Saving Mr. Banks
Il compromesso tra Disney e l'autrice di Mary Poppins
La Walt Disney pictures spalanca i battenti del suo castello a un pubblico cresciuto a suon di sciroppi colorati, valigie senza fondo e giostre animate. “Vento dall’est…la nebbia è là, qualcosa di strano fra poco accadrà…” è il familiare incipit di Saving Mr. Banks, film sul cult disneyano Mary Poppins prodotto dal colosso Disney nel ‘64 e incentrato sulla decisa volontà di Walt Disney di acquisire i diritti di sfruttamento del romanzo da Helen Lyndon Gof – in arte Pamela L. Travers – autrice australiana del best seller Mary Poppins uscito nel ’34.
Il film, girato dal regista John Lee Hancock con un cast di tutto rispetto (straordinaria Emma Thompson nei panni della signora Travers, Tom Hanks è Walt Disney, Colin Farrel nei panni di Goff Travers e Rachel Griffiths in quelli della severissima zia Ellie), si apre con il volo aereo che da Londra porta la scrittrice a Hollywood nei famosi studios Disney, con lo scopo di definire le modalità lavorative e creative della trasposizione cinematografica dell’opera. La collaborazione si rivelerà un’impresa estenuante, perché la raffinata scrittrice – conscia del suo talento e spasmodicamente esigente – non ha la benché minima idea di far spostare una virgola del testo originario, né di piegare la sua storia a nessun compromesso. Pena fulmini e saette contro gli sceneggiatori, i fratelli musicisti Robert e Richard Sherman, la paffuta segretaria dagli abiti color pastello che intralcia gli uffici con carrelli colmi di dolci e contro lo stesso re dell’impero Disney, che tenta ogni carta per raggiungere un compromesso. Salvo poi – relativamente – addolcirsi.
S’intrecciano due linee narrative che svelano un passato sofferto e traumatico all’origine del romanzo Mary Poppins e dei suoi intramontabili personaggi che – ripete continuamente la Travers, con un velo di tristezza – “sono la sua famiglia”. Riaffiorano in lei i ricordi legati all’infanzia trascorsa in Australia, con un padre venerato e alcolizzato, una madre dolce ma depressa che tenta il suicidio e un bagaglio di fantasie che la confortano nei momenti più tristi. Nell’ultima fase di malattia del padre “vola”, nella loro casa, la realista e spartana zia Ellie, personaggio dal carattere duro che ha ispirato la vera Mary Poppins. Paradossalmente, il “magico” avvento di Mary Poppins – che ha alimentato nella sua versione disneyana il sogno collettivo – rappresentava in realtà per l’autrice la morte del padre, la fine del mondo del sogno e il piombare in una consapevolezza adulta. Ritornare dopo anni a quella vicenda voleva dire anche riaprire una ferita che nessuno poteva capire fino in fondo. Da qui la sua lotta categorica – con tanto d’infinite registrazioni su nastro – in difesa del suo libro contro facili, edulcorate banalizzazioni e manipolazioni che la versione cinematografica poteva, e ha in parte, comportato. La Travers era rigida per un vissuto difficile, fa intendere il film, ma capace di un’umanità non paternalistica e sentita e non condivise mai la versione Disney del suo romanzo, che non sentì mai veramente sua.
Senza dubbio, Saving mr. Banks ha il merito di approfondire la storia di un’autrice fino a ora semiconosciuta e determinata a salvaguardare l’integrità del proprio lavoro intellettuale. Vedere il film vuol dire vedere con occhi nuovi e con maggiore profondità il capolavoro della Disney, che ha solcato come una meteora l’infanzia di tutti. E’ uno spunto di riflessione sul rapporto conflittuale tra industria e arte e a tratti commuove sinceramente. Saving mr Banks è un interessante schizzo biografico, ma non una ricostruzione fedele dei fatti. Walt Disney, infatti, aveva già ottenuto i diritti quando la scrittrice pose piede a Los Angeles e lasciò per tutto il tempo lavorare la scrittrice con i fratelli Sherman, musicisti. Inoltre la Travers non era sola al mondo perché aveva un figlio adottivo.
Una commedia piacevole che, però, sembra non approfondire adeguatamente i meravigliosi sogni fabbricati dal castello Disney. Bravissima Emma Thompson, ma i flashback sono mielosi e a tratti noiosi, con una retorica televisiva che somiglia a quella de La casa nella prateria, spruzzata qua e là di venature horror e psicanalisi banalizzata. La sensazione è che il film, che parla del rischio d’edulcorare troppo la realtà, ricada nello stesso errore e risulti un po’ troppo zuccheroso. Sembra che la Disney non possa fare a meno della polverina magica, pur parlando di storie vere.
di Rosalinda Occhipinti