La Papua Nuova Guinea non aiuterà più i 600 profughi sull’isola di Manus
La Corte suprema papuana ha stabilito che il governo non è tenuto a fornire servizi e cibo ai 600 uomini che ancora si trovano nel centro di Manus, chiuso dallo scorso 31 ottobre
In una sentenza diffusa martedì 6 novembre, la Corte suprema della Papua Nuova Guinea ha stabilito che il governo non è tenuto a fornire elettricità, acqua e cibo ai 600 profughi e richiedenti asilo del centro di accoglienza voluto dalle autorità australiane sull’isola di Manus.
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Ad aprile la Papua Nuova Guinea e l’Australia avevano deciso per la chiusura del centro, messa in atto martedì 31 ottobre. Questo ha fatto scoppiare la protesta dei 600 uomini al suo interno, che da ormai più di una settimana si rifiutano di abbandonare gli alloggi per essere trasferiti in via temporanea nella vicina cittadina di Lorengau.
I profughi e richiedenti asilo che ancora si trovano sull’isola dell’oceano Pacifico, la maggior parte dei quali provenente dal Medio Oriente dal sud-est asiatico, hanno invocato l’aiuto dell’Australia e di altri paesi, preoccupati da possibili attacchi da parte della popolazione locale. La decisione di ricorrere all’intervento dei giudici della Corte suprema è nata dopo il blocco agli aiuti stabilito dal governo papuano, considerato una vera e propria violazione dei diritti umani.
Behrouz Boochani, un giornalista curdo-iraniano che si trova nel centro di detenzione, ha detto al “New York Times”: “La decisione della Corte suprema è la dimostrazione del fatto che siamo persone dimenticate da tutti e che per noi non c’è giustizia”.
Secondo la testimonianza di Boochani, molti uomini sono disidratati, affamati e in preda all’ansia. Tra coloro che hanno deciso di lasciare il campo di Manus lo scorso 31 ottobre c’è anche chi, come l’iraniano Ben Moghimi, vorrebbe tornare indietro per essere vicino agli ex compagni in protesta.
“Mi sento in colpa ogni volta che bevo o mangio”, ha detto Moghimi al “New York Times”. “Ho provato a tornare a Manus, ma non me lo permettono. Vorrei essere lì con loro”.
Negli ultimi giorni le condizioni già precarie all’interno del campo profughi sono ulteriormente peggiorate, tanto da spingere le Nazioni Unite a lanciare l’allarme per “un’emergenza umanitaria in evoluzione”.
Elaine Pearson, direttrice australiana della Ong Human Rights Watch, ha commentato la sentenza su Twitter: “Centinaia di persone sono ancora costrette in una situazione di crisi. Hanno fame, sete e non hanno accesso a cure mediche adeguate. L’Australia ha messo in piedi questo centro per poi abbandonarlo, e adesso spetta a lei portare in salvo gli uomini al suo interno”.
PNG court rules against restoring essential services to #Manus main center. Hundreds of people remain in a crisis situation – hungry, thirsty & without adequate medical care. #Australia set up & abandoned this center, now it must avert this crisis by bringing the men to safety. pic.twitter.com/IHWVsB2QV5
— Elaine Pearson (@PearsonElaine) 7 novembre 2017
Il primo ministro australiano, Malcolm Turnbull, ha invitato i 600 profughi a trasferirsi negli alloggi temporanei stabiliti a Lorengau, descritti come “alternative di grande qualità, dotate di servizi e cibo”.
Domenica scorsa, nel corso della visita di stato in Australia, Jacinda Ardern, la nuova prima ministra della Nuova Zelanda, ha rinnovato la disponibilità del suo paese ad accogliere 150 rifugiati che si trovano nei centri stabiliti da Canberra sull’isola di Manus e a Nauru. Turnbull ha affermato che prenderà in considerazione l’offerta di Ardern solo dopo il termine dell’accordo sui profughi firmato l’anno scorso con gli Stati Uniti, quando il presidente era Barack Obama.