioni del 4 marzo, in Kenya questi continueranno a essere regolarmente attivi.
La nuova Costituzione, approvata nel 2010, garantisce esplicitamente la libertà d’espressione. E lo stringente controllo del traffico web e telefonico si scontra con il diritto alla privacy
Un paio di esempi: “si conteranno i morti a Likoni”, ha dichiarato durante un comizio Mwalimu Masudi Mwahima, a proposito di una controversia tra Evanson Waitiki, uomo d’affari che rivendica la proprietà di alcuni terreni, e centoventimila presunti occupanti abusivi, che potrebbero a breve essere sfrattati.
Altri due sono i politici attualmente sotto indagine per la natura dei loro discorsi.
Oppure su internet puoi trovare un post più esplicito e diretto: “Darò la caccia a tutti i Kikuyu e li ucciderò, sono dei ladri” (il furto si riferisce sempre al risultato elettorale, oggetto di controversia).
Basti ricordare che tra gli imputati per crimini contro l’umanità presso la Corte Penale Internazionale, in seguito agli scontri post elettorali del 2007/8, c’è il noto giornalista e conduttore radiofonico Joshua arap Sang.
Nei giorni successivi all’elezione del presidente Kibaki, dalla sua emittente lanciava messaggi d’odio e fomentava violenza. Allora gli scontri nelle strade provocarono oltre mille morti e più di seicentomila sfollati.
“E’ come una bomba a orologeria, pronta a scoppiare” ha dichiarato Collins Nabiswa, Social Media editor per il Daily Nation, quotidiano nazionale. “Più della metà dei post che ci arrivano contengono messaggi d’odio e violenza”.
Ps Nel 2008 è stata istituita la National Cohesion and Integration Commission, con lo scopo di promuovere la pace e favorire il processo di riconciliazione inter etnico. Lo stesso anno è stato introdotto il National Cohesion and Integration Act, nel quale è esplicito il riferimento all’illegalità di atti e parole con cui si minaccia o si insulta per motivazioni etniche (sezioni 13 e 62). La legge prevede multe fino a un milione di scellini kenyoti (circa diecimila euro) e la reclusione fino a tre anni.