Senegal,il landgrabbing italiano
Nel nord del paese, un'azienda di Ravenna mette in pericolo le comunità di 37 villaggi
E’ a nord del Senegal che si gioca la nuova partita della corsa alla terra, cioè il landgrabbing, una corsa in cui anche le aziende italiane stanno facendo la loro parte. Tra queste, c’è la Tampieri Financial Group, una grande holding familiare con sede a Ravenna che produce olio alimentare ed energia rinnovabile da biomasse. Attraverso la sua controllata, Senhuile SA, a partire dal 2011, sta investendo nel nord del Senegal per realizzare coltivazioni agroalimentari, tra cui semi di girasole.
La Senhuile SA,(controllata per il 51 per cento dall’italiana Tampieri Financial Group SpA e al 49 per cento dalla società senegalese a capitale misto Senéthanol) ha infatti affittato ben 20mila ettari della riserva di Ndiael: un’area declassificata dall’ allora Presidente Abdoualaye Wade, che con un decreto ad hoc ha rimosso i vincoli ambientalisu 26.550 ettari della riserva, dandone in concessione (con un altro decreto ad hoc) 20.000 alla Senhuile-Senéthanol per 50 anni. L’area però è la residenza di oltre 9000 persone appartenenti a 37 villaggi che da anni avevano diritto d’accesso e uso di quella terra, per il pascolo e per la raccolta di prodotti naturali e spontanei e di leganme, importanti fonti di sostentamento per le popolazioni locali. A cuasa dell’investimento della Senhuile-Senéthanol, gli allevatori si trovano privati dell’accesso ai pascoli, e come ha confermato un abitante del villaggio di Ndialanabé, “la conseguenza è che adesso il niotro bestiame lo si vende per pochi soldi a causa della terra occupata da questi uomini potenti con la complicità dello Stato.”
I residenti dei 37 villaggi lamentano infatti impatti molto pesanti sul loro stile di vita causati dal progetto, che impedisce l’accesso ai pascoli, alle fonti idriche e alle altre risorse necessarie per la loro sussistenza, di fatto costringendoli ad abbandonare le loro abitazioni. Per far pressioni sul gruppo Tampieri, una delegazione senegalese composta da rappresentanti dei villaggi e da Ong ha visitato a inizio marzo diversi paesi europei, chiedendo la cancellazione immediata del progetto.
“Oltre a privarci della terra, questo progetto ha grandi impatti ambientali, legati alla deforestazione, allo spostamento dei bestiami e degli allevamenti e all’inquinamento – dichiara Elhadji Samba Sow, rappresentante del collettivo dei villaggi – non solo c’è un reale inquinamento dell’acqua ma anche difficoltà di accesso dato che le condutture dell’acqua ad uso comune non possono passare sopra i terreni requisiti da Senhuile”.
“L’idea di lanciare una mobilitazione internazionale contro la Tampieri è nata nel 2012 quando i media senegalesi hanno annunciato la cessione di 20.000 ettari di terra a investitori privati. Siamo venuti in Europa e in Italia per fare pressione su Tampieri, perché il progetto venga interrotto.” dice Fatou Ngom, di ActionAid.
Un nuovo rapporto appena pubblicato dallo statunitense Oakland Institute descrive le numerose criticità legate al progetto, a partire dalla mancanza di un vero processo di consultazione e del consenso da parte delle popolazioni del Ndiael e dalla totale opacità delle operazioni Senhuile, la cui scatola societaria è tra l’altro estremamente complessa. Il rapporto dell’Oakland Institute descrive poi nel dettaglio gli impatti sulle comunità, che già si stanno verificando dal momento che circa 6mila ettari sono stati già stati coltivati. La compagnia ha realizzato vari canali di irrigazione, recintando la zona; con l’avvio delle operazioni di disboscamento e coltivazione dei terreni, l’area è sorvegliata da guardie di sicurezza che ne impediscono l’accesso, allungando i tempi di approvvigionamento di legna e acqua da parte di allevatori e contadini. “Le comunità di Ndiael, vivono con la paura quotidiana di intimidazioni fisiche e psicologiche da parte di polizia e guardie private messe a controllare i terreni del progetto” racconta Elhadji Samba Sow, rappresentante dei villaggi. “Inoltre più lo spazio si riduce e più gli allevatori lasciano che gli animali invadano i terreni agricoli coltivati, aumentando il rischio di conflitti tra le comunità di contadini e allevatori, nei villaggi”.
Le organizzazioni italiane ActionAid e Re:Common, e con loro Peuple Solidaires, Grain, Oakland Instutute, il Conseil Nacional de Concertation et de Coopération des Ruraux e ENDA Pronat sostengono la protesta delle comunità e, insieme alle reti e associazioni senegalesi e internazionali, rilanciano l’appello urgente alla Tampieri affinché ponga fine al progetto.
Per firmare l’appello urgente alla Tampieri: