#MarcTesperem
L'inviato catalano Marc Marginedas è stato rapito in Siria. Sono 16 i giornalisti ancora sequestrati nel paese arabo.
Marc, ti aspettiamo. A dirglielo, ieri pomeriggio, davanti alla redazione del quotidiano El Periódico de Catalunya, c’erano varie centinaia di persone. La sua famiglia, i suoi colleghi, gli amici. Di Marc Marginedas, veterano inviato di guerra, non si hanno più notizie dal 4 settembre. Tre giorni prima era entrato in Siria con alcuni militari dell’esercito ribelle. Erano trascorsi solo pochi giorni dall’attacco con armi chimiche agli abitanti di alcuni quartieri di Damasco e ormai il bombardamento statunitense sembrava imminente. Marc, come tante altre volte, aveva deciso di raccontarlo da vicino. L’ultima volta che aveva chiamato in redazione aveva annunciato per la sera un reportage importante. Poi, il silenzio.
Quando, poco più di un anno fa, Marc ha pubblicato il suo primo libro, ha scelto come titolo una dichiarazione di poetica. Giornalismo nel campo di battaglia. Da corrispondente, in Algeria e in Russia, aveva esplorato i territori della guerra civile tra il Fronte Islamico di Salvezza e lo stato algerino e conosciuto le violenza dell’assedio di Grozny da parte delle truppe russe. Marc è un giornalista esperto, conosce le società musulmane, i suoi codici e i suoi rapporti di forza. Eppure questo non ha impedito che aumentasse la contabilità dei giornalisti nelle mani di sequestratori siriani: ora sono sedici.
Un collega di Marc, ieri pomeriggio, nella redazione del giornale, mi ha confidato: “Non credo che io sarei mai andato in Siria. È troppo pericoloso. Ho due bambini e sono responsabile anche nei loro confronti”. Il suo collega ha ragione. Perché ha ragione il sentimento dell’umana paura; perché ammettere la propria debolezza non inficia le proprie capacità professionali. Perché, a volte, il piacere narcisista di vedere il proprio nome in cima alla colonna di un reportage dal paese più pericoloso del mondo offusca il senso di responsabilità verso se stessi e verso chi ci ama. Ma, c’è un ma. Nell’epilogo del suo libro, Marc spiegava: “facciamo questo lavoro per dimostrare che chi un giorno disse che in una guerra la verità è la prima vittima, si sbagliava di grosso, perché lì ci siamo noi giornalisti, per portare alla luce quello che in molti sono interessati a nascondere”. Ti aspettiamo, Marc.