Sul treno (giallo) della modernità
In Kenya nel 2017 si vota e si inaugura la nuova tratta ferroviaria Mombasa-Nairobi, finanziata e costruita da imprese cinesi.
Il primo tratto
(Mombasa-Nairobi) della nuova linea ferroviaria che attraverserà il
Kenya e che in futuro proseguirà verso la capitale ugandese Kampala
sta per essere completato ed è destinato a definire il futuro di
questo paese.
I
lavori del tratto di
472
km sui 1.300 previsti in territorio kenyano sono iniziati nel 2013 e
si prevede saranno terminati nel giugno 2017, in tempo per le
elezioni presidenziali fissate per il successivo 8 agosto. Il viaggio
da Mombasa e Nairobi sarà ridotto da oltre 12 ore a 4 per i
passeggeri e a 8 ore per i treni merci, con la previsione che in un
anno potranno essere trasportate 22 milioni di tonnellate di merci.
Costruito dalla China Road and Bridge Corporation e finanziato al 90%
dalla Export-Import Bank of China il costo è calcolato in 3
miliardi
di euro, a cui bisogna aggiungere circa 200
milioni di
euro per le stazioni, che a Mombasa e Nairobi includeranno grandi
shopping mall e
alberghi finanziati da compagnie locali e internazionali,
e che saranno
successivamente collegate
con i rispettivi aeroporti con linee metropolitane veloci.
C’è
già in programma che la ferrovia dal confine occidentale del Kenya
prosegua fino a Kampala, Uganda e da lì si ramifichi verso Juba, Sud
Sudan e Kigali, Rwanda. Nel percorso da Mombasa a Nairobi ci saranno
cinque grandi stazioni intermedie e altre trentatré di minore
importanza. La Cina fornirà cinquantasei locomotive a motore diesel
(l’elettrificazione è prevista solo fra qualche anno), mille e
seicento venti vagoni merci e quaranta carrozze passeggeri. La nuova
ferrovia si snoda per la maggior parte del percorso parallelamente
alla vecchia ferrovia e alla strada, deviando solo quando necessario
per evitare tratti troppo ripidi. Il segmento che attraversa il parco
naturale dello Tsavo è in gran parte sopraelevato, per garantire la
possibilità agli animali di spostarsi seguendo le loro piste
tradizionali. Oltre a ridurre il traffico sulla congestionatissima
strada, dovrebbe promuovere il turismo, con l’offerta di una vista
spettacolare sui parchi e la Rift Valley.
È
di gran lunga il progetto più ambizioso e costoso che il Kenya abbia
intrapreso dall’indipendenza ad oggi, e coloro che sono contrari
accusano l’attuale governo di creare un indebitamento e una
dipendenza dall’economia e tecnologia cinese per decenni a venire.
La
seconda fase del progetto, da Nairobi al confine con l’Uganda,
dovrebbe iniziare presto ma è bloccata da molte controversie. La più
rilevante riguarda il percorso da seguire in uscita da Nairobi.
Secondo il progetto governativo il nuovo percorso non potendo più muoversi parallelamente alla vecchia linea
perché ormai l’area è tutta costruita, dovrebbe attraversare il
Nairobi National Park, unico parco naturalistico al mondo situato entro i confini
di una grande metropoli. Ecologisti e conservazionisti si oppongono
strenuamente, sostenendo che ciò segnerebbe la fine del parco, già
pesantemente penalizzato dalla circonvallazione costruita due anni fa
e da precedenti sviluppi urbani abusivi, fatti ai tempi del
presidente Moi negli anni Novanta, con la sua connivenza.
Quelli
del Lunatic Express
Le
controversie non furono poche anche oltre un secolo fa, quando fu
costruita le vecchia linea, partendo nel 1895 da Mombasa,
raggiungendo Nairobi nel 1900 e Kisumu nel 1902. È ancora la spina
dorsale del paese e intorno a essa sono sorte le principali città,
inclusa Nairobi, descritta allora come zona “paludosa e malsana”.
A quel tempo la forza lavoro era costituita essenzialmente da
indiani, appositamente reclutati, che poi si stabilirono in Kenya
dando vita a una numerosa e prospera comunità.
Nel 1898, quando si stava costruendo il ponte sul fiume dello Tsavo,
almeno 35 (ma alcuni sostengono più di 100) lavoratori indiani
furono divorati dai leoni. Su questo episodio John H. Patterson, il
direttore dei lavori, scrisse un libro e dal 1950 ad oggi sono stati
realizzati una mezza dozzina di film. Gli
oppositori dell’impresa nel parlamento di Londra, l’allora
potenza coloniale, la giudicarono inutile e la chiamarono
ironicamente Lunatic Express, perché voluta da lunatici.
Ma
il “serpente di ferro”, come venne invece chiamato dai locali, fu
il motore della crescita del Kenya. Costruita a scartamento ridotto è
oggi obsoleta (è ancora ironicamente chiamata Lunatic Express per
indicarne l’inaffidabilità) e ormai largamente insufficiente a
smaltire il traffico dei container che dal porto di Mombasa devono
proseguire per Nairobi e poi verso tutti i paesi dell’interno,
Uganda, Sud Sudan, Rwanda, Burundi e la parte orientale della
Repubblica Democratica del Congo.
La
nuova linea ferroviaria è l’icona del nuovo Kenya. A Nairobi negli
ultimi anni sono sorti enormi palazzi in cemento e vetro destinati a
uffici di lusso, e i grandi centri commerciali nascono come funghi.
Nel sobborgo di Karen – prende il nome dalla scrittrice danese
Karen Blixen che possedeva tutta l’area – fino a vent’anni fa
un semplice incrocio stradale con pochi negozi e tre ristoranti, si
vedono oggi tre grandi centri commerciali, più palazzoni di lusso.
Non è ancora finito il battage pubblicitario per un centro
commerciale che si annunciava come il più grande del Kenya, con
ristoranti che si affacciano su un lago artificiale, che inizia la
costruzione di un altro, “il più grande d’Africa”, comprendente
altre mirabolanti novità.
Basta
essere assenti per qualche mese e ci si trova disorientati. Catherine
Njuguna, emigrata a New York dieci anni fa, neo-laureata cerca di
fortuna appoggiandosi ad un fratello partito in precedenza, e
rientrata a Nairobi con in tasca ben poco a parte le cittadinanza
americana, non crede a suoi occhi: “Mentre io ero in America,
l’America è venuta qui!”
È una rincorsa alla
classe medio-alta, che secondo le statistiche è in continua
crescita, senza alcuna considerazione per i milioni, letteralmente,
di poveri che vivono nella miseria degli slum della capitale keniana
e non possono neanche permettersi il lusso di prendere il trasporto
pubblico per andare al lavoro, costretti così a farsi chilometri a
piedi ogni giorno.
Alcuni esperti del
settore preannunciano che la bolla urbanistica presto esploderà, già
ci sono i sintomi: centinaia di uffici e abitazioni di lusso vuote,
eccedenti la domanda. Ma Nairobi sembra ancora in preda ad
un’ubriacatura collettiva di consumismo, un desiderio smodato di
lusso e di “modernità” che non accenna a diminuire.
Ci sono in Kenya due
economie, una che viaggia con l’alta velocità e l’altra con il
Lunatic Express. Due economie che vivono fianco a fianco e non si
incontrano mai. L’alta borghesia, la classe politica, i dipendenti
della compagnie internazionali, i funzionari delle innumerevoli
agenzie delle Nazioni Unite, delle ambasciate e delle grandi ong che
appena hanno un mal di denti vanno a farsi curare a Londra, e i
poveri cristi che mangiano una volta al giorno. O non mangiano per
niente, per la siccità che sta devastando il nord del paese. Notizia
che nei giornali locali è sempre pudicamente relegata nella pagine
interne.
Mi dice un amico
francese che lavora a Gigiri, il grande quartiere sede dei diversi
uffici delle Nazioni Unite, «ci sono dei miei colleghi la cui vita
si svolge tutta a Gigiri, nei centri commerciali, nelle scuole
internazionali se hanno dei figli, negli alberghi di lusso in
occasione di convegni, nei ristoranti, e per spostarsi dispongono di
un auto con autista. Se si sentono in vena di grandi avventure, alla
Hemingway, fanno una visita a un parco, pernottando in “tende”
dotate di tutti i servizi, buffet all’aperto, tre giorni tutto
compreso per una cifra equivalente allo stipendio sommato del cuoco,
autista, giardiniere e donna delle pulizie che li servono nella loro
casa privata. Non hanno mai visto non dico uno slum, ma neanche un
quartiere povero. Questa è la città simbolo dell’ingiustizia
sociale mondiale».
Interessi comuni
La nuova ferrovia
è anche simbolo del crescente prestigio del presidente Uhuru
Kenyatta, che alcuni sondaggi danno per vincente alle elezioni del
2017 con oltre il 60% dei voti. Indubbiamente è un abile politico,
che è riuscito a riconciliare entro il suo partito fazioni e
tensioni etniche che solo pochi anni fa sembravano irrevocabilmente
avverse. Che è riuscito ad attirare investimenti e a mantenere
equilibrio fra gli alleati internazionali, anche se la crescente
importanza della Cina nell’economia keniana suscita non pochi
malumori a Londra e Washington. Quando è entrato nell’agone
politico nel 2002, Uhuru era stato visto importante solo per il nome
(suo padre Jomo Kenyatta è stato il primo presidente del Kenya) e
per la consolidata ricchezza familiare, ma con gli anni si è
rivelato molto abile e capace di superare ostacoli e attrarre
investimenti là dove il suo predecessore Mwai Kibaki aveva fallito.
Kibaki ha lasciato a Kenyatta anche la pesante eredità
dell’intervento militare in Somalia, che continua a causare le
rappresaglie di Al-Shabaab, e i trementid atti di terrorismo che
insanguinano il Kenya, l’ultimo poche giorni fa a Mandera, con dodici
e molti feriti.
La nuova ferrovia
sarà anche il segno visibile della dipendenza dalla Cina, di cui si
è già parlato. Un’intera generazione di ingegneri andrà in Cina
a studiare per garantire il perfetto funzionamento di tutta la
ferrovia, ed è facile pensare che i contratti per le compagnie
cinesi continueranno ad aumentare. I cinesi rigettano le accuse di
gestire in modo autonomo tutte le operazioni connesse al gigantesco
progetto, e
il responsabile del Public Service del Kenya, Nzioka Waita, ha
recentemente precisato che durante la costruzione della ferrovia
oltre 30mila keniani sono stati assunti a tempo pieno e che è in
corso un processo di capacity building e trasferimento delle
responsabilità
Dal
canto suo, Macharia Munane, professore universitario di relazioni
internazionali, ha sostenuto
sull’agenzia d’informazione cinese Xinhua,
che la modernizzazione delle reti ferroviarie e stradali in Africa
realizzata del governo cinese negli ultimi anni è
qualcosa che nessun potere coloniale ha mai fatto e che la
cooperazione fra Africa e Cina è basata sulla realistica percezione
di interessi comuni ed è destinata a continuare.
Ma il grande
progetto ferroviario è anche un nodo che evidenzia lo scontro fra
uomo e natura. In Kenya come in poche altre parti del mondo
balza agli occhi come la crescita
demografica e
la modernità siano in competizione
con l’ambiente naturale,
e l’ambiante, gli animali in particolare, siano sempre
perdenti.