Nepal, sei mesi dopo il terremoto
Oltre all'emergenza, l'instabilità politica peggiora le condizioni socio-economiche del Paese. Ancora chiuso il confine con l'India.
Puja Maharjan ha 30 anni, vive a Khokana, un piccolo villaggio nel
distretto di Lalitpur. Quando la terra ha tremato, lo scorso 25 aprile, era
sola in casa con sua figlia Smirika.
“Ero veramente spaventata, ho provato a correre stringendo la mia
bambina, aveva solo un mese” ricorda Puja. Grazie al lavoro del marito, artigiano e proprietario di alcuni
terreni agricoli, e il supporto delle organizzazioni come ActionAid,
Puja, la sua famiglia e la piccola Smirika vivono al sicuro, in un edificio che
è stato dichiarato fuori pericolo dalle autorità nepalesi.
Da quel 25 aprile e dalle scosse che hanno successivamente colpito
il Paese in maggio, la vita di 8 milioni di persone, quasi un terzo della
popolazione nepalese, ha subìto cambiamenti radicali. Secondo le stime del National Emergency Operation Center intere comunità sono state rase al suolo,
i morti sono stati più di 9mila e i feriti quasi 23mila; oltre mezzo milione le
abitazioni distrutte e altre 272mila quelle che hanno riportato gravi
danni. Fra gli edifici colpiti ci sono anche tante scuole, circa 8mila,
e più di mille centri sanitari.
Se da un lato le notizie ci ricordano che da più di tre settimane
il Paese sta affrontando una grave crisi del carburante, che non sopperisce al
fabbisogno della popolazione, dall’altro, non possiamo ignorare che lo scorso
20 settembre, dopo quasi 8 anni di lavoro, il parlamento nazionale ha approvato
la nuova Costituzione e che a distanza di tre settimane il Nepal ha eletto un
nuovo primo ministro, Khadga
Prasad Sharma Oli, che ha promesso di promuovere lo sviluppo e
la ricostruzione del Paese.
Nonostante le critiche mosse dall’opposizione e le manifestazioni di protesta delle
minoranze tharu e madhesi, che si sentono discriminate dalla nuova Carta, è
impossibile non sottolineare come i due eventi siano di fatto un enorme passo
avanti per questo piccolo stato himalayano, a sei mesi dalla tragedia che lo ha
colpito.
Oggi nel Paese la vita sta lentamente tornando alla normalità, almeno a Kathmandu, la capitale. “In città non c’è alcun segno delle distruzioni lasciate dal sisma – conferma Giulio Litta Modignani, di ActionAid, appena rientrato da una missione di monitoraggio – escludendo gli edifici storici e religiosi nel cenjtro della città, la maggior parte delle case sono costruzioni moderne, nessuna delle quali mostra segni di danni.” Critica invece la situazione nei villaggi più remoti, dove la ricostruzione è stata meno rapida, anche perché il governo fatica ad intervenire nelle località più isolate e la popolazione vive ancora in condizioni di forte disagio. A Khokana, l’80% delle case e delle strutture pubbliche è andatro distrutto.
Dopo il crollo della sua casa, Puja, come molti altri, ha trovato
rifugio per sé e per sua figlia in uno degli
alloggi temporanei che gli ingegneri mandati da ActionAid Nepal per fornire assistenza tecnica hanno costruito. Qui l’Organizzazione ha distribuito
generi alimentari e altri beni di prima necessità come riso, lenticchie, olio,
sapone e medicinali.
Eppure, sono diversi i problemi che le famiglie hanno dovuto
affrontare. “Le pareti erano fatte di
teli di plastica e la tenda era sempre affollatissima” racconta la giovane
mamma. “Dopo pochi giorni, acqua e cibo
scarseggiavano e le condizioni di vita non erano
facili -continua Puja- Ero sfinita, avevo bisogno di una dieta nutriente e regolare per poter
allattare Smirika che richiedeva cure continue e doveva mangiare 15 volte al
giorno”.
A Khokana, come nelle altre zone gravemente colpite
dal sisma, la risposta di ActionAid e delle altre organizzazioni umanitarie è
stata immediata nel fornire aiuti e alleviare le
sofferenze delle migliaia di persone colpite dal disastro. L’organizzazione ha raggiunto anche i luoghi più
disagiati e portato aiuto e conforto a quasi 120mila persone.
L’intervento di ActionAid non si è limitato
all’erogazione di generi di primissima necessità, quali cibo, vestiario e
medicinali, ma si è qualificato come un vero e proprio programma di
sostegno psico-sociologico, con la
creazione di rifugi d’emergenza, l’istituzione di centri educativi provvisori,
l’apertura di spazi dedicati ai più piccoli, la fornitura di kit scolastici e
quant’altro potesse favorire il ritorno alla normalità per le popolazioni
colpite.
Un compito difficile, aggravato dal pesante dissesto della rete
viaria in alcuni tratti letteralmente cancellata dalle scosse. Difficoltà che ancora oggi permangono.
Se la risposta all’emergenza di aprile è stata molto forte, oggi la
ricostruzione va avanti, ma a rilento, anche a causa della mancanza di risorse
e conoscenze tecniche.
Alla Conferenza Internazionale sulla ricostruzione, tenutasi il 25
giungo a Kathmandu, il Commissario europeo per la
cooperazione internazionale e lo sviluppo, Neven Mimica, ha affermato che: “E’ fondamentale sostenere in modo costante e duraturo la riabilitazione
del Nepal. Ciò che vogliamo sottolineare è il nostro impegno nell’aiutare il popolo e il
governo nepalese in questo periodo di estrema difficoltà. Il nostro sostegno
aiuterà coloro che sono stati maggiormente colpiti dal terremoto – i poveri, le donne e il settore agricolo”.
Sono ancora migliaia le persone che ancora oggi vivono in strutture temporanee e che, in particolare con l’avvicinarsi delle rigide temperature invernali, hanno bisogno di abitazioni sicure, costruite con criteri antisismici. Moltissimi i bambini che ancora non godono di un’istruzione adeguata o che non hanno accesso a strutture scolastiche.