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Siria, quello che i dossier non dicono

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Sconcerto degli operatori umanitari: mai vista tanta indifferenza. Unicef e Save the children lanciano una nuova campagna fondi

A due anni dalla guerra in Siria due dossier, uno di Unicef e l’altro di Save the children, parlano delle condizioni terribili in cui versano i minori siriani. Secondo il Rapporto Onu “I bambini della Siria: una generazione perduta”, sono quasi due milioni i piccoli coinvolti in vario modo dal conflitto.

Nelle zone dei combattimenti l’accesso all’acqua è quasi impossibile. Ad Aleppo da mesi si è diffusa la scabbia, oggi si sono raggiunte proporzioni emergenziali, mentre aumentano i casi di tubercolosi. Tra i profughi ammassati in tende, capanne, stalle, caverne, strutture abbandonate o qualsiasi altro ricovero di fortuna la promiscuità sta creando disastri.

Nel rapporto di Save the children “Childhood Under Fire”, la minaccia degli abusi sessuali viene denunciata espressamente. Per far fronte a una simile emergenza le Ong chiedono un impegno alla comunità internazionale di un miliardo e mezzo di dollari. Una cifra apparentemente molto alta ma che in realtà servirebbe a far fronte solo alle esigenze primarie durante i prossimi mesi.

Intanto tra gli operatori umanitari la frustrazione è sempre più palpabile, nelle conversazioni informali a Beirut come ad Antakya, in Turchia, dove vivono centinaia di migliaia di profughi, ammettono: non abbiamo mai visto tanta indifferenza da parte della comunità internazionale.

Così spesso mi ritrovo a consolare amici che lavorano nel settore, si sentono sempre più impotenti. “In due anni vedi la trasformazione”, mi ha detto Lina, una volontaria libanese con cui ho realizzato il mio primo servizio sui profughi siriani in Libano esattamente un anno fa. All’epoca erano 8mila oggi più 325mila (numeri ufficiali). Realisticamente sono invece più del doppio.

“Ora veniamo assaliti ed aggrediti – spiega Lina -. Ci dicono che il cibo non basta, che hanno freddo e che i bonus per fare la spesa non coprono che la metà dei bisogni”. Oltre al settore dell’infanzia, la frustrazione dilaga anche in quello degli shelter (abitazioni temporanee). Daniel, un amico architetto che costruisce alloggi per i rifugiati, a fine dicembre ha lasciato il lavoro. “Per ogni dieci astrutture che riuscivo a terminare, c’erano tremila nuovi profughi in arrivo, ogni settimana”. Fino a ottobre le previsioni erano decisamente al ribasso. Ma il problema è che la gente fugge dalla fame e dalle bombe “senza chiedere il permesso a un diagramma”.

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