La Tunisia sta discutendo una nuova legge contro la violenza sulle donne
La proposta prevede il riconoscimento della violenza sessuale da parte del coniuge come reato e l'inasprimento delle pene per le molestie sul posto di lavoro
A settembre 2012, una donna tunisina, conosciuta come Meriem Ben Mohamed, è stata accusata di “indecenza” dopo aver riferito di essere stata stuprata da due agenti di polizia. La sua vicenda ha dato vita a una campagna per chiedere il cambiamento delle norme sulla tutela delle vittime di violenza sessuale e di genere in Tunisia.
Dopo quattro anni dalla vicenda e dopo due anni da quanto gli aggressori di Meriem sono stati condannati, il parlamento tunisino sta discutendo una legge contro la violenza sulle donne.
La proposta è stata presentata da Ennahda (Movimento della Rinascita), un partito moderato riformista d’ispirazione islamica che conta numerose donne tra i suoi parlamentari e funzionari. Il testo dovrebbe essere approvato entro la fine del 2016.
L’attuale legge tunisina non punisce chi abbia stuprato una donna di meno di vent’anni purché l’aggressore sposi la vittima. Inoltre non riconosce la violenza sessuale da parte del coniuge.
Con l’approvazione della legge anche queste forme di violenza diventerebbero punibili. Inoltre, le pene per le molestie sessuali sul luogo di lavoro sarebbero inasprite e la polizia e il personale ospedaliero riceverebbe una formazione sulle questioni di genere.
Il progetto di legge prevede inoltre definizioni più ampie sulla violenza contro le donne, arrivando a coprire sia il danno psicologico sia quello economico subito dalle vittime, sia nella sfera privata che in quella pubblica.
In Tunisia i diritti delle donne sono garantiti entro certi limiti. Per esempio, è permesso l’aborto e le donne hanno diritti pari agli uomini per quanto riguarda matrimonio, divorzio e proprietà.
Nel 2014, tre anni dopo l’insurrezione nota come “rivoluzione dei gelsomini”, le pari opportunità delle donne sono state inserite nella costituzione tunisina. I partiti politici sono obbligati a candidare lo stesso numero di uomini e donne e all’alternanza nelle liste elettorali. Questo garantisce un’adeguata rappresentanza al genere femminile in parlamento.
Tuttavia, nel paese esistono ancora città e villaggi dove uomini e donne continuano ad avere ruoli tradizionali prestabiliti e la parola di una donna vale meno di quella di un uomo quando si tratta di accuse di violenza sessuale o domestica, secondo un rapporto pubblicato da Amnesty International a novembre 2015.
Le donne che sono state violentate sono spesso tacciate di “disonorare” la propria famiglia e le vittime di violenza domestica sono frequentemente oggetto di pressioni per ritirare le loro accuse per salvaguardare l’unità e la reputazione familiari.
Anche se è stata ufficialmente riconosciuta come reato nel 1993, la violenza domestica è ritenuta da molti socialmente accettabile. Tra il 2012 e il 2013, due terzi delle oltre 5.500 denunce di violenza da parte del coniuge riportate alle autorità sono state successivamente ritirate. Solo il 10 per cento dei procedimenti nati da questo tipo di denunce invece si è concluso con una condanna.
Ad aprile 2014, la Tunisia ha eliminato le sue riserve alla Convenzione delle Nazioni Unite sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne (Cedaw).
Secondo Amna Guellali, ricercatrice dell’ong Human Rights Watch in Tunisia, il disegno di legge rappresenta un “quadro completo per combattere la violenza contro le donne, ma il suo impatto concreto dipenderà dalla volontà dello stato di fornire i mezzi di attuazione. In Tunisia abbiamo una tradizione costituita da buone leggi, ma la realtà è più complicata”.