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Provaci ancora, Kiev

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Due elementi che possono segnare un cambio di passo per la rivolta ucraina

La rivolta ucraina sta prendendo una piega da non sottovalutare. In primo luogo perché i moti di protesta, a differenza di ciò che si poteva prevedere considerando le “motivazioni” della rivolta, stanno proseguendo con ritmo costante se non crescente.

I limiti delle manifestazioni sono evidenti e legati alla classe dirigente che sta guidando l’opposizione al governo Yanukovich (un ex pugile, uno xenofobo e un tale che molti suoi compagni chiamano “lo scemo”) e non è un caso che qualche commentatore abbia paragonato la vicenda ucraina alle rivolte mediorientali di tre anni fa. Apparentemente trattasi di un paragone improprio, ma le perplessità occidentali nei confronti della futura classe dirigente della “nuova Ucraina” non sono molti dissimili dai dubbi legati all’elite laica della rivoluzione egiziana (giusto per fare un esempio).

Ci sono però due elementi delle ultime ore che potrebbe imprimere una svolta inaspettata a favore della rivoluzione. Rivoluzione che per adesso non sembrava troppo discostarsi dalla rivolta (dagli esiti sostanzialmente infelici) arancione di Yushenko del 2004:

-In primo luogo il sostegno del magnate Rinat Akhmetov, storicamente grande sponsor del presidente Yanukovich. Non si tratta soltanto dell’uomo più ricco del paese, ma anche del prototipo del capitalista dell’est Europa, dell’oligarca che si è arricchito grazie al nuovo corso capitalista degli ex paesi della Cortina di Ferro a seguito delle dismissioni dell’immenso patrimonio pubblico del paese. Un uomo dal profilo quanto mai “putiniano” (nel 2004, in polemica contro Yushenko, disse a Yanukovich di essere disposto a cambiare i colori sociali della squadra di calcio di cui è attualmente proprietario, lo Shaktar Donetsk). Le critiche di Akhmetov all’attuale esecutivo sono sintomatiche di cambiamenti in corso nelle elite economiche e nella parte orientale del paese, soprattutto per quanto riguarda la parte russofona e la zona di Kharkiv

-Il fatto che i leader della protesta abbiano proposto non solo elezioni anticipate (rifiutando anche i timidi ramoscelli d’ulivo del presidente) ma una modifica della forma di governo tesa ad abolire il sistema semipresidenziale, a favore di una nuova struttura di tipo parlamentare. Una rivendicazione difficile da ottenere, ma che consentirebbe alla rivolta di non correre i rischi del duo Yushenko-Timoshenko, che una volta ottenuta la ripetizione delle elezioni riuscirono a vincerle ma senza riuscire a mantenere il potere per molto tempo. In questo caso possiamo dire che l’apprendimento politico sta dando i suoi frutti spingendo i leader della rivolta ucraina a non commettere più gli errori politici del passato.

La riforma in senso parlamentare tra l’altro renderebbe l’Ucraina, anche dal punto di vista istituzionale, un paese “anomalo”, e quindi potenzialmente in grado di svincolarsi da Mosca. Diverrebbe infatti l’unico sistema parlamentare in una zona dove il semipresidenzialismo francese, e quello corretto alla russa, sono una costante dell’ex Patto di Varsavia e dei paesi della Csi.

Tutte queste sono potenzialità in fieri della rivolta di Kiev, seppur in quadro pieno di incognite.

Ma sono tutti aspetti che spingono qualcuno al Cremlino a provare brutti timori e strani presentimenti.

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