Una siriana a Lipari
se perdere un traghetto vale un pranzo indimenticabile
«L’aliscafo per Reggio Calabria partito è». Come è partito e ora come faccio?
Isola di Lipari, 21 luglio ore 10,45. Devo tornare a Roma, purtroppo la vacanza è finita, e come spesso mi capita in Sicilia perdo il mezzo di trasporto che mi deve riportare a casa, sarà una questione inconscia, forse, una specie di calamita interiore che mi incolla a questa meravigliosa terra. «Signorina salga qui che la portiamo a Messina poi da lì si imbarca per Reggio» mi dice un marinaio della Usticalines. Salgo sull’aliscafo zeppo di turisti e individuo un posto libero tra una famiglia di Bergamo e una carrozzina con dentro uno scricciolo di pochi mesi, fortunatamente assonnato, ma sicuramente ancora per poco. «Lasci stare signorina venga qui», mi dice lo stesso marinaio. Salto come una saetta dal mio sedile, mi congedo dalla famiglia saluto il neonato, inciampo tra pinne, maschere, boccaglio e borsa frigo dei palermitani che ho davanti, mi precipito dal mio cicerone di bordo. «Per farci perdonare che ha perso il suo aliscafo la facciamo viaggiare in cabina di comando». Accetto ben felice, salgo su in cabina, saluto il capitano e il resto dell’equipaggio.
Mi accomodo su un sedile di gommapiuma vicino a una presa di corrente attacco il mio computer per una specie di automatismo che ho acquisito vivendo in Libano. Per me ormai l’elettricità va avidamente sottratta ovunque funzioni. «È molto che fate questa tratta?» chiedo per fare conversazione. « e almeno 25 anni» racconta il capitano che si chiama Attilio. «Lei è giornalista?», mi chiede. Cavolo ma che ce l’ho scritto in faccia? È un po’ come fare lo sbirro e sembrare uno sbirro. «Sì, da cosa l’ha capito?» chiedo sorridendo. «Da come fa le domande». «È qui alle Eolie per lavoro?» mi chiede poi il capitano mentre annuncia l’attracco a Stromboli (mancano ancora Panarea e Salina).
«Sono venuta a ritirare un premio e ho attaccato tre giorni di vacanza» rispondo. Racconto un po’ del lavoro straordinario che fanno i ragazzi di Strill.it un sito di informazione indipendente calabrese nato pochi anni fa e che conta più di 40mila contatti giornalieri. D’estate organizzano il festival del giornalismo Tabularasa, http://www.tabularasafestival.com, nell’ambito del quale sono stata premiata insieme all’inviata di Mediaset Anna Migotto e lo scrittore spagnolo Eric Frattini.
A detta di Giusva Branca, uno dei due fondatori di Strill.it, si tratta di una delle poche manifestazioni culturale in un panorama regionale desolante. A me è capitata l’unica iniziativa liparota e così ne ho approfittato per fare qualche immersione. Il secondo capitano segue il mio discorso e poi mi interrompe.«Posso raccomandarle mio nipote? Sta scrivendo una tesi sui confinati a Lipari durante il fascismo, non riesce a trovare delle buone fonti, forse può aiutarlo?». Sorrido nascondendo l’imbarazzo, con tutta la buona volontà, non saprei da dove iniziare. «Sì certo le lascio la mia mail» rispondo. «Pronto Gino, vedi che ho parlato con una giornalista di Roma che ti può dare una mano con la tesi», dice l’uomo al nipote seduta stante chiamandolo al telefono. Resto basita, se potessi gliela scriverei io la tesi a Gino, ma purtroppo non posso fare un gran ché.
Verso le 12:30 sale un altro marinaio, Salvo, con una scatola di cartone pesante, la apre e tira fuori un timballo in un vassoio di terracotta con pasta al forno messinese. Di secondo ci sono melanzane e zucchine arrosto con basilico e provola. Mi fanno mangiare con la stessa insistenza della mia nonna siriana. Io accetto felice! Perdere il mio traghetto è stata la cosa migliore che mi potesse capitare. Durante la crociera mi fanno vedere i delfini e i pesce spada che sguizzano ora destra ora a sinistra. Mi sento come una bambina allo zoo-marine. Il capitano mi racconta poi di quando gli fanno pressione per partire lo stesso anche quando c’è mare grosso. «I passeggeri rovesciano pure i sedili poveracci!». Fortunatamente oggi il mare è una tavola. Arriviamo a Messina, «Signorina venga che le offro il caffè». Come rifiutare? Il capitano ha il classico modo di fare da buon padre di famiglia, con lui andrei fino a Tangeri. È il volto buono dell’Italia che mi piace. Quell’Italia che per quanto possa sforzarmi non riesco a spiegare ai miei amici non italiani. È questa l’Italia che porto sempre dentro di me, è questa l’Italia che mi manca.