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Shakespeare a Zaatari

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Teatro nel campo profughi

Possibile che Shakespeare possa curare le ferite della guerra? Le parole del grande poeta possono davvero alleviare le pene a cui sono condannati più di 5 milioni di siriani costretti a vivere in surrogati di prigioni a cielo aperto per aver commesso il reato di scappare dai bombardamenti? La risposta razionale è ovviamente negativa. Se le ferite fisiche non sono però le uniche prese in considerazione, la risposta non è così scontata. Anzi, i versi in rima che hanno fatto flirtare innamorati di mezzo mondo potrebbero avere un grande effetto terapeutico. Questo almeno quello che pensa e spera Nawar Bulbul, celebre attore siriano, ora rifugiato nel campo profughi di Zaatari, in Giordania.

“Vi è qualche particella di bene anche nelle cose peggiori. Sta agli uomini saperla attentamente estrarre” dice Nawar, parafrasando un verso dell’Enrico V che tratta come Vangelo. È questa convinzione che lo spinge a mettere da parte rabbia e apatia per rimboccarsi le maniche. L’obiettivo della sua caccia al tesoro è solo uno: sottrarre i bambini di Zaatari dalla noia che rischia di fare andare in letargo il loro cervello. Secondo i dati delle nazioni Unite, solo un bambino su quattro siede regolarmente su un banco di scuola. Tutti gli altri vanno ad allargare le fila di quella “generazione perduta” che rischia di rimanere, almeno in parte, analfabeta. La ricetta vincente, Nawar la cerca nei libri firmati dal grande Will. Nelle sue poesie, nelle sue commedie, ma anche in quelle sue tragedie che Nawar consegna ai bambini che affollano la tenda di “Shakespeare a Zaatari”. A costruirla nel mezzo di questo campo profughi è stato proprio Nawar, bisognoso di avere un luogo per accogliere i baby-profughi pronti a trasformarsi in attori. “Non saranno star di Hollywood, ma anche Zaatari può assegnare i suoi Oscar”, scherza l’attore.

A ispirare Nawar è stato in primis quel Re Lear che gli ricorda il regime dal quale è scappato. Il dramma di Shakespeare si apre con la decisione del re Lear di abdicare e di dividere il regno tra le sue tre figlie, sottoponendole a una prova d’amore: chi tra le tre dimostrerà di amarlo di più, otterrà la migliore porzione del regno. “Il nostro sovrano non ci ha messo davanti a questa prova, ma quanti sono qui a Zaatari non l’avrebbero mai superata. Amiamo la nostra terra, ma a volte questo non basta”, spiega Nawar.

Da quando, nel luglio 2012, Zaatari è stato aperto sono arrivati più di 100 mila siriani alla ricerca soprattutto di protezione. “Un cielo senza bombe è quello che mi ha chiesto la piccola Fatima come regalo di compleanno. Era arrivata qui da tre giorni, proprio il primo pomeriggio che abbiamo iniziato a lavorare sul testo del Re Lear. L’ho arruolata immediatamente nel mio cast, assegnandole la parte di Regana, la minore delle due figlie traditrici di Lear”, spiega Nawar che sa molto bene che ruoli affidare ai componenti del suo cast.

È anche per aiutare questi bambini a mantenere una certa dignità che per oltre due mesi Nawar ha lavoro al loro fianco, impiegando il più celebre drammaturgo del mondo occidentale per curare un’imponente tragedia sociale e mettere in luce il dramma degli esuli siriani. Il testo dell’opera, tradotto in arabo letterario, è stato adattato per poter essere interpretato da questi ragazzi. Mentre si preparano a “uscire dalle quinte” per debuttare sul “palco” le foto che immortalano gli attori, ritraggono volti di bimbi sorridenti. Eppure, Nawar non ha ricevuto molto sostegno dalla comunità di Zaatari. Ottenere una tenda per fare le prove è stata una missione quasi impossibile e ha potuto contare solo sulle donazioni di privati. A ringraziarlo sono però i genitori di quei bimbi vittime della violenza che negli ultimi mesi è entrata anche nel campo. In primis la mamma di Fatima che, dopo il debutto di fine marzo, chiede a Nawar se quello che sta succedendo a Zaatari è “tutta colpa della luna che quando si avvicina troppo alla terra fa impazzire tutti.” “No, questa è una frase di Shakespeare che ha letto Fatima sui libri nella tenda, ma con la guerra in Siria, la luna non c’entra nulla” spiega Nawar, che per spiegare quanto sta vivendo ricorre a una rima dell’Amleto: “È una bella prigione, il mondo.”

Questo articolo è stato pubblicato su Reset.it

Nawar Bulbul è infatti un attore di Bab al-Hara, la più celebre soap opera dell’interno mondo arabo, prodotta dall’industria televisiva siriana vittima del riformismo fallito del presidente Assad. Quando scoppiarono le manifestazioni contro il regime, Nawar fu uno dei pochi personaggi dell’Hollywood siriana che decise di scendere in strada a manifestare. Una pièce teatrale che produsse nel 2011 venne censurata e un attore del suo gruppo sostenitore del presidente lo informò che l’unica soluzione per evitare l’arresto era un’apparizione sugli schermi televisivi per rettificare la sua posizione. “Gli dissi che ci avrei pensato e una settimana dopo ero fuori dai confini della mia patria”, spiega Nawar, raccontando il viaggio che lo ha portato, nel 2013, nel campo profughi giordano. “Dalle stelle alle stalle” dice in un italiano stentano che rende bene il messaggio che vuole lanciare. “Violenza e repressione non guardano in faccia a nessuno. Quello che molti in Occidente non capisco è che nei campi profughi ci sono anche intellettuali, imprenditori, uomini d’affari e stilisti che avevo le tasche piene di soldi, ma hanno dato più importanza alla loro dignità che alle loro fortune.”

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