Perchè Westgate
La scelta di un soft target, simbolo dell'economia capitalista e affollato di stranieri. La funzione “sociale” degli shopping mall
“Questo centro commerciale è stato costruito dall’uno per cento a vantaggio dell’uno per cento. Nonostante ciò, kenyoti poveri che possono solo sognare di fare shopping stanno piangendo. Cosa hanno perso esattamente?!” recita un tweet dell’ufficio stampa di al Shabaab, pubblicato sabato pomeriggio dopo l’attacco terroristico a Nairobi.
Il concetto elaborato dal gruppo terroristico ricorda, con le dovute differenze, il celebre slogan di Occupy Wall Street “We’re 99 %” contro le banche e il sistema finanziario. Anarchia e terrorismo sono spesso andati a braccetto.
La ricerca del consenso e la necessità di giustificare l’attacco agli occhi dell’opinione pubblica mondiale sfocia in una dottrina che cerca un avvicinamento e un punto d’incontro con i disagi sociali ed economici propri del modello di vita occidentale, sottoposto a un processo di recessione.
E quindi la scelta di colpire Westgate. Non è il mero sovraffollamento di occidentali ad aver “stuzzicato” al Shabaab (colpisci dove ci sono più persone, e farai più clamore).
Westgate è un simbolo. Westgate è dove vanno i cittadini ricchi, i diplomatici, gli uomini d’affari, gli stranieri a fare shopping. Westgate è dove le famiglie vanno a pranzo. Westgate, come gli altri centri commerciali della città, riveste una “funzione sociale”.
In Italia tendo a evitare i centri commerciali. A Nairobi invece mi capita di volermi tuffare in questi enormi complessi, credo un pò per quell’inconscio desiderio d’ordine e pulizia che ripulisce gli occhi da “giornate difficili”. Inoltre possono trasmettere un senso di rifugio a chi a volte teme di essere travolto dalla durezza della quotidianità africana.
Ma questi luoghi sono soprattutto un punto d’incontro, dove possono stringersi affari e relazioni sociali. La lista delle prime vittime lo spiega. Un poeta, una giornalista, una diplomatica canadese, un nipote del Presidente del Kenya, e cosi via.
Se arrivi per la prima volta in Kenya, e hai un appuntamento di affari, probabilmente sarà in un bar di uno di questi enormi shopping mall che incontrerai la tua controparte. Ce ne sono numerosi a Nairobi, quasi ogni quartiere ha il suo, e alcuni spiccano per la loro modernità in contrasto con l’ambiente circostante. E’ suggestivo notare la concentrazione di wazungu (uomini bianchi) appena si entra nel parcheggio di uno di questi centri commerciali. Cosi come è facile notare la presenza di cittadini kenyoti benestanti, una volta varcato il gate principale. In due parole, quasi l’opposto dell’utenza dei centri commerciali europei e italiani, dove tendono a concentrarsi richieste e bisogni della popolazione media.
Inoltre Westgate è stato scelto poichè i centri commerciali appartengono alla categoria dei cosiddetti “soft targets”, ovvero potenziali obiettivi terroristici facilmente attaccabili per il basso livello di sorveglianza e i costi contenuti (a differenza, ad esempio, di un obiettivo sensibile quale può essere una rappresentanza diplomatica o un ufficio governativo).
Ma l’impatto mediatico è devastante. Un portavoce di al Shabaab, intervistato da Jamal Osman per Channel 4 news, ha dichiarato che la scelta è ricaduta su Westgate perchè “fa girare tanto denaro, è in centro, è il luogo dove essi sentiranno maggiore dolore. Noi vogliamo mandare un messaggio forte”.
Westgate è disposto su 4 livelli. Tra i più grandi in Africa, è stato aperto sei anni fa. Ottanta negozi, in cui griffes straniere (e italiane) di prestigio si mischiano a boutiques di artigianato kenyota. Ristoranti di cucina internazionale in cui puoi trovare la pizza come il sushi. Quindi bar, fast food, banche, una multisala e un casinò. All’interno anche il Nakumatt, prestigiosa catena di supermercati, con l’immancabile gentilezza dei numerosissimi commessi che vi lavorano. All’esterno, nei parcheggi, una volta a settimana uno splendido mercato masaai itinerante.
Già diversi “warning” dell’intelligence statunitense e britannica, ma anche interna, avevano allertato sulla possibilità di attentati in città. E il Westgate, su cui insistono interessi economici israeliani, era da tempo nel mirino dei terroristi.
All’esterno gli askari (uomini della sicurezza privata) sono provvisti di metal detector. L’apparato di sicurezza era attrezzato per evitare il collocamento di un ordigno nell’edificio, da azionare a distanza.
Non per contrastare l’attacco di un commando armato. In questi casi potrebbe servire, come succede ad esempio in Israele, un nucleo di reazione rapida di sicurezza privata, cioè pronto a intervenire prima che I terroristi si impossessino dell’edificio. Scelte impegnative, soprattutto sotto il profilo economico.
Ma anche a questo si dovrà guardare in Kenya nel prossimo futuro.